Tendiamo a dare per scontato che i prodotti italiani siano migliori di quelli esteri: a volte è vero ma non sempre. Sveliamo tutti i falsi miti sul grano italiano.
Dobbiamo dircelo chiaramente: a volte noi italiani siamo un po' presuntuosetti nelle cose di cucina. Tutto ciò che è italiano è meglio, tutto ciò che viene prodotto da noi è più buono e più sano ma non è sempre così. Emblematico il caso del grano italiano rispetto ai grani provenienti da altri Paesi: per anni abbiamo assistito a guerre televisive e campagne di marketing in difesa del nostro cereale senza avere la vera contezza della materia. Vediamo tutte le differenze tra il grano italiano e quello estero e perché questa questione non ha senso d'esistere.
Partiamo da un assunto indiscutibile: il grano duro italiano autoctono non esiste. La coltivazione non è nata qui, l'abbiamo importata da Turchia, Iraq, Iran e Siria: questo significa che gli scambi commerciali e culturali avvenuti nel corso dei secoli ci hanno donato un prodotto fondamentale per la nostra dieta e per la nostra economia. Questo tipo di coltivazione arriva in Italia circa 2000 anni fa, venduta dai mediorientali come "chicca": questo tipo di grano è molto più "giovane" rispetto alle spighe classiche, al tempo è considerata dunque una novità. Le prime tracce risalgono solo al IV secolo a.C. ed è una coltivazione molto particolare: di fatto è figlio del farro selvatico e dell'aegilops speltoides, una sorta di erbaccia turca. Il contributo dell'uomo ha portato allo sviluppo del grano duro e alla classificazione scientifica ma la produzione, oggi come allora, resta di nicchia: solo il 5% della produzione totale di "triticum" riguarda questa tipologia.
Sebbene non sia autoctono ormai è considerato italiano a tutti gli effetti, un po' come per i pomodori, e infatti noi siamo i primi produttori al mondo, seguiti da Stati Uniti, Brasile e Turchia. Il "problema" è che siamo anche i principali consumatori di questa materia prima: ogni italiano mangia 23 chili di grano duro ogni anno, una quantità molto superiore a quella degli altri Paesi. Questo ci porta dunque a un'altra questione fondamentale per capire le dinamiche del mercato del grano: le vendite.
È vero che siamo i primi produttori al mondo ma ne mangiamo così tanto che non produciamo abbastanza grano duro per soddisfare il fabbisogno interno. Importarlo è quindi un obbligo, altrimenti resteremmo senza pasta. Se in Italia si vendesse solo pasta con grano italiano avremmo il 30% di pacchi in meno sugli scaffali, il che porterebbe a una riduzione della produzione, a un ridimensionamento delle attività, a una perdita economica e di conseguenza a un aumento della disoccupazione. In parole povere: una tragedia.
Il problema dell'importazione non si è mai posto se non durante le guerre mondiali (a causa di embarghi e difficoltà di approvvigionamento) e negli ultimi anni con la nascita dei focolai nazionalisti del cibo: più il mondo è diventato comunitario, più le persone si sono trincerate dietro le proprie tradizioni. La cosa davvero divertente in tutta questa faccenda è un'altra: importare grano dall'estero è una "tradizione". Ci spieghiamo meglio: abbiamo sempre importato grano dall'estero perché anche quando c'erano meno cittadini nel nostro Paese la produzione non bastava. Non è però questo l'unico motivo della scelta "esterofila" dei primi pastai industriali.
Torniamo quindi al discorso iniziale: non tutto ciò che viene fatto in Italia è super buono, con una super resa, con un grande gusto. Il grano duro è uno di questi esempi. Ovviamente parliamo per massimi sistemi e ci sono dei grani e delle paste al 100% italiane che sono di un livello inarrivabile ma non è sempre così. Il problema è dovuto alla qualità della nostra materia prima, non sempre all'altezza dei requisiti richiesti al prodotto.
È bene specificare che quando si parla di "qualità" non bisogna pensare al sapore: una pasta di qualità è quella che non si rompe in cottura, che la mantiene al dente, che riesce a esaltare tutti gli ingredienti con cui verrà cucinata. Il grano italiano ha qualche problemino da questo punto di vista: per le paste serve una quantità maggiore di materia prima, in pratica serve un maccherone (ad esempio) più spesso per avere un maccherone di qualità. Questo ha portato alla confusione sul "livello" del grano italiano: le paste di alta fascia sono più grosse e quindi il nostro grano è perfetto. Le aziende più commerciali che negli ultimi anni hanno scelto di cambiare e puntare su una maggior quantità di prodotto nostrano o, addirittura, arrivare al 100% di grano italiano, sono state costrette a cambiare la propria trafilatura e puntare su una pasta più spessa. La scelta è inevitabile: una pasta commerciale fatta con solo grano italiano si spezzerebbe, risulterebbe molliccia, avrebbe un sapore neutro. Storicamente parlando l'eccellenza della pasta italiana passa proprio dai pastai, non dal grano: la proverbiale abilità di miscelare perfettamente le migliori qualità di grano a disposizione rende la nostra pasta la migliore al mondo. Dovremmo cominciare a ragionare in base alla qualità dunque e non alla provenienza: dovremmo chiedere alle aziende di selezionare i migliori frumenti disponibili sul mercato senza chiederci la provenienza, perché è sempre stato questo il segreto della nostra pasta.
A dispetto delle derive populiste urlate a mezzo stampa da politici, imprenditori e influencer in realtà i pastai italiani sono sempre stati chiari su questo punto. Non è un caso che nel 1967 si siano impegnati a usare solo pasta con grano duro, il migliore per garantire la cottura ideale, senza dare riferimenti geografici sull'origine del prodotto. Prima del '67 era accettato il miscuglio di grani duri e teneri per le paste a basso costo. Ricapitolando: bisogna scegliere la pasta in base alla qualità, non in base a una mal riposta superiorità "razziale" del nostro grano rispetto a quello estero.
Arrivati a questo punto l'unica altra remora che viene presentata dal pubblico è di solito quella della chimica: in Canada e Stati Uniti ci sarebbe un uso eccessivo di pesticidi che porterebbe all'aumento delle malattie nel nostro Paese. Ti rassicuriamo anche da questo punto di vista: è vero che il glifosato (un potente erbicida) è molto usato in Nord America ma è anche vero che solo il 13% dei prodotti alimentari testati dall'Unione Europea ne contiene e comunque sempre molto al di sotto dei limiti consentiti dalla legge. La paura è tanta (e pure ben riposta) ma possiamo tranquillizzarti: l'Ue ha norme molto stringenti in materia di importazione alimentare e l'Italia ha ulteriori normative ancor più severe del resto del continente. Siamo a tutti gli effetti la nazione con la normativa alimentare più dettagliata e specifica del pianeta. La burocrazia non accenna a fermarsi: l'ultima novità è arrivata nel 2018 proprio dopo una "crisi" dovuta al glifosato che ha portato a un accordo tra la Fai, Coldiretti, i Consorzi Agrari e i produttori di pasta per fornire una certificazione in etichetta ancor più dettagliata rispetto al passato. Su questo urge una precisazione però: il glifosato è cancerogeno? La risposta non è certa, la stessa Airc afferma che negli studi negli esseri umani la cancerogenicità non è stata ancora dimostrata. L'ossessione per questo pesticida c'è da circa tre anni a causa di un dibattito basato su delle bufale che imputerebbero al grano canadese un elevato valore di contaminante tossico per la salute. In realtà i valori delle tossine non sono mai stati oltre i limiti di legge. Intendiamo proprio "mai": in nessuno degli studi effettuati a campione sul prodotto importato è stato rilevato un livello alto di glifosato, anzi, le analisi indicano una presenza davvero bassa. I controlli, soprattutto in Italia, sono altissimi: il grano viene visionato prima dell'imbarco da parte delle autorità canadesi e poi, una volta giunto nel nostro Paese, viene preso ad esame dagli Uffici di Sanità Marittima, Aerea di Frontiera e dalle autorità sanitarie locali, tutti uffici che dipendono direttamente dal Ministero della salute. Se ciò non bastasse anche le aziende produttrici di pasta devono fare dei controlli a campione per essere certi, anche internamente, della salubrità del prodotto ed evitare eventuali cause legali.
A tal proposito ti diciamo una curiosità: l'uomo che ha fatto scoppiare il caso del glifosato nel mondo è un avvocato che al momento è accusato di estorsione per 200 milioni di euro. Nel 2019 è stato arrestato in Virginia, negli Stati Uniti, ed è ancora in corso una causa tra Dewayne Johnson (uno degli uffici legali più potenti del pianeta) e la Monsanto, poi passata alla casa farmaceutica Bayer. Due pesi massimi del mondo dell'alta finanza che si scontrano su un tema delicato. Chi avrà ragione ce lo diranno i giudici americani, nel frattempo possiamo rassicurarti: il grano che arriva in Italia è assolutamente sicuro. Può variare la qualità in base al tipo di pasta ma sul tema della salute alimentare puoi star certo che problemi non ce ne siano.