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15 Agosto 2021 11:00

Granita siciliana: una storia d’amore tra Oriente e Occidente

L'estate, il mare, il caldo, la spiaggia: tutti gli elementi che ci fanno venir voglia di qualcosa di dolce e rinfrescante. Cosa c'è di meglio di una bella granita allora? Vediamo tutto ciò che c'è da sapere su questo dolce tipico siciliano, che affonda le proprie radici nella storia della Sicilia stessa: dalla Magna Grecia agli Arabi, la storia della granita è una storia d'amore.

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L'estate italiana, con il caldo, le spiagge, il mare, fa sicuramente rima con granita, uno dei dolci più amati d'Italia, uno dei prodotti più iconici della Sicilia. La storia della granita è una storia d'amore: quello tra caldo e freddo, perché nasce dalla neve dell'Etna, uno dei vulcani più famosi del mondo, e quella tra Oriente e Occidente, con le culture dei vari popoli che hanno trovato in Sicilia la comunione perfetta. Figlia di questo amore è la granita, un prodotto semplice, povero, saporito, che nasconde una storia secolare di incontri tra i popoli e le nazionalità.

Le origini della granita vengono solitamente fatte risalire alla dominazione araba in Sicilia: gli Arabi portano con sé la ricetta dello sherbet, una bevanda ghiacciata, aromatizzata con succhi di frutta o acqua di rosa. I nobili siciliani fanno propria questa tradizione e d'estate mandano i "nivieri" sui monti a prendere il ghiaccio per essere poi grattato e ricoperto di sciroppi di frutta o di essenze di fiori. È per questo che la granita in dialetto siciliano è "rattata", ossia grattata, il nome originale del prodotto.

La storia della granita è una storia d'amore

Il rito della granita risale al Medioevo ma è tutt'oggi visto, soprattutto dai siciliani, come un momento di comunione, condivisione e relazioni sociali. Una tradizione del gusto che affonda le proprie radici al tempo degli Arabi, poi evolutasi fino ai giorni nostri, con un continuo affinamento della tecnica per creare un inimitabile e incredibile prodotto dolciario siciliano.

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Come per la pasta, la pizza e il gelato, anche  la paternità della granita è una di quelle contese, infinitamente discusse e mai del tutto cessate. Furono sicuramente prima gli Arabi a coltivare la passione per questa ricetta: lo sharbat d'altra parte è un chiaro antenato del sorbetto, sia nella ricetta sia nella semantica. Lo sharbat originale era composto da ghiaccio o neve, zucchero di canna, petali di fiori e frutti. Arrivati in Sicilia, gli Arabi ritrovano tutto il ben di Dio tra le materie prime dell'isola e in più scoprono l'esistenza dei nivieri.

I nivieri sono (o meglio "erano", visto che il lavoro è scomparso) coloro i quali portano il ghiaccio dalle parti più rurali della Sicilia fin nelle grandi città. L'uso della neve sull'isola è antichissimo: i vescovati più importanti del Medioevo, ovvero Palermo, Catania e Monreale, hanno usato per anni la neve conservata dai monti nelle rispettive diocesi. La tecnica della ghiacciaia, usata per conservare a lungo ghiaccio e neve, è stata messa a punto addirittura dai Sumeri, importata in Italia grazie alle dominazioni Greche e infine perfezionata con l'Impero Romano. In Sicilia sono state trovate alcune delle ghiacciaie più grandi e antiche del mondo (sulle Madonie e sull'Etna) costruite proprio secondo le pratiche e metodologie del mondo antico greco-romano. I nivieri siciliani raccolgono la neve fresca dall'Etna, monti Iblei e Nebrodi e la conservano in delle costruzioni di pietra nelle grotte vulcaniche, fino all'estate, le neviere appunto.

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Quando nell'Alto Medioevo arrivano gli Arabi in Sicilia e scoprono le neviere il collegamento è immediato: al primo caldo portano giù dalle montagne il ghiaccio, lo grattano e lo ricoprono con gli sciroppi di frutta a fine pasto. La granita siciliana vera e propria, ovvero quella morbida e cremosa, che non presenta dei pezzettini di ghiaccio al proprio interno, arriva solo alla metà del Cinquecento grazie al processo di mantecazione nel pozzetto. Durante il XVI secolo viene scoperto un nuovo modo di usare la neve: i siciliani la uniscono al sale marino e la neve raccolta passa da ingrediente a refrigerante dando vita al pozzetto, un tino di legno con all'interno un secchiello di zinco, che può essere girato con una manovella. L'intercapedine viene riempita con la miscela di neve e sale, il tutto viene posto in un letto di paglia che isola il pozzetto dal resto del mondo. La miscela congela il contenuto del pozzetto per sottrazione di calore, mentre il movimento rotatorio impedisce la formazione di cristalli di ghiaccio troppo grossi.

In pratica con questa tecnica la granita viene congelata e continuamente mescolata, mantenendo la freschezza ma ammorbidendosi al tempo stesso. Così si è creato il capolavoro che ancora oggi ci gustiamo tutte le estati, su una spiaggia o ancora meglio in una brioche nel cuore della Sicilia. Un'altra svolta arriva nel corso del 1900, secolo in cui il pozzetto viene sostituito dalla gelatiera moderna. Per la definitiva esplosione commerciale del prodotto dobbiamo però aspettare il 1961: l'ingegnere napoletano Salvatore Cortese progetta e brevetta il primo granitore verticale, con completa esposizione del prodotto, segnando il passaggio definitivo dalla produzione manuale della granita a quella elettromeccanica. Con questa invenzione, che vediamo ancora oggi in tutti i bar d'Italia, la granita esce prepotentemente dalla Sicilia e dell'Italia Meridionale più in generale, per arrivare a conquistare tutta la penisola.

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Ora che è chiaro come sia stato perfezionato il metodo e la ricetta della granita, vi siete mai chiesti quale sia stato il gusto originale? Il primo gusto della storia della granita è stato il limone, per un motivo molto semplice: l'acido citrico è un ottimo strumento di conservazione, quindi nel Medioevo "aromatizzavano" il ghiaccio con il limone già in partenza. Con l'arrivo del pozzetto i siciliani hanno capito che il limone può essere usato anche come ingrediente per un gusto vero e proprio e non solo come tecnica per allungare la shelf life della neve, creando la prima granita al limone.

Originariamente la granita andava accompagnata dal pane fresco e croccante che col tempo è stato sostituito dalla tipica brioscia siciliana preparata con pasta lievitata all'uovo e dalla forma a base semisferica sormontata da una pallina, chiamata tuppu. A granita câ brioscia era ed è la colazione tipica dei siciliani, specialmente in estate e nelle zone costiere.

I gusti della granita: dimmi dove vai in Sicilia e ti dirò che gusto sei

Abbiamo appurato che il gusto originale della granita è al limone, ma questo ce lo dice solo la storia. Non si può facilmente determinare una "forma originale" della granita. Secondo fonti bibliografiche risalenti al Regno delle Due Sicilie le granite tradizionali, oltre quelle al limone, erano con le granite con le mandorle, i gelsi neri e i gelsomini, la famosa scursunera. Ogni tipo di granita fatta con gli ingredienti sopra citati è stata poi inserita nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali dell'isola, ma da quando Cortese ha inventato il granitore verticale la varietà di gusti è aumentata tantissimo. Oggi è facile imbattersi in granite alla fragola, alla menta, al pistacchio, al caffè, al cocco.

In Sicilia le varianti delle granite sono diverse e tutte distinguibili in base alla posizione geografica. La granita nella descritta consistenza semi-cremosa (più vicina alla tradizione) è diffusa soprattutto nel messinese, mentre a Catania si presenta più solida e simile al gelato. La composizione della granita messinese è leggermente più dolciastra, viceversa più tendente all'aspro quella catanese-siracusana. Molto importante è l'accompagnamento con la panna, dove a Messina esiste una variante artigianale e unica nel suo genere (col caffè), mentre a Catania questa usanza non esiste.

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La diatriba tra le due città è asprissima: Messina e Catania si contendono la paternità del prodotto, con Messina che ha avuto un riconoscimento comunale come "marchio tutelato" e Catania che ha risposto chiedendo che la granita di Acireale ricevesse la certificazione europea. La città in provincia di Catania organizza anche il Nivarata, un festival dedicato a "il rito della Granita Siciliana" artigianale che prende il nome dai nivaroli. Anche sui gusti ci sono delle divisioni tra le due città: a Messina è molto venduta la granita al limone e al caffè, a Catania sono diffusi il gusto pistacchio, mandorla (la minnulata, o mennulata, su cui si versa un goccio di caffè caldo) e i gusti alla frutta come gelsi neri, pesca, fragola.

Altra disputa interessante è quella tra Ragusa e Siracusa sulla granita simbolo delle due città, quella alla mandorla: la prima, in particolare nel Modicano, propone una versione con mandorla abbrustolita; la seconda con mandorla grezza, ovvero tritata senza rimuovere la pelle marrone dopo la sgusciatura.

Sul versante occidentale, se andate a Trapani e San Vito Lo Capo, potrete gustare la tradizionale scursunera, quella al gelsomino, ottenuta dall'estrazione dell'essenza del fiore. A Palermo invece non c'è un gusto predominante ma la tipologia di granita è diversa da quella del resto della Sicilia: meno cremosa, più granulosa, quasi vetrosa, come la granita delle origini.

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C'è anche una granita "siciliana" che siciliana non è nella realtà: a Favazzina, un bellissimo borgo costiero di Scilla, in provincia di Reggio Calabria, si fa una granita che per consistenza è identica a quella messinese. I gusti tipici della granita in Calabria sono però al fico e al fico d'india.

La differenza tra la granita e la grattachecca

Abbiamo detto che c'è una sola granita tradizionale al di fuori della Sicilia, ed è nella vicina Calabria. E allora la grattachecca? Ci dispiace deludervi ma, pur essendo due dolci freddi al cucchiaio, simboli delle estati italiane, la grattachecca non è una granita. Anche se facciamo fatica a distinguerli, anche se molti usano i due sostantivi come se fossero sinonimi, in realtà sono completamente differenti l’uno dall’altro. Facciamo chiarezza sulla differenza tra granita e grattachecca.

La grattachecca è senza dubbio la "granita" di Roma ma la sua preparazione differisce molto dalla sua cugina siciliana. Tipica dei chioschi sul lungotevere, dove nasce come street food all'inizio del Novecento, viene preparata da oltre un secolo seguendo sempre la stessa ricetta: prendete un grosso blocco di ghiaccio e raschiatelo con una pialla creando del ghiaccio tritato, aggiungete uno sciroppo a piacimento o una spremuta di frutta fresca e il gioco è fatto. Il nome d'altronde non può essere più esplicativo: la prima parte è "grattare" , la seconda è "checca" che in romanesco arcaico si riferiva al grosso blocco di ghiaccio utilizzato per refrigerare e conservare gli alimenti.

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La granita siciliana è invece molto più complessa: contiene zucchero, acqua, ha bisogno di una bassissima temperatura per ottenere un composto denso. Il contenuto degli zuccheri con il tempo è andato ad assottigliarsi grazie a delle granatiere più sofisticate: storicamente tra il 25 e il 35% del prodotto era zuccherino, oggi lo zucchero non supera il 20% del peso del composto finale. Nella preparazione della granita è importante anche che la gelatura avvenga per gradi e mantenendo in movimento il composto, in modo che l'acqua non si separi sotto forma di cristalli di ghiaccio insipidi dall'aroma zuccherato.

La differenza tra la granita e il sorbetto

Altro malinteso in cui spesso incappiamo è sulla differenza tra granita e sorbetto. Qui la questione è più subdola perché, come abbiamo visto, sono figlie della stessa preparazione: lo sherbet arabo. Il sorbetto è una preparazione semi-densa, fatta principalmente con succo o polpa di frutta e uno sciroppo di zucchero o vini e liquori, a differenza della granita che non ha alcolici. Altra differenza importante è che spesso, nella ricetta dei sorbetti, si usa l'albume d'uovo, un ingrediente mai inserito nelle ricette delle granite.

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Quello che i piatti non dicono
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