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15 Luglio 2024
12:10

Gli USA sono la “Capitale della pizza” per il New York Times ma non fermarti al titolo

Un titolo "strillato" ed eccessivo che nasconde un fondo di verità: negli Stati Uniti ci sono tantissime nuove leve di alto livello, spinte dall'apprendimento e da alcuni grandi chef che stanno portando la pizza molto in alto.

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Il New York Times non perde mai l'occasione per creare polemiche nel mondo del food: l'ultima trovata è un articolo dal titolo "How America Became the Capital of Great Pizza" ovvero "Come l’America è diventata la Capitale della pizza di qualità". Il titolo è provocatorio e in Italia ha fatto scalpore ma leggendo attentamente il pezzo dobbiamo ammettere che ci sono delle argomentazioni valide a tale supporto. Il titolo è semplicemente eccessivo ma non è del tutto errato.

Un titolo ingannevole che nasconde un pizzico di verità

La pizza è sempre più globale e questo deve inorgoglire i nostri colori. Dalle classiche pizze napoletane alla reinterpretazione in stile gourmet, gli Stati Uniti si confermano la patria della pizza più eclettica e innovativa secondo l'articolo del New York Times che prova ad analizzare le ragioni di questo fenomeno culinario in continua evoluzione.

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La pizza americana non si limita più a replicare i sapori italiani. I pizzaioli di oggi sperimentano con ingredienti locali e accostamenti audaci, creando un mix di culture e tradizioni che sfida la definizione stessa di pizza. Nasce così un mondo di varianti che spaziano dal deep dish di Chicago alla pizza con l'ananas, tanto discussa quanto apprezzata. L'accessibilità economica e la facilità di apprendimento della tecnica rendono l'apertura di una pizzeria un'opzione allettante per molti chef. La pizza diventa così un trampolino di lancio per la creatività, permettendo di sperimentare e proporre la propria visione culinaria ad un pubblico ampio.

Gli Stati Uniti, secondo il NYT, stanno quindi vivendo una rinascita che ha portato a un panorama di locali estremamente diversificato. Accanto alle pizzerie classiche, sorgono innumerevoli insegne dedicate a stili e sapori specifici: dalla pizza napoletana verace al fusion con ingredienti asiatici, passando per varianti vegetariane e vegane.

L'articolo non è denigratorio nei confronti della pizza italiana e della tradizione, tant'è che cita la pizza napoletana come esempio di eccellenza: "Fino a poco tempo fa, gli chef che cercavano di preparare sublimi pizze napoletane avevano poche opzioni oltre a viaggiare in Italia. Oggi basta studiare e puoi portare un’ottima pizza in qualsiasi città, ovunque". Ha tutto molto senso, non a caso ci sono ormai tantissimi pizzaioli oltreoceano in grado di competere con i nostri migliori maestri come Anthony Mangieri, Dan Richer e  Vincent Krone, tre pizzaioli a New York, San Francisco e Portland di nascita e formazione americana, tutti nelle prime posizioni della 50 Top Pizza. Ci sono poi tanti italiani emigranti, come Pasquale Cozzolino e Rosario Granieri, entrambi nella Grande Mela, che hanno esportato "il verbo" della pizza italiana diventando degli idoli a New York. Ci sono poi gli iniziatori: in primis Wolfgang Puck, chef stellato austriaco trapiantato in America diventato poi volto di Disney che è diventato famoso inizialmente proprio con una pizza gourmet; c'è Nancy Silverton diventata famosissima in Europa grazie a Netflix o Chris Bianco che abbiamo visto a Chef's Table. Il mondo della pizza a stelle e strisce è quindi molto variegato e, in fondo, l'articolo del New York Times non è folle come dice il titolo.

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A cura di
Leonardo Ciccarelli
Nato giornalista sportivo, diventato giornalista gastronomico. Mi occupo in particolare di pizza e cocktail. Il mio obiettivo è causare attacchi inconsulti di fame.
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