Leggerissime, friabili, versatili: le gallette sono spesso utilizzate dalla colazione alla cena, per accompagnare i pasti o come snack. Sono davvero salutari e dietetiche? La risposta è no.
C’è chi le ama per la loro croccantezza e versatilità, e chi le odia perché sembra di "mangiare polistirolo”. A spaccare in due il giudizio delle persone sono le gallette, che nel tempo si sono diffuse sia come sostituto del pane, sia come snack spezzafame. Il perché di tanto successo dipende da diversi fattori, uno su tutti quello di essere considerate più salutari rispetto al pane, un po’ come capita con altri prodotti da forno tipo crackers e grissini. Potremmo dire che questa credenza, però, si inserisce nei tanti falsi miti che si riscontrano nel mondo dell’alimentazione, legata a doppio filo dalla convinzione che il pane faccia ingrassare tout court e che quindi sia meglio evitarlo quando si vuole dimagrire, preferendo un’alternativa meno calorica. Spoiler alert: le gallette non lo sono. Vediamo perché.
Le gallette sono un prodotto nato negli Stati Uniti negli anni ‘20 del Novecento, diventando poi molto popolare e consumato su larga scala dagli anni ‘70 e ‘80, merito del continuo miglioramento della tecnologia che permetteva di realizzare riso e altri cereali (il più utilizzato è il mais) soffiati. Questi dischi leggerissimi si producono partendo da un impasto di riso soffiato che viene trasformato attraverso un processo chiamato estrusione, utilizzato anche per foggiare i diversi formati di pasta, i cornflakes da colazione e perfino la plastica. Tramite una cottura a temperature elevatissime (minimo 120 °C, possono superare i 200 °C) e un’alta pressione all’interno di una macchina, il riso perde l’acqua, asciugandosi, per poi gonfiarsi quando torna a contatto con l’aria: in questo modo le gallette risultano friabili e dal peso quasi impercettibile.
Fin dall’inizio della loro storia, le gallette sono state pubblicizzate come salutari. Eppure non lo sono particolarmente: senza dubbio non più del pane. In commercio ora si trovano gallette di riso, di mais, di farro, di grano duro, di grano saraceno e anche di segale. In generale si compongono di carboidrati, proteine e una discreta dose di fibre (la quantità dipende dalla tipologia di materia prima e se è raffinata o integrale). Contengono pochissimi grassi e sale (ed è per questo che tendono a essere considerate dietetiche), ma anche pochissima acqua, quindi non sono adatte per chi soffre di stitichezza.
Il trattamento ad alta temperatura degrada nutrienti importanti come vitamine e minerali e priva le gallette di sapore e profumo: per contro, rende l’amido più digeribile, senza dimenticare però che questo corrisponde a un innalzamento dell’indice glicemico. Più si eleva, più aumentano gli zuccheri nel sangue, alterando negativamente i valori della glicemia. Presenza ridotta di fibre, povertà d’acqua e alta digeribilità corrispondono inoltre a un minore senso di sazietà: ciò significa che si rischia di assumere più cibo di quanto se ne abbia bisogno (insomma, una tira l’altra).
E le calorie? Le gallette hanno fama di essere poco caloriche, ma non è vero. In 100 grammi di prodotto si trovano dalle 350 alle 380 kcal: secondo le tabelle nutrizionali del CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), il classico pane bianco ne ha 268, mentre quello integrale 224.
Le gallette vanno consumate con moderazione (una porzione standard si attesta sui 30 grammi) e con attenzione: non associarle ad altri carboidrati, per esempio mangiandole insieme a un piatto di pasta; preferire quelle integrali, che hanno un maggiore contenuto di fibre, e accompagnarle con una proteina, sia di origine animale, sia vegetale, per abbassare l'indice glicemico. Non c’è proprio nessun lato positivo? Qualcuno lo abbiamo trovato.
Secondo la definizione dell’EFSA, l’acrilammide è “una sostanza chimica che si forma naturalmente nei prodotti alimentari amidacei durante la normale cottura ad alte temperature, come frittura, al forno e alla griglia e anche in lavorazioni industriali a più di 120 °C con scarsa umidità”. Se ne è parlato per la sua presenza nelle patatine fritte, nel bordo della pizza napoletana (quando si bruciacchia), nel caffè, nei cibi cotti eccessivamente in generale, ed entra in gioco anche quando si tratta dell’estrusione: una volta ingerita l’acrilammide viene assorbita dal tratto gastrointestinale e metabolizzata.
Qual è il problema? Questa sostanza è classificata come “potenzialmente cancerogena e genotossica” dopo risultati raggiunti da esperimenti sugli animali. Ciò scatena ciclicamente allarmismi: come precisa sempre l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, gli studi sugli esseri umani “forniscono prove limitate e discordanti” e sono ancora in fase di ricerca.