I funghi sono un ingrediente versatile in cucina, particolarmente apprezzato durante la stagione autunnale in quanto protagonista di grandi classici, dalle tagliatelle ai risotti. Bisogna fare attenzione a evitare le varietà tossiche, soprattutto quando la raccolta è fai-da-te.
I funghi sono uno dei simboli dell’autunno, ma in realtà si tratta di un alimento dai preziosi valori nutrizionali reperibile anche nelle altre stagioni a seconda delle varietà. Nonostante questo, i dati ci avvertono che è durante i mesi che vanno da settembre a novembre che avvengono il 90% delle intossicazioni alimentari che li vedono come causa, ovvero il periodo più profittevole per la loro raccolta. Da qui si intuisce come sia importante saper distinguere la natura dei funghi, riconoscendo quelli commestibili e quelli tossici: è un’abilità che richiede pratica ed esperienza e che non ammette improvvisazioni. Di seguito, ecco una breve guida alle tipologie che si possono mangiare, quali sono le più comuni e come cucinarle senza rischi.
Quando parliamo di funghi ci riferiamo ai miceti, classificati biologicamente in un “regno” a parte rispetto a quello animale e a quello vegetale, in quanto hanno caratteristiche che li differenziano da entrambi, dalla riproduzione per spore (che non passa per uno stadio embrionale) al fatto che non svolgono la fotosintesi clorofilliana, o il loro nutrirsi di sostanze organiche prodotte da altri organismi e non inorganiche come fanno in genere le piante. Si tratta di essere viventi unicellulari e pluricellulari che si dividono principalmente in micromiceti (solitamente di dimensioni microscopiche, buoni o patogeni, tipo le muffe) e macromiceti, che si vedono a occhio nudo, i più classici con cappello e gambo che si trovano nei boschi o vengono coltivati. Sono questi ultimi a interessarci come funghi commestibili da usare in cucina nelle ricette più svariate: se dovessimo pensare a tutti i funghi, si stima che siano circa 3 milioni le specie esistenti.
I funghi di bosco sono quelli che crescono prevalentemente nelle aree forestali, in simbiosi con alberi come querce, faggi, castagni e conifere, o sul legno in decomposizione: si sviluppano nel sottobosco umido e si trovano spesso in autunno, quando le condizioni sono ottimali. Tra i funghi di bosco più noti, ecco apparire i porcini (Boletus edulis), i finferli (Cantharellus cibarius) e le mazze di tamburo (Macrolepiota procera). Ci si riferisce ai funghi lignicoli, invece, quando crescono direttamente su tronchi o ceppi d'albero caduti a terra o nelle legnaie, e non sono tutti edibili. Tra quelli più popolari sulle nostre tavole ci sono il Pleurotus ostreatus, volgarmente nominato orecchione, e i pioppini (Agrocybe aegerita).
Si vedono nei prati, nei pascoli, nelle radure, nei terreni aperti o nei boschi, il più delle volte staccati o lontani dagli alberi perché la loro sopravvivenza non dipende dalle radici di altre piante. Tra i più noti si annoverano i prataioli, dal comune (Agaricus campestris) al maggiore (Agaricus arvensis), la spugnola (Morchella vulgaris) e la vera mazza di tamburo (Macrolepiota procera, da non confondere con il sosia tossico, il Lepiota cristata, la falsa mazza di tamburo, solitamente di taglia più piccola, ma spesso presente nei giardini e nei parchi), lo steccherino dorato (Hydnum repandum), la trombetta dei morti (Craterellus cornucopioides) e il coprino chiomato (Coprinus comatus).
I funghi boleti appartengono alla famiglia delle Boletaceae: il rappresentante più famoso è il porcino (declinato nelle sue quattro varietà, Boletus edulis, B. aestivalis, B. pinophilus, B. aereus), ma comprende altre specie commestibili come il boleto baio (B. badius), il “porcino giallo” detto anche pinarello o pinarolo (B. luteus), il boleto dei larici o laricino (B. elegans) o il boleto dal piede rosso (Neoboletus erythropus). Alcuni possono essere tossici, come l’altrettanto celebre fungo di Satana (Boletus satanas). Crescono principalmente nei boschi di conifere e di latifoglie, in simbiosi con le radici degli alberi: i porcini si caratterizzano per non avere le lamelle sotto il cappello, ma una superficie porosa.
Sono funghi di forma sferica o a pera, che si trovano nei boschi e nei prati, molto adattabili ai vari tipi di terreno e di clima. Si consiglia di consumarli quando sono ancora giovani, con la carne bianca e soda, mentre sono da evitare se troppo maturi, spugnosi e marroni. Di questo gruppo, quelli che si trovano con maggior frequenza sono la vescia gigante (Calvatia gigantea), con il cappello che raggiunge anche i 50 cm di diametro, e la vescia comune (Lycoperdon perlatum), che si caratterizza per essere ricoperto da aculei.
I funghi ipogei più conosciuti sono i tartufi (Tuber spp.), neri e bianchi, considerati una vera prelibatezza, anche se non sono gli unici. Si chiamano così in quanto compiono il loro intero ciclo di vita sottoterra, crescendo in simbiosi con le radici di alcune piante, tipo le querce, e la loro raccolta e trattamento differiscono da quella dei “classici” funghi, rispettando altri regolamenti.
In commercio è facilissimo trovare i funghi coltivati. Tra i più diffusi ci sono gli champignon (Agaricus bisporus) apprezzati per la loro versatilità e perché sono disponibili praticamente tutto l’anno – il loro corrispettivo selvatico è il popolare prataiolo – ma anche i portobello (Agaricus avellanus), una variante dalla grandezza maggiore. Un’altra varietà è quella del fungo orecchione o fungo ostrica (Pleurotus ostreatus), che può crescere pure spontanea, così come il pioppino (Agrocybe aegerita). Dall’Asia, invece, arriva il Lentinula edodes, meglio noto come shiitake, perfetto per farcire baozi, ravioli e insaporire zuppe di noodles o frittate.
Non esistono caratteristiche universali che accomunano tutti i funghi commestibili: lo stesso discorso vale per quelli velenosi. Nonostante questo, ci sono alcuni segnali che possono essere dei campanelli di allarme, facendo sorgere dubbi sulla pericolosità. Il consiglio è quello di rivolgersi sempre agli esperti degli Ispettorati Micologici istituiti presso le Asl: è importante sottolineare che basarsi solo su questi elementi può essere rischioso, poiché alcuni funghi tossici sembrano del tutto innocui.
Dopo aver capito che l’universo dei funghi è complesso e variegato, cerchiamo di semplificare il tutto con un elenco delle tipologie edibili che si possono consumare con una certa sicurezza, alcune più popolari sulle nostre tavole, altre meno, tra quelle spontanee, coltivate da comprare dal fruttivendolo o al supermercato o da raccogliere.
Come abbiamo visto si distinguono in quattro varietà diverse, dove spicca per utilizzo il Boletus edulis, ovvero il porcino comune. Ha un colore che varia dal marrone scuro al giallognolo e il cappello può arrivare fino a 30 cm di diametro: quando tagliato, la carne interna resta di un bel bianco. Si tratta di funghi dal sapore intenso e allo stesso tempo delicato: sono uno dei simboli dell’autunno, perfetti con i primi piatti must have come tagliatelle o risotti, ma anche per farcire un arrosto. Arricchiscono crostini in veste di antipasto con salumi e formaggi, e sono anche l’ingrediente base di zuppe e vellutate. Si mangiano crudi, cotti e sono anche ottimi secchi, così da averli a disposizione tutto l’anno.
Lo abbiamo nominato prima: in mezzo alle sue “sorelle” velenose del genere Amanita, l’Amanita caesarea è considerata un fungo pregiatissimo e ricercato, conosciuto come ovolo buono o ovolo reale. Quando si raccoglie, però, è necessario prestare la massima attenzione: nelle prime fasi di crescita, infatti, può essere facilmente confusa con specie velenose come l’Amanita phalloides (la prima a trarre in inganno) o con altre amanite mortali. Gli ovoli si mangiano prevalentemente crudi, tagliati a lamelle sottilissime in insalate o nei carpacci, ma possono essere anche cotti: provali con la pasta fresca, nelle frittate o alla piastra.
Un fungo decisamente comune, la mazza di tamburo (Macrolepiota procera) diventa tossica se mangiata cruda. La si riconosce per il suo aspetto longilineo, in quanto si sviluppa in altezza, con un cappello molto largo, che può toccare addirittura i 30 cm: prende il nome dalla somiglianza con lo strumento che si adopera per suonare le percussioni. Ha un sapore intenso e una consistenza carnosa e si cucina prevalentemente fritta, a cotoletta, impanando l’ampia testa in uovo e pangrattato. Una vera delizia da provare.
I pioppini (Cyclocybe aegerita) sono funghi che si possono coltivare, ma crescono anche spontaneamente. Si trovano con nomi diversi, tipo piopparello o colombine, e hanno un gusto aromatico molto particolare che conferisce un sapore ricco a ogni ricetta. Si devono mangiare solo previa cottura, altrimenti risultano tossici. Via libera quindi alle conserve sottolio, ai primi piatti di pasta fresca e risotti, come accompagnamento ad arrosti e scaloppine in veste di contorno, ideali da cuocere in padella semplicemente con olio, aglio e prezzemolo.
Come i precedenti, condividono la possibilità di essere coltivati, ma si reperiscono abbondantemente anche in natura: che si parli di orecchioni, funghi ostrica, orecchie di elefante o geloni si tratta sempre del Pleurotus ostreatus, caratterizzato da un sapore terroso, ma delicato e una consistenza tenace: in cucina sono funghi molto versatili e si prestano a diverse preparazioni. Anche questi, come le mazze di tamburo, si possono impanare e friggere, e sono ottimi anche alla griglia, gratinati al forno o in padella; perfetti da abbinare a carni dal gusto deciso, come le salsicce di maiale. Anche in questo caso, mangiali solo dopo averli cotti.
Da non confondere con i pioppini, i funghi chiodini (Armillaria mellea) sono gustosi e molto facili da cucinare. La loro commestibilità non è totale: contengono una tossina proteica termolabile che si elimina intorno ai 60-70°C e quindi vanno mangiati sono dopo essere stati ben cotti. Per questo motivo, le ricette che li vedono protagonisti, prevedono una bollitura di circa 20 minuti, durante la quale bisogna eliminare a poco a poco la schiumetta che si forma in superficie. Sono ideali sott'olio, come conserva, ma anche saltati in padella con aglio e prezzemolo, oppure sfumati appena con del vino bianco.
Eccoci di fronte a una delle varietà più pregiate e amate per la loro consistenza soda e carnosa. I funghi cardoncelli (Pleurotus eryngii) sono dei funghi diffusi in tutta Italia, ma tipici delle regioni mediterranee, maggiormente presenti al Centro-Sud, Sicilia e Sardegna. Il loro sapore delicato li rende versatili in cucina, dove possono essere preparati in vari modi: grigliati, trifolati, al forno gratinati o in zuppe. Ottimi per piatti leggeri e ricchi di benessere, i cardoncelli strizzano l’occhio anche al benessere, in quanto ipocalorici e ricchi di vitamine e minerali: insomma, sceglili sia per un salutare contorno sia per un goloso risotto.
Una tipologia che risponde ai nomi più disparati: finferlo, gallinaccio, cantarello, galluccio, gaetello, gaitello, galletto, gallinella… Tutti termini che mettono una certa allegria e che indicano il Cantharellus cibarius, un fungo che si potrebbe mangiare anche da crudo, se non avesse un sapore amarognolo: il suggerimento è quello di scottarlo leggermente, così da eliminare la nota poco piacevole. Come valorizzarlo? Il ventaglio di opzioni è davvero ampio: messo sott'olio o sott'aceto, fritto, cotto in padella, in frittate e pure essiccato. Ottimo combinato con altri funghi, per giocare con texture e intensità di gusto, può essere considerato il numero 2 per popolarità e prelibatezza dopo il porcino.
I prataioli (Agaricus campestris) appartengono alla famiglia delle Agaricaceae, la stessa dei celebri champignon (A. bisporus), che infatti sono la loro versione coltivata. Hanno un sapore delicato, quasi dolciastro, un gambo spesso e sodo che può variare dal bianco al marrone in base al grado di maturazione, un cappello largo e schiacciato di colore bianco. In cucina, i prataioli si adattano a tantissime ricette, per non dire che si possono preparare in mille modi: sono buoni crudi, nelle insalate o nei carpacci, oppure trifolati in accompagnamento a pollo o manzo, gustosissimi se cucinati ripieni, al forno, o come farcitura di torte salate. Si sposano alla perfezione con la pasta secca e fresca, nelle lasagne, e anche con riso e cereali: insomma, un fungo passepartout.
Concludiamo con un fungo che non passa certo inosservato: la vescia gigante, anche detta puffball nel mondo anglosassone: un termine che fa intuire quali siano le caratteristiche di questo esemplare: l’aspetto è tondeggiante, praticamente senza gambo, che si ancor al terreno per mezzo di minuscole e sottili radici. Il nome scientifico è Calvatia gigantea o maxima e ed è una specie commestibile tra le più scenografiche, dato che raggiunge le dimensioni di un pallone da calcio e un peso che può arrivare a 5 chili. Si mangia al giusto grado di maturazione, quando la superficie è bianco candido, liscia e regolare. Le vesce possono essere cucinate al forno, gratinate, ma anche impanate e fritte o alla griglia, tagliate a fette, esattamente come si farebbe con una bistecca.