Quando pensiamo alla frutta ci vengono in mente mele, banane, pere e uva: ma il mondo nella natura offre molto di più. Sono tanti i frutti antichi che oggi sono stati dimenticati e che non si trovano più in commercio. Un vero e proprio patrimonio di biodiversità che vale la pena riscoprire e tutelare.
Tutti abbiamo assaggiato una pesca, ma quanti possono dire di sapere che gusto hanno un corbezzolo, un giuggiolo o un corniolo? Sono solo tre dei tantissimi frutti “dimenticati”: varietà antiche che in passato erano molto conosciute e consumate, ma che non sono mai arrivate alla grande distribuzione. Messi un po’ nell’angolo e relegati ai racconti di genitori e nonni, i frutti antichi sono un vero patrimonio di biodiversità e raccontano l’incredibile varietà della natura. Un patrimonio così prezioso che vale la pena riscoprire e tutelare, per una questione di bontà ma anche per tanti altri aspetti positivi.
Ma cosa vuol dire precisamente frutti antichi? Con questo termine si indicano generalmente una serie di frutti che nel corso degli anni sono stati declassati a “minori”, rimanendo un po’ dimenticati dall’agricoltura convenzionale. Spesso si tratta di piante rustiche, magari coltivate in piccoli orti privati oppure cresciute spontaneamente nelle campagne e tra i campi. Sono state messe da parte perché magari la pianta non corrisponde alle caratteristiche di produttività e apparenza richieste dal mercato: hanno gusti particolari, o sono esteticamente poco invitanti, o devono essere trasformati per poter essere apprezzati.
Qualunque sia il motivo dell’esclusione, i frutti antichi sono stati sempre più lasciati indietro, ma questo non vuol dire che non si possano ancora trovare. Fuori dai grandi centri agricoli, nelle campagne o nelle zone più rurali, ogni regione conserva ancora queste bontà segrete, e non raro che in queste realtà alcuni piccoli produttori locali si impegnino a salvarle dall’oblio.
Sono tanti i motivi per cui i produttori locali si impegnano a non far scomparire i frutti antichi. Per primo, ovviamente, c’è il gusto: questi frutti hanno spesso un sapore completamente diverso da qualsiasi altro frutto, e possono offrire un’esperienza gustativa completamente nuova.
Ma non solo: trattandosi spesso di piante selvatiche, queste varietà sono più resistenti ai fenomeni meteorologici avversi, e inoltre essendo poco diffuse è raro che si siano sviluppati batteri antagonisti, particolarità che le rende molto resistenti a parassiti e malattie.
Coltivare frutti antichi vuol dire inserire nell’ambiente piante più adatte al nostro clima e terreno, e quindi aumentarne la biodiversità, caratteristica fondamentale di un ambiente sano e equilibrato. Inoltre, è un modo di tramandare tradizioni del passato alle nuove generazioni, mantenendo un patrimonio culturale che arricchisce.
Proprio per questo, ogni ottobre, il comune di Casola Valsenio (Ra) organizza la Festa dei frutti dimenticati: è un evento unico organizzato proprio per valorizzare i frutti antichi, tanto che il paesino degli Appennini è stato soprannominato il “paese delle erbe e dei frutti dimenticati’”.
Tracciare tutti i frutti dimenticati è impossibile: le varietà sono tantissime, sparse in tutta Italia a livello locale. Ma sicuramente ne esistono alcuni che sono più conosciuti, di cui potresti aver sentito parlare dai membri della tua famiglia più adulti.
Uno dei più famosi è il corbezzolo, una bellissima pianta sempreverde che fiorisce con una cascata di fiorellini bianchi durante l’autunno, e che dopo diventano colorati frutti a bacca rosso vivo. Polposo e molto dolce, le corbezzole si usano per confetture da preparare in casa, decotti e infusi, e per il miele, molto raro ma buonissimo.
Assomiglia invece all’oliva la corniola, un frutto che a secondo del grado di maturazione può apparire verde, giallo, arancio, rosso acceso o vinaccia: quando assume quest’ultima sfumatura, è il momento di raccoglierlo. Il sapore del corniolo è acidulo, per questo si usa principalmente per marmellate e salse; è tornato ad essere utilizzato, insieme ad altri frutti antichi, dal mondo della mixology, impegnato a riportare in vita alcune di queste varietà dimenticate.
Il cotogno è il re dei frutti antichi: sembra che fosse già coltivato nel 2.000 a.C. dai babilonesi, e che romano e greci lo considerassero sacro. I frutti del cotogno, che possono essere mele o pere cotogne (completamente diverse dalle varietà classiche che conosciamo), sono usati per marmellate, mostarde, distillati e liquori, e per la famosa gelatina chiamata “cotognata”. Fino agli anni Sessanta il cotogno in Italia era molto diffusa, poi la richiesta del mercato è calata e il frutto è diventato raro.
Molto antico anche il sorbo, ricco di proprietà benefiche e facile da trovare selvatico nei boschi di latifoglie. La pianta, bellissima, è spesso usata come ornamento per i giardini, ma si è dimenticato che anche i frutti maturi sono molto buoni: ci si prepara un’ottima marmellata, e in alcuni paesi esteri anche un sidro molto apprezzato. Il sorbo è molto conosciuto anche a livello simbolico, poiché in passato si credeva potesse tenere lontani dalle case gli spiriti maligni.
Chiudiamo la nostra panoramica con un frutto che avrai sicuramente sentito nominare dai nonni, le giuggiole. Ricche di proprietà e benefici, sono i frutti di un albero che cresce sia in pianura che in montagna, si raccolgono in tarda estate quando raggiungono un colore rosso intenso e hanno un inconfondibile sapore dolciastro e zuccheri. La preparazione più famosa è il brodo di giuggiole – specialità da cui è nato anche un famoso detto – ma si usano anche per sciroppi, marmellate e liquori.