Diffusa in quasi tutta la Calabria, le frittole sono più di una ricetta tipica: sono un racconto, della cucina dei popoli del passato che non buttavano niente, e un rito, in onore di sua maestà il maiale.
La Calabria, una regione bella e selvaggia, fatta di contrasti, mare e montagna, tradizioni millenarie e di un’offerta gastronomica vastissima. Oltre la ‘nduja, i formaggi e tutte le ricette più famose e diffuse, la regione vanta una tradizione culinaria molto antica. Ne sono espressione perfetta le frittole, piatto simbolo del famoso detto per cui “del maiale non si butta via niente”. Preparato con le parti nobili del maiale, è estremamente difficile e lungo da preparare, ma è così caratteristico che è nata anche una vera e propria Confraternita per tutelarne la tipicità.
Niente racconta i contadini calabresi meglio delle frittole, una preparazione che affonda l’origine nella cucina povera e che è diffusa in quasi tutta la regione. Si tratta di una sorta di zuppa composta dalle parti di scarto del maiale che restano dopo la pulitura, e che vengono cotte nel loro grasso per ore e ore.
In passato la macellazione del maiale era un vero e proprio momento di festa: data la poca possibilità di avere carne, infatti, quando arrivava era un privilegio. Proprio per questo non se ne buttava nessuna parte, e in questo modo si riusciva a mangiare per giorni. L’uccisione del maiale divenne un vero e proprio avvenimento comunitario, e assunse addirittura un significato simbolico come rituale liberatorio e propiziatorio. Non è un caso che ancora oggi questo momento, soprattutto nei paesi di montagna, nel giorno della macellazione si festeggia con amici e parenti, proprio preparando le frittole.
E anche nell’epoca moderna, in Calabria sopravvive un detto molto particolare, dedicato proprio al maiale: "Cu si marita è cuntentu nu jornu, cu ammazza u porceju è cuntentu n'annu" (Chi si sposa è contento un solo giorno, chi ammazza il maiale è contento un anno intero).
Quella delle frittole può sembrare una preparazione semplice, ma in realtà è una ricetta che non tutti possono preparare: la cottura è molto lunga, e segue delle regole ben precise.
Solo così tutte le parti si amalgamano per bene, e solo così i frammenti di carne più piccoli si depositano sul fondo della pentola: nemmeno loro, chiamati in modo diverso a secondo della zona, vengono buttati, anzi sono serviti in tavola, di solito accompagnati dal pane.
Ultimo atto del rito del maiale, la preparazione delle frittole è essa stessa un rito, una giornata di festa tra amici e parenti dove la parola d’ordine è condivisione che solitamente si svolge nel periodo che precede il carnevale.
Da quanto abbiamo raccontato è facile capire come quella del “frittolaro” sia una vera e propria arte, che richiede una conoscenza specifica della carne, delle quantità e di tutto il processo di cottura. Proprio per custodire questa preziosa tradizione del passato è nata la Confraternita della Frittola Calabrese- La Quadara, associazione che ha come scopo proprio quello di tramandare e raccontare il rito della frittola.
Una memoria storica legata al folklore, ancora portata avanti dalla Confraternita come parte di un progetto più ampio dedicato al recupero delle tradizioni e dei valori della cultura e della cucina calabrese per una loro promozione e divulgazione.
Proprio in ottica di diffusione culturale, la Confraternita organizza la “quadrara”, ovvero il rito della preparazione delle frittole ma in pubblico, da condividere non solo con gli amici come da tradizione, ma con tutti gli avventori.
Ogni anno l’associazione sceglie come location un paese diverso della regione, e lì organizza una dimostrazione di come si preparano le frittole secondo la ricetta antica originale. Dopo il momento educativo, alla fine della lunga cottura, le frittole vengono condivise con tutti i partecipanti, nel pieno spirito della tradizione.