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26 Ottobre 2024 18:00

Formaggi a latte crudo: cosa sono e come si fanno

Si tratta di una tra le tipologie di prodotti caseari che meglio riflette le caratteristiche del territorio di origine, visto che il latte prima di essere lavorato non subisce la pastorizzazione. Conosciamoli meglio, anche se alcuni non hanno certo bisogno di presentazioni.

A cura di Federica Palladini
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Che i formaggi siano tra gli alimenti più antichi e affascinanti del patrimonio gastronomico mondiale non c’è dubbio, e le tante varietà made in Italy non fanno eccezione. Ogni forma racconta una storia fatta di tradizioni, territori, animali e tecniche di produzione tramandate nel tempo. Una categoria che riassume bene questi valori è quella dei formaggi a latte crudo, ovvero quelli prodotti a partire dal latte appena munto che non viene pastorizzato, mantenendo così particolari componenti organolettiche che sono simbolo del terroir di provenienza. Dei campioni di biodiversità e di arte casearia di cui però ci si domanda se non siano rischiosi per la salute, visto che la pastorizzazione è universalmente nota come passaggio utile alla sicurezza del consumatore. Conosciamo meglio i formaggi a latte crudo, per capire quali sono le loro caratteristiche principali e se fanno male.

Che cosa significa formaggio a latte crudo

Quando si parla di formaggi a latte crudo ci si riferisce nell’accezione più pratica a quelli prodotti senza sottoporre il latte al processo di pastorizzazione, con il latte fresco appena munto che viene sottoposto a un trattamento termico inferiore ai 40 °C. La pastorizzazione degli alimenti – messa a punto da Louis Pasteur nella seconda metà dell’800 – consiste nel caso del latte di riscaldarlo tra i 71 °C e i 75 °C per almeno 15 secondi, così da distruggere potenziali batteri patogeni che possono arrecare danni anche molto gravi per la salute. Si tratta di una tecnica che aumenta la sicurezza alimentare (il latte che acquistiamo al supermercato la prevede sempre), ma che allo stesso tempo elimina anche una parte di microrganismi innocui, naturalmente presenti, che danno al formaggio un ampio ventaglio di sapori e aromi, differenziando il profilo organolettico e quello nutrizionale. C’è da dire che all’interno di questa categoria, tra le tante distinzioni che esistono per classificare i prodotti caseari, si trovano sia i formaggi a latte crudo a pasta cruda, sia a pasta semicotta e cotta. Vuol dire che nel momento della formazione della cagliata ci possono essere diversi gradi di riscaldamento: nei primi non si va oltre la temperatura di coagulazione (in alcune robiole o tomini di montagna), nei secondi si arriva a un massimo di 48 °C (tipo la fontina) e nei terzi si superano, come nel grana padano. Latte crudo, quindi, non è sinonimo di pasta cruda: per esempio, il gorgonzola è una tipicità a pasta cruda a base di latte pastorizzato.

Quali sono i formaggi a latte crudo

Da qui si può capire come i formaggi realizzati con latte crudo corrispondano a un vero e proprio tesoro del territorio, in quanto la materia prima con cui vengono realizzati porta con sé le peculiarità della zona di provenienza, dove assume notevole importanza il cibo con cui vengono nutrite le vacche, le pecore o le capre da cui si origina, tra erba fresca, fieno e foraggi. Si è abituati a pensare che si tratti di specialità di nicchia, consumate solo dagli intenditori, ma in realtà non è (solo) così e comprendono tantissime tipologie diverse tra loro. Come abbiamo visto, tra i più noti ci sono il Grana Padano Dop, la Fontina Dop, simbolo della Valle d’Aosta, ma anche il Parmigiano Reggiano Dop, il Taleggio Dop e il Caciocavallo Silano Dop, il Montasio Dop del Friuli, il Bitto Dop della Valtellina, a latte vaccino, oppure il Fiore Sardo Dop di pecora, o ancora la Robiola di Roccaverano Dop, un pregiato caprino dal Piemonte. Tra le varietà meno note, possiamo citare il Morlacco veneto, dagli alpeggi del Monte Grappa o la Formaggella del Luinese Dop lombarda, ma pure il Casolét trentino. Molti hanno in comune le radici montane: tradizionalmente sono loro i formaggi a latte crudo per eccellenza, quelli che vengono prodotti in modo artigianale nelle malghe e nei micro-caseifici con il latte appena munto dagli animali che pascolano nei prati in alta montagna.

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A cosa si abbinano i formaggi a latte crudo

Proprio perché non omologati nei sapori, i formaggi a latte crudo hanno la caratteristica di avere profili molto decisi e definiti, indipendentemente dalla stagionatura più o meno lunga. Per abbinarli al meglio, quindi, è utile orientarsi tra ingredienti locali, come miele, frutta secca, confetture, mostarde: spesso il consiglio è gustarli così come sono in un tagliere, accompagnati da pane e salumi, ma usati nei piatti danno una marcia in più alle ricette. Lo possiamo vedere con il taleggio e la fontina, protagonisti di risotti, pastasciutte, lasagne e fondute golose, così come nel grana e nel parmigiano, amati per la loro versatilità.

Sono rischiosi?

Il dibattito che coinvolge questi formaggi è sostanzialmente lo stesso che investe il latte crudo, nonostante le fasi di lavorazione successive minimizzino i rischi. Torna ciclicamente a galla in seguito a fatti di cronaca che attirano l’attenzione dell'opinione pubblica, perché coinvolgono soprattutto bambini vittime di gravi intossicazioni se non proprio di malattie, come per esempio la sindrome emolitico-uremica (SEU) a causa del consumo di formaggi a latte crudo in cui è presente il batterio dell’Escherichia coli.

Le criticità riguardano inoltre infezioni da listeriosi (Listeria) e salmonellosi (Salmonella), che possono avere come conseguenze disturbi gastrointestinali lievi, dai crampi alla diarrea, fino alla comparsa di sintomi come vomito o mali ben peggiori, anche se in casi rari. Attaccando il sistema immunitario, infatti, questi batteri sono pericolosi per chi lo ha tendenzialmente debole, come bambini, donne in gravidanza, anziani fragili e persone immunodepresse: da qui l’attenzione nel mangiarli per queste categorie.

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La produzione dei formaggi a latte crudo segue rigide normative di igiene, sia di carattere europeo sia nazionale: la contaminazione batterica, a meno che l’animale non sia ammalato, non si trova direttamente nel latte, ma può avvenire in ogni fase della filiera, dal momento della mungitura, attraverso il contatto con la pelle delle ghiandole mammarie alle mani dell’operatore, passando per la fase di stoccaggio e trasporto. La corretta pulizia degli animali, del luogo in cui vivono e dei materiali con cui entra in contatto il latte è fondamentale per avere un prodotto sicuro.

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