L'importanza della forza nella farina per la scelta del prodotto, più della tipologia. La differenza fra grano duro e grano tenero, ma anche fra tra le tipologie 00, 0, 1, 2 e integrale, con le loro caratteristiche. Esistono farine buone? Non esistono in senso assoluto, ma solo in rapporto al prodotto che dobbiamo preparare. Ecco tutti i trucchetti per acquistare consapevolmente.
La farina è un prodotto fondante dell’alimentazione mondiale, figlio della macinazione e del conseguente abburattamento dei semi o della frutta secca di moltissime piante. Nella storia dell'umanità ci sono state guerre, rivoluzioni, invasioni, solo e unicamente per la farina.
Ci sono tanti tipi diversi di prodotto però: abbiamo la farina di mais, di farro, di riso, di avena, di segale, di castagne, di ceci, di mandorle, di grano saraceno, di orzo tra le più conosciute. Nel linguaggio comune con il termine farina è però indicata solo quella ottenuta dal grano, utilizzata per la maggior parte dei prodotti alimentari.
Una domanda che sorge spesso spontanea: che differenza c'è fra le farine di grano tenero e quella di grano duro? In realtà sono due tipologie di frumento simili fra loro livello strutturale, ma che hanno forti differenze dal punto di vista nutrizionale e degli usi. La farina di grano tenero viene fatta da Triticum aestivum, mentre quella di grano duro deriva dal Triticum durum; si tratta di due varietà della stessa pianta, che afferisce alla famiglia graminacee. Vediamo insieme le differenze principali fra i due prodotti.
Dalla macinazione del grano tenero si ottiene una resa in farina che oscilla tra il 70 e l'82%; il rimanente 18-30% è costituito da elementi come crusca, cruschello, germe, farinaccio, che non vengono impiegati in cucina tranne in rarissimi casi. Secondo il grado di estrazione si possono distinguere diversi tipi di farina: quelle che derivano da basse estrazioni (abburattamento del 70-75%) sono fatte principalmente con la parte centrale del chicco e hanno evidenti caratteristiche di candore e purezza: in Italia questa tipologia è denominata con l'etichetta "tipo 00".
Al contrario, una farina che subisce un certo tasso di estrazione (circa 80%) sarà meno chiara (perché contiene anche la farina proveniente dalla parte esterna del chicco): queste sono denominate con i marchi farina tipo 0, tipo 1 o tipo 2. Infine, c'è l'integrale che non è composta dal 100% del frumento macinato (la legge italiana fissa dei limiti di presenza di ceneri per cui una parte di crusca deve essere rimossa), ma contiene comunque un livello elevato di crusca.
“Le farine si differenziano in base alla quantità di crusca presente e questo dipende dall’abburattamento, ovvero la setacciatura del chicco” ci dice Salvatore Kosta; un maestro-professore che prima di arrivare a mettere le mani in pasta, si è laureato in Scienze e Tecnologie Alimentari, una laurea che gli ha fornito le competenze teoriche per presentare uno dei migliori impasti d’Italia.
Più il chicco è integro, più la farina diventa grezza: così si va dalla farina integrale (più scura, con più crusca), alla farina tipo 00 (più bianca, pressoché priva di crusca). Ma entriamo nel dettaglio.
La premessa doverosa è che non esistono farine più “buone” o meno “buone” in senso assoluto. La bontà della farina è solo in relazione al prodotto che si vuole realizzare e questo, più del tipo di farina, lo dice la “Forza” proprio come in Star Wars. “La farina dobbiamo sceglierla in base alla quantità di proteine, più che sulla quantità di crusca” ci dice Kosta. Praticamente la parte cruscale incide sul gusto, la parte proteica sulla tecnica: “Prima di scegliere una farina devo chiedermi cosa ci voglio fare. Per arrivare a questa scelta dobbiamo cercare all’interno della tabella dei valori nutrizionali, il numeretto delle proteine. Più è alto, più la farina è forte". Questo non vuol dire che una farina debole sia di bassa qualità, attenzione. "dipende appunto da cosa dobbiamo realizzare con questo prodotto: perché una forza bassa ha meno glutine, ed è adatta a specialità che non devono assorbire tanta acqua né prevedono l’uso dei grassi. Una farina debole possiamo usarla per i biscotti, le cialde, i prodotti friabili; al contrario per una pizza di alta qualità che ha bisogno di una lunga maturazione e riposo, devo usare una farina molto forte, in grado di reggere l’onda di CO2 prodotta dai lieviti”.
A testimonianza che la farina forte non sia sinonimo di farina buona (e viceversa), Kosta ci dice anche l’esempio contrario: “Se dovessi fare una pizza maturata per 12/24 ore con una farina forte, dal valore che va dai 240 e i 350, il piatto risulterà gommoso”.
L’indicazione in foto, tratta da un pacchetto di farina Barilla di Tipo 00 usato come esempio ha un valore proteico di 11 grammi su 100 di prodotto, il che la rende una farina debole, non adatta a panificare, ma in compenso adatta per biscotti, cialde, dolci friabili.
Tutto questo nella grande distribuzione è difficile da percepire dice il pizzaiolo (ed infatti sulla confezione in foto non c’è), perché “Purtroppo i dettagli sulla forza non sono disponibili. Un metodo per valutare la forza di una farina è controllare il suo contenuto proteico: a parità di tipologia di farina (0,00, etc) un valore più alto corrisponde ad un W più alto, la W è il simbolo della forza”.
Bisogna però fare attenzione alle farine integrali che hanno un alto valore di proteine perché “sono legate alla presenza della crusca e che non contribuiscono alla formazione del glutine e per questo sono più difficili da panificare”. La forza della farina è dovuta all’indice di panificabilità, un calcolo ottenuto con l’alveogramma e che indica un alto contenuto di glutine.
Al supermercato il suggerimento è semplice: leggere le etichette. La farina non esiste in natura, è un prodotto lavorato e che si deve lavorare ulteriormente. L’ingrediente è il grano, quindi per giudicare la farina bisogna conoscere il grano e la sua origine, la sua macinazione, la sua coltivazione. Più un’etichetta è prodiga di informazioni, migliore sarà la qualità della farina.