Non una moda ma una necessità richiesta direttamente dalla natura. Alla scoperta dell'agricucina, un nuovo modo di intendere (e fruire) la ristorazione, basata su un ritorno alla terra e i suoi frutti. Ora autoprodotti.
In un mondo in cui ormai sembriamo essere abituati a sorprenderci quando gli ingredienti hanno effettivamente il sapore che dovrebbero avere, assuefatti come siamo dalla Gdo e da materie prime piatte e anonime, la riscoperta, il ritorno alla terra e ai suoi prodotti è una panacea in cui dovremmo rifugiarci, rimedio per la salvaguardia del gusto autentico e puro oltre che per la tutela di una questione etica e di sostenibilità ambientale. In quest'ottica si sta progressivamente diffondendo la filosofia legata all'agricucina, un "nuovo" modo di intendere la ristorazione che pesca dal passato: dalla terra, la sua coltura, i suoi prodotti figli dei cicli naturali. E anche l'alta cucina sembra si stia indirizzando sempre di più verso questa dimensione più "pura", etica e sostenibile.
Negli ultimi anni stanno prendendo sempre più piede, fisiologicamente lontano da città o dai grandi centri urbani, locali in cui la proposta gastronomica si basa (anche) sulla terra e sui suoi frutti, coltivati in loco e autoprodotti. Verdura, frutta, legumi, radici, tuberi e quant'altro può nascere e crescere attraverso l'ancestrale, ma sempre attuale, pratica dell'agricoltura.
Un’agriturismo in sostanza, affermerete voi: non proprio, in quanto si tratta di autentici ristoranti con una proposta gastronomica ricercata, per certi versi elegante e curata. Una sorta di via di mezzo tra un agriturismo in senso stretto del termine (considerata l'autoproduzione delle materie prime) e un ristorante di alta cucina, capace di trarre il meglio da entrambe le proposte per un mix buono, bello ma soprattutto sostenibile dal punto di vista ambientale. Nel pieno rispetto della natura e dei cicli naturali in un rapporto in cui i prodotti della terra vengono esaltati con criterio, senno e tecnica.
In quest’ottica il ristorante ora diventa produttore e primo, diretto, fruitore delle sue stesse materie prime, in una dimensione di economia circolare e dalla circonferenza molto, molto stretta.
Mettete per un attimo da parte la concezione di chef-superstar, di personaggio mediatico incensato (o attaccato) per ogni sua azione pubblica. Ora è (anche) contadino, senza per questo dover perdere in tecnica, conoscenze e idee sviluppate precedentemente in anni e anni di gavetta. Al servizio esclusivamente della terra da una parte, del cliente dall’altra.
L'agricuoco alle luci dei riflettori preferisce gli stivali sporchi di terra (cogliete la metafora), alla sua immagine pubblica (e social) predilige curare quella di “semplice” professionista di una cucina strettamente legata a materie prime autoprodotte e, di riflesso, al territorio di riferimento. Meno fuochi d’artificio, insomma, e più sostanza, senza necessariamente sacrificare tecnica ed estetica nella resa finale. L’agricucina presuppone quindi anche una differente (e più umana?) considerazione dello chef, del professionista, ma soprattutto pone la terra e i suoi prodotti alla base di una cucina etica e sostenibile.
Da qualche anno vari ristoranti in Italia hanno già iniziato a far loro questa attitudine. Il più famoso di tutti è sicuramente il Piazza Duomo di Alba, il tre stelle Michelin di proprietà della famiglia Ceretto (tra le più importanti nel mondo del vino) guidato da Enrico Crippa. Lo chef, ormai da tempo, per la sua cucina può contare su un vastissimo orto con annessa serra. Qui Crippa coltiva praticamente tutti i vegetali (circa 400 tipologie) utilizzati nei suoi piatti (iconica è l’Insalata 21…31…41, dal numero di germogli, fiori e foglie che nei diversi momenti dell'anno la compongono). Un orto fino allo scorso anno seguito direttamente da Enrico Costanza, ritenuto il culinary gardener più famoso d’Italia.
Non solo Crippa ovviamente in questo speciale elenco di ristoranti autoproduttori di materie prime vegetali. Al confine con la Slovenia Antonia Klugmann porta avanti una cucina di frontiera basando gran parte della sua proposta su verdure, frutti, semi, ortaggi e fiori. L’Argine a Vencò, il ristorante 1 Stella Michelin, si trova nel bel mezzo della campagna quindi impossibile negare la vocazione “green” del locale dell’ex giudice di Masterchef. Anche le foreste circostanti inoltre garantiscono parte delle materie prime utilizzare tra i fornelli, dove il concetto di cucina sostenibile è e rimane centrale nella filosofia della chef.
Si rimane al nord, e che nord, per scoprire il SanBrite di Cortina D’Ampezzo. In dialetto locale il nome significa letteralmente “malga sana” e seguendo questo principio la cucina dello chef e patron Riccardo Gaspari non poteva non essere vocata al territorio. Un territorio che vede il ristorante immerso tra i boschi montani, le campagne d’alta quota, tra vegetali di montagna e mucche di proprietà pascolanti in malga. Oltre alla parte legata agli ortaggi, infatti, il SanBrite (ricavato da un ex fienile) si autoproduce anche formaggi, yogurt e burro. Per il 70% le materie prime utilizzate qui sono prodotte internamente, il restante 30 acquistato da produttori della zona.
Scendiamo nel Centro Italia spostandoci in provincia di Viterbo. Qui c’è un locale, un agriturismo vero e proprio, che nel territorio è una vera istituzione. Il Casaletto può vantare Tre Spicchi e Tre Gamberi nelle guide Pizza e Ristoranti del Gambero Rosso: risultato figlio di una filosofia di cucina incentrata quasi esclusivamente sull’autoproduzione delle materie prime. La famiglia Ceccobelli, proprietaria dell’agriturismo, cura un orto dedicato e segue l’allevamento di maiali bradi.
Questi sono solamente alcuni esempi “nostrani” di cucina sostenibile e autoprodotte, e all’elenco andrebbero incluse anche altre realtà come il Baglio Occhipinti di Ragusa oppure il ristorante Margherita del Romantik Hotel Villa Margherita di Mira, in provincia di Venezia, o ancora la stellata Trattoria Zappatori di Pinerolo, guidata dallo chef Christian Milone (non a caso, allievo di Crippa). La lista di ristoranti con autoproduzione di materie prime vegetali (e animali), come detto, in Italia si sta facendo sempre più lunga, simbolo di come il nostro Paese stia compiendo notevoli passi avanti in questo settore.
Se volgiamo lo sguardo all’estero uno degli esempi più puntuali in tal senso è quello del Blue Hill, ristorante stellato poco distante da New York (non proprio dove si penserebbe di trovare un locale simile) totalmente immerso nel verde della Hudson Valley e forte di ampie coltivazioni e importanti allevamenti. Stesso discorso di sostenibilità per il ristorante sloveno Hisa Franko, guidato da Ana Ros, a Kobarid (località nota, in Italia, come Caporetto).
Chi, tornando nei nostri confini, da qualche mese nel suo nuovo locale sta seguendo questi dogmi è Giulio Gigli, chef del ristorante Une a Capodacqua di Foligno, il quale ci ha spiegato i vantaggi (ma anche le difficoltà, specialmente in fase di start up) di attuare questo tipo di ristorazione. Ci siamo recati sul posto, per conoscere sia lo chef (con alle spalle esperienze a Il Pagliaccio di Roma e al Disfrutar di Barcellona, entrambi due stelle Michelin, e a Le Cheval Blanc, tristellato) sia la brigata che lo segue in questo progetto nato solamente pochi mesi fa, ma capace in poco tempo di far parlare di sé grazie soprattutto a un’accurata attenzione verso la natura, i suoi cicli e prodotti.
Lo chef ci ha illustrato l'importanza, ma anche i limiti, dell'avere una dispensa verde a disposizione del proprio ristorante. Abbiamo scavato più a fondo, con chi se ne occupa direttamente, nel vasto tema "green" dell'agricucina.
Une in umbro antico significa acqua e come l’elemento di cui porta il nome la cucina del ristorante è fluida, in continua mutazione. Panta rei verrebbe da da dire, “tutto scorre”, così come la proposta dello chef Giulio Gigli fluisce lentamente col passare delle stagioni, secondo il ritmo dei cicli naturali. Etica e sostenibilità le parole chiave della filosofia di uno chef che ha avviato nella sua Foligno un nuovo progetto green.
Il territorio, nuovamente, detta l'idea di cucina. Stretto il legame tra Une, locale immerso nel verde umbro, e la natura. Non poteva essere altrimenti, considerando anche la posizione geografica in cui ci troviamo: tra i colli del confine umbro-marchigiano, alle pendici dell’Appennino centrale. Non a caso il progetto gastronomico di Une segue tre canoni precisi, profondamente intrecciati tra di loro: sostenibilità (tema sempre più attuale nella medio/alta ristorazione), cucina etica e rivalorizzazione degli scarti. Il tutto (o quasi) retto da un orto avviato da pochi mesi e che sta man mano prendendo forma, arricchendosi sempre più di prodotti della terra.
“Qui all’esterno abbiamo all’incirca 6000 metri quadrati dedicati alla coltura di piante accuratamente selezionate – ci racconta Giulio –, limitatamente a ciò che serve per le nostre esigenze”. Un esempio? “Oggi stiamo coltivando aglio e cipolle anche per testare la risposta del terreno, ma stanno crescendo pure fave e piselli che andremo a usare nei menu della bella stagione, mentre fino a poche settimane fa coltivavamo anche lo spinacio di montagna". Dalle prime battute si intende come l'agricucina presupponga una filosofia di ristorazione che lavora in anticipo, su ciò che verrà: "Il tipo di coltivazione che facciamo è mirata alla progettualità dei menu: già oggi pensiamo ai piatti che usciranno tra qualche mese, e in base a questi andremo a studiare e decidere le piante da coltivare, sempre nel rispetto dei cicli naturali, del loro periodo di raccolta e considerando i vari abbinamenti che creeremo. Perciò lavoriamo con un certo anticipo, oppure studiamo ciò che potrebbe servirci per realizzare delle conserve o marmellate, sulle quali puntiamo molto”.
Etica, responsabilità e sostenibilità sono alla base dell’agricucina e Une non sfugge da questo assioma: “L’aspetto della sostenibilità in cucina credo sia molto importante, così come il lavorare in modo etico. Un posto come questo poi lo richiede: in campagna, lontano da grandi centri urbani, in un borgo di appena 200 abitanti e in mezzo alla natura. Andare a rifornirsi esternamente di materie prime come i vegetali sarebbe un controsenso. Preferisco fare questo tipo di lavoro, anche se nella fase iniziale sicuramente le spese sono maggiori delle entrate considerando tutto l'impegno necessario per avviare e sostenere il progetto".
Il richiamo della terra, e alla terra, non è quindi rimasto inascoltato: "Si tratta di un tipo di ristorazione, e di mentalità, che ci richiede la natura stessa: viviamo ormai in un mondo in cui tutto l’anno troviamo praticamente ogni cosa, e questo sicuramente non giova all'ecosistema. Oggi si è persa quasi la reale dimensione delle cose e anche a livello ambientale ciò rappresenta una forzatura. Esistono le stagionalità e si dovrebbero rispettare in quanto tali”. Un plauso al progetto insomma, considerando anche come in questa prima fase i costi non siano certo ridotti per avviare doverosamente un orto in grado di soddisfare la domanda di un ristorante da circa 200 coperti a settimana.
Il pensiero finale di Giulio, però, va al cliente: “In fase di start up come siamo noi va messa in preventivo una perdita iniziale solamente tra studi preliminari, primi lavori sul terreno, semine o pagare la persona addetta all’orto. A lungo termine credo ci potrà andare pari, ma sicuramente è interessante ciò che poi il cliente si trova a mangiare. Il guadagno è lì: nella qualità del piatto finale, nella storia che c’è dietro e nella soddisfazione dei nostri ospiti”. Aggiungiamo noi, anche nell'importanza del veicolare ai non addetti ai lavori un messaggio legato al rispetto della natura e alla sostenibilità ambientale.
In fase di presentazione abbiamo definito quella di Une una cucina fluida, in continuo mutamento. È proprio la natura, con i suoi cicli e i suoi ritmi, a dettare l'offerta gastronomica, richiedendo un ricambio continuo sia di materie prime sia, conseguentemente, di idee sui piatti da preparare. Giulio, però, considera questa fluidità un grande vantaggio per la sua cucina: “… perché nella stagionalità trovi la massima espressione del sapore, sia frutta, verdura, prodotti del bosco ecc. È sicuramente un pro utilizzare un prodotto stagionale rispetto a uno cresciuto in serra. Un limite? Il cambiamento è molto veloce, ma è un limite positivo in quanto stimola la creatività, è divertente”.
Agricucina significa anche inventiva e capacità di riutilizzo degli sprechi o di eventuali rimanenze. Un esempio? La produzione di compost: “Abbiamo iniziato a realizzarlo già da qualche settimana – racconta –utilizzando gli scarti veri e propri, come per esempio le foglie del cavolfiore. Alcune cose sono utilizzate per i pasti del personale, in quanto mangiando qua due volte al giorno abbiamo margine di riuso, oppure si cerca di sfruttare quante più parti possibili di un elemento. Con una patata facciamo il brodo con le bucce e una specie di spuma di polpa con il sifone, quindi un elemento si presta a più utilizzi e di fatto non hai scarto. Magari in un degustazione parti di un ingrediente le utilizzo in un piatto, altre in quello dopo andando a creare una sorta di sequenza, quindi cerchiamo di ridurre al minimo gli sprechi. Il lavoro del cuoco è anche qui”.
Per quanto l’orto di Une sia ancora molto “giovane” nella mente dello chef già ci sono progetti di implementazione nei 6000 metri quadrati dedicati: “Oggi abbiamo una fascia destinata alle coltivazioni di 6-7 vegetali e a breve ne avvieremo un’altra simile. Poi creeremo uno spazio per le erbe, e abbiamo in progetto di coltivare anche frutti di bosco, tra fragole e lamponi. Allevamenti? Forse un pollaio, perché le galline sono un elemento importante per l’orto, concimano ed evitano l’azione di molti parassiti. In più al piano inferiore abbiamo una struttura in cui vorrei creare una fungaia”.
Tutto, poi, sarebbe inutile (o quasi) se al cliente non arrivasse il racconto vero e proprio del lavoro necessario per la realizzazione di un piatto: “È importante che in sala i camerieri riescano a spiegare questo progetto agli ospiti, raccontare ciò che c’è dietro le portate, veicolando il lavoro che porta alla creazione di ciò che arriva a tavola”.