Hai mai sentito parlare di effetto pizza o rimbalzo? Ti spieghiamo questo importante fenomeno antropologico che ha preso il nome dal cibo più famoso e conosciuto del mondo ma che oggi racconta di pokè e sushi "all'occidentale".
Se facciamo riferimento al pizza effect intendiamo un fenomeno culturale antropologico: si tratta di un cibo che diventa conosciuto al di fuori del posto in cui nasce e che poi si riafferma anche in patria. Questa è una locuzione coniata negli anni ’70 da Agehananda Bharati, monaco indù di origine austriaca, docente di antropologia all’Università di Syracuse, negli Stati Uniti. Nella sua teoria, il professore sosteneva che la pizza fosse nata in Italia e poi successivamente esportata in America dai contadini siciliani e calabresi, ed è proprio qui che diventerà il piatto più famoso al mondo.
A spiegarci bene cosa significa effetto pizza è il professor Marino Niola, antropologo, giornalista e divulgatore scientifico. "Quello che s'intende realmente per pizza effect – spiega – è un evento antropologico che riguarda un effetto rimbalzo: si verifica quando un cibo o un'usanza nascono da una parte, migrano e poi ritornano al luogo d'origine". Secondo il professore, il nome combacia con quello della pizza in quanto alimento più conosciuto al mondo e simbolo della globalizzazione. Nel caso di quest’ultima, però, l’effetto è parziale: la pizza è stata adottata e trasformata negli Stati Uniti, ma non è tornata in Italia in una forma "americana". Anzi, la pizza non è mai andata via dal nostro Paese. Si tratta insomma di una teoria efficace, nata sulla base di un errore.
Niola sostiene che Agehananda Bharati abbia commesso un grosso errore di valutazione, forse per mancanza di fonti, quando ha coniato la locuzione. “La pizza negli Usa – racconta l’antropologo – è stata esportata da un napoletano, Gennaro Lombardi che, nel 1905 aprì la prima pizzeria a New York. È proprio nel capoluogo partenopeo che nasce come oggi la intendiamo ma è pur vero che, eccetto Napoli, è diventata famosa prima in America che in Italia. Nel nostro Paese nessuno sapeva cosa fosse". Il professore ci spiega che l’effetto pizza, per quest’alimento, non si può ugualmente applicare al Belpaese, in quanto non è mai andata via dal luogo di nascita, mentre è considerabile per altre nazioni europee in quanto non è difficile trovare ristoranti che vendano la pizza americana, ossia grande, con un enorme strato di formaggio e servita a spicchi.
Sono tanti i prodotti gastronomici che, nel corso del tempo, hanno subito una modifica o contaminazione e che quindi possono essere annoverati tra quelli trasformati dall’effetto pizza. Hai presente quando, al ristorante giapponese, ordini il sushi con il formaggio spalmabile, fragole e avocado come guarnizione? Dovresti sapere che in realtà quello che stai mangiando non è il vero sushi ma una pietanza che, regina della cucina del Giappone, è stata riadattata in base ai nostri gusti occidentali. Lo stesso discorso vale anche per il famoso poke, l’insalatona healthy tanto popolare negli ultimi anni che, nel modo in cui la concepiamo, è lontanamente simile a quella originale nata alle Hawaii.
Marino Niola però è entusiasta del pizza effect, "Credo che il fenomeno corrisponda alla vera ricchezza della cucina – confessa – è così prezioso che senza di questo mangeremo ancora come i nostri antenati". Secondo l'antropologo, l'arte culinaria non sarebbe tale senza scambi e contaminazioni. "L'idea che il cibo sia autoctono – continua – o che rimanga nel luogo in cui nasce senza spostarsi, è un illusione. Basti pensare all‘identità culturale italiana che senza contaminazioni, non sarebbe tra le più apprezzate e conosciute al mondo".
L'effetto pizza in realtà esiste per quasi tutti gli alimenti. Gli esempi dei piatti sopra citati sono una chiara dimostrazione di come i cibi si evolvano durante le migrazioni. Un discorso simile va fatto anche per le materie prime: molte di queste, fondamentali per la nostra cucina, hanno fatto un percorso migratorio che le ha rese oggi indispensabili. "I pomodori sono stati scoperti nelle Americhe – spiega Niola – i primi a coltivarli e a mangiarli sono stati gli Aztechi. In Europa questo ortaggio è arrivato nel 1500 ed è solo alla fine del 1700 che è lentamente entrato in cucina per poi essere prodotto in larga scala e arrivare "trasformato" nel luogo in cui è stato scoperto".
Lo stesso discorso vale anche per il caffè che, migra in occidente per essere modificato come noi oggi lo conosciamo e tornare oltre oceano dove, anche qui, l’espresso è diventato popolare. “Lo scambio, la trasformazione, l’arricchimento: tutto questo – puntualizza l'antropologo – ha fatto diventare la cucina così come la intendiamo oggi. Non solo i pomodori o il caffè, anche altri cibi come l’olio o il vino, hanno subito un processo di migrazione”.
La globalizzazione di tali prodotti, secondo l'antropologo, è sempre avvenuta, anche in epoche storiche precedenti a quella odierna. Anticamente nei banchetti dei Romani, i cibi esotici erano sempre presenti, e ne mangiavano in continuazione perché li adoravano. “Gli scambi ci sono dall’inizio dei tempi – puntualizza Niola – e lo notiamo anche dal nome delle nostre pietanze più tipiche. Pensiamo alle zucchine alla scapece, piatto identitario della cucina napoletana, ma che in realtà è tutto straniero a cominciare dal nome che è un ispanismo che deriva da escabeche, ossia marinare. Ma anche gli spagnoli a loro volta lo hanno ereditato dalla lingua indo-iranica per fare riferimento a una serie di preparazioni alimentari dove i cibi venivano prima fritti e poi messi a macerare nell’aceto per essere conservati. Quindi – continua – tutto è il risultato di scambi ed è per questo che il pizza effect ha sempre funzionato anche prima che la pizza stessa nascesse”.
Questo fenomeno è un concetto davvero interessante poiché, come ci ha raccontato Marino Niola, prima nasce come un'osservazione sociologica delle trasformazioni della pizza italiana negli Stati Uniti e poi è stato applicato a molte altre tradizioni culturali. Ci ha aiutato a comprendere quanto la cultura e gli scambi commerciali abbiano influenzato il nostro modo di vivere e fatto vedere quanto la natura sia dinamica e in continuo cambiamento. Tutto questo non si limita solo al cibo, ma può essere esteso a pratiche culturali, musicali e artistiche che vengono re-interpretate in modo diverso quando migrano in nuove culture.
Questo fenomeno solleva anche un'importante riflessione sul rispetto per le tradizioni culturali considerate "originali". Quando un piatto o un’usanza vengono re-intrepretati è fondamentale comprendere e preservare le sue radici.
In questo senso l’effetto pizza è una lezione importante sul bilanciamento tra innovazione e autenticità, un tema sempre più ricorrente in un mondo oramai globalizzato e multiculturale quasi del tutto. Come spiega Niola, il significato che porta questo fenomeno antropologico è un messaggio di interconnessione culturale che dimostra non solo la potenza del cibo come veicolo di identità e scambio culturale, ma evidenzia l’incredibile capacità della cucina di adattarsi a nuove realtà mantenendo inalterati i legami con le proprie origini. Tutto questo è una prova di creatività culturale e di come gli esseri umani, sfruttando il territorio a disposizione, abbiano modificato un elemento arrivato da lontano adattandolo e arricchendolo in base alle proprie esigenze.