Esiste una profilazione delle persone in base al vino che prediligono? Sono diversi gli studi scientifici all'attivo che indagano le relazioni tra vino e personalità. Aldilà di quanto ci sia di vero, vogliamo provare a fare un gioco con voi, attraverso il profilo di sei uve internazionali molto note. In che vitigno vi riconoscete?
"Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei", scrisse il proto-foodie del XIX secolo Jean Anthelme Brillat-Savarin. Venne poi il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach con "l'uomo è ciò che mangia". Frasi di grande attualità, soprattutto in una società che riconosce il valore edonista, oltre che salutista, del cibo che consuma. E il vino? Anche un'etichetta, una denominazione, un'uva può raccontare di noi? Scegliamo una bottiglia in base a diversi parametri e le neuroscienze applicate al marketing sanno bene come attirare l'interesse degli acquirenti. Il vino tuttavia, rispetto ad altre categorie merceologiche, ha qualcosa di diverso ed è la sua parte "inebriante".
Stiamo naturalmente parlando dell'alcol e dell'effetto che può avere su di noi: assodato che non abbiamo intenzione qui di discettare di eccessi o di hangover, indubbiamente vi è un aspetto del vino che ha a che fare con i sensi più autentici – quindi no vista e udito – come l'olfatto, il gusto ma anche il tatto. Un vino come un vestito che calzi bene, o che sia in accordo con il mood del momento: ci si può sentire a volte un Pinot Nero, altre uno Chardonnay. Proviamo allora a fare una sorta di lista di Wine Profile, partendo dai vitigni internazionali?
Un'uva francese di Bordeaux che ha trovato tante e fortunate residenze nel nostro paese, Molto amata dagli americani fino a un po' di anni fa, oggi non è tra i vitigni più desiderati (fatto salvo i grandi Château francesi). È coriacea grazie a una buccia spessa che la protegge anche da diversi patogeni. La buona quantità di tannini presenti la rendono longeva, più adatta ai pasti che a essere bevuta da sola. Insomma, un vino solido, di certezze e di sostanza, che sa stare in compagnia senza essere invadente, più da ascolto che da parlantina sciolta, ma quel poco che dice lo assesta bene. Un vino – come una persona – apparentemente imperturbabile, a cui affidarsi per chiedere consiglio.
Lo metti al naso e lo riconosci quasi sempre: sa di erbe e verdure, ha un vegetale davvero spinto (o di pipì di gatto, altra sua nota caratteristica). È tutto riconducibile alla pirazina, il composto aromatico che caratterizza quest'uva bianca. Sta bene un po' ovunque, dall'antipasto ai primi, fino ai secondi di carne e di pesce, a patto che non siano ricette particolarmente complesse. Insomma, un profilo affidabile e che non delude, ma che non offre grandi sorprese. Più gregario che leader, è un ottimo starter per dare il via a progetti e obiettivi, ma è probabile poi che lo perdiate un po' per strada.
Perché sennò sarebbe l'uva più diffusa al mondo? Questo bianco non conosce limiti territoriali, spazia in ogni angolo del pianeta e riesce, come una spugna, a raccontare le zone dove cresce in maniera camaleontica. Che sia proposto in acciaio o in legno, che abbia le bolle oppure no, lo Chardonnay cerca consensi. E sa farlo adeguandosi all'occasione in cui si trova, dai piatti più semplici a vassoi carichi di aragoste. Sono vini e persone a loro agio: peccano magari un po’ in personalità, ma dalla loro hanno la versatilità. E poi hanno pochi spigoli, sono più tendenti all'avvolgenza.
Come l’amico che sta bene sempre in comitiva, quello non esilarante, non particolarmente ironico, ma indubbiamente simpatico e alla mano. Soprattutto non sarcastico, qualcuno che tende a non ferire le persone. Seda le risse, fa da paciere, ha una buona parola per tutti, insomma fa il mediatore. Il Merlot è il corrispettivo rosso dello Chardonnay: puoi berlo in piena gioventù quando ama raccontarti della sua polpa vivace, del colore intenso, della frutta netta e piena al naso e in bocca, oppure puoi aspettarlo e lì stupirà con trame dai tannini setosi e dalle spezie antiche. Difficile che sia disapprovato. Unico svantaggio è che, talvolta, il mettere d’accordo tutti rende poco esclusivi e quindi facilmente dimenticabili. Il vantaggio è di certo la compatibilità.
Il carattere difficile, i tannini non ammaestrabili con facilità, un colore a volte evanescente: insomma una certa scontrosità caratterizza quest’uva e chi la ama. L’idealismo vince sul pragmatismo, la passione sul raziocinio, il caos sull’ordine. Meglio bruciare che spegnersi poco a poco. Se trovi chi ti apprezza però saranno scintille: il Pinot Nero sa essere generoso di sfaccettature, il colore diventa brillante, il sorso lungo e appetitoso, delicato nei profumi di viola e di rosa. È il guizzo, va colto nella bellezza di pochi istanti. Così, come le persone inaffidabili, creative, affascinanti e sfuggenti. Fare affidamento su di loro può riservare delusioni, meglio quindi non farsi aspettative e godersi il momento. Non è detto che non duri per sempre, come spesso fanno i grandi Pinot Nero.
Carta d’identità multipla: secco, appena dolce, dolcissimo, poi odori di benzina, di vernice, di smalto. Un vino cangiante, non c’è che dire, a cui gli anni sembrano solo far bene. Tra i vini più rari al mondo, le etichette più vecchie vengono cercate come il Sacro Graal e si racconta spesso di cantine di tedeschi zeppe di tesori enoici senza saperlo. Al Riesling piacciono i piatti esotici, la piccantezza. Sono avventurieri perché non temono gli abbinamenti azzardati e potrebbero raccontare storie per ora, ma guai a trattenerli a lungo: scapperanno a gambe levate perché non sono fatti per rimanere in un posto. Fedeli? Al momento sì e hanno piacere ad assecondare i desideri altrui, ma non chiedono e, di conseguenza non danno, l’esclusiva.