Entriamo nel mondo delle denominazioni Dop e Igp, probabilmente le più famose insieme alla Doc dei vini, senza dimenticare che ne esistono anche delle altre, magari meno conosciute, tra Stg e Docg. Vediamo cosa significano.
Quante volte si sente parlare di “specialità tipica”? Tantissime. Che sia un formaggio o un salume, così come un ortaggio o una tipologia di pane o di vino, ecco che la provenienza geografica, con la sua tradizione e cultura, diventa identitaria per molti prodotti, compresi quelli made in Italy. Un’autenticità che nel tempo si è voluta tutelare, soprattutto per evitare di confondere il consumatore e renderlo una potenziale vittima di truffe causate da imitazioni. Nascono così i marchi europei come Dop, Igp e Doc, ovvero certificazioni di qualità applicate a determinate produzioni agroalimentari e vitivinicole considerate eccellenze del territorio: possono essere diffusissime come il Grana Padano Dop o l’Aceto Balsamico di Modena Igp, oppure più di nicchia, come i Fagioli bianchi di Rotonda Dop o il Fungo di Borgotaro Igp. Di seguito, ecco una breve guida, per capire quali sono le differenze tra le diverse sigle e orientarsi nell’acquisto.
Strettamente legato al tema dell’identità di un prodotto, è anche quello della sicurezza alimentare, che è un altro aspetto importante quando ci si riferisce ai marchi di qualità europei. L’origine e la tracciabilità, infatti, sono garantite e facilmente identificabili in etichetta, sotto il segno della trasparenza. I certificati d’eccellenza, seppur differenti, si fondano su caratteristiche comuni, come l’avere un disciplinare di produzione e un consorzio che, secondo definizione normativa: “sono costituiti ai sensi dell'articolo 2602 del codice civile ed hanno funzioni di tutela, di promozione, di valorizzazione, di informazione del consumatore e di cura generale degli interessi relativi alle denominazioni”. Detto questo, non ci resta che vedere quali sono.
La Dop “garantisce che un prodotto sia stato coltivato, prodotto e trasformato in una determinata area geografica. Gli standard di qualità e le caratteristiche del prodotto sono strettamente legati all'ambiente naturale e alle tradizioni locali”. Cosa significa nella pratica? Che l’intero processo produttivo deve avvenire all’interno di un territorio ben preciso da dove ha anche origine la materia prima, rispettando quindi un disciplinare che pone limiti molto stringenti. Secondo il regolamento UE, il luogo, la regione o il paese di provenienza, può determinare il nome stesso del prodotto, tipo l’Asiago, formaggio che nasce sull’omonimo altopiano in Veneto. Come si riconoscono le Dop? Sulla confezione viene applicato un bollino rotondo: una specie di sole giallo e rosso con la scritta Denominazione di Origine Protetta. Tra le specialità tipiche italiane più famose che rientrano sotto questo cappello ci sono il Parmigiano Reggiano, il Gorgonzola, il Prosciutto di Parma, la Mela della Val di Non, impossibili da replicare altrove proprio per le peculiarità della loro terra natale, condizione climatiche comprese.
Meno rigida della precedente, ecco la certificazione Igp: qui il simbolo è un sole giallo e blu, con la scritta Indicazione Geografica Protetta. Cosa serve per ottenerla? Che la lavorazione principale del prodotto (e non l'intera filiera) avvenga all’interno di una zona geografica di riferimento, che ne dà le peculiarità, ma che la materia prima può anche arrivare da altre parti d'Italia, da paesi comunitari ed extracomunitari, così come possono essere svolte altrove altre fasi del processo produttivo. Un esempio noto è la Bresaola della Valtellina Igp che si elabora all’interno dell’intera provincia di Sondrio secondo un disciplinare che indica la parte specifica del bovino adulto (le cosce) da utilizzare e le tecniche di lavorazione, ma non la provenienza dell’animale. Altro caso è la Nocciola del Piemonte Igp, coltivata nella regione, che può essere trasformata (sgusciatura, tostatura, macinazione per creme e impasti) in altri luoghi.
Meno diffusa rispetto a Dop e Igp si concentra esclusivamente sul metodo di produzione, senza vincoli geografici. Vuol dire che un prodotto è ottenuto con ingredienti e tecniche tradizionali consolidati nel tempo, indipendentemente dal "dove". La garanzia è quella del rispetto del disciplinare: fanno parte di questa categoria la Mozzarella, la Pizza Napoletana e i Vincisgrassi alla maceratese.
L’Europa in questo caso non c’entra niente e neppure la qualità, ma è utile sapere che esiste anche questa classificazione. Si tratta di un atto notarile contrassegnato dal sindaco a seguito di una delibera comunale che certifica, con pochi e semplici parametri, il luogo di “nascita” e di “crescita” di un prodotto che ha un forte e significativo valore identitario per una comunità, di cui l’esistenza è dimostrabile da almeno 25 anni. Insomma, un titolo assegnato direttamente da un comune su un alimento o un piatto pronto strettamente legato a quel luogo, come può essere il risotto alla milanese, de.co dal 2007.
Le denominazioni per i vini seguono un sistema diverso rispetto a quello dei prodotti alimentari, pur mantenendo lo stesso principio di tutela dell’origine e della qualità. In Italia, questa distinzione si declina in tre livelli di certificazione. La piramide vede alla base i vini Igt, ovvero con Indicazione Geografica Tipica, introdotta nel 1992, dal 2009 è rientrata nella famiglia delle Igp, indicata come “menzione tradizionale”: almeno l’85% delle uve utilizzate deve provenire da quel particolare territorio e regala una certa flessibilità di sperimentazione ai produttori: generalmente hanno disciplinari poco restrittivi, niente consorzi e si commercializzano con il nome della regione, tipo Toscana Igt, o porzioni geografiche, come Colli Trevigiani Igt.
Passo in più, invece, per i vini Doc, ovvero con Denominazione di Origine Controllata, che devono rispettare regole più stringenti, dai vitigni alla resa massima delle uve, passando per tecniche di vinificazione e affinamento. Qualche riferimento famoso? Il Montepulciano Dop o il Vermentino di Sardegna Dop. La punta, invece, è rappresentata dai vini Docg, che subiscono elevati standard produttivi con conseguenti controlli ancora maggiori dei Dop: sono vini d’eccellenza come il Brunello di Montalcino Docg, il Barolo Docg o il Prosecco di Valdobbiadene Superiore Docg.