Si tratta di due animali diversi: uno è il piccolo della pecora e l'altro della capra. Un'origine che caratterizza anche il sapore e la consistenza della carne, nonostante gli usi in cucina siano molto simili, rendendoli protagonisti di grandi classici regionali.
Quando si parla di piatti della tradizione pasquale, è impossibile non citare agnello e capretto: in molte regioni italiane, infatti, questi due animali sono protagonisti di grandi classici che celebrano la ricorrenza. Spesso durante il resto dell’anno si portano poco o per nulla in tavola ed è per questo che nel cucinarli bisogna prestare qualche attenzione in più. Partendo dal principio, risulta molto utile capire che cosa sono agnello e capretto: il primo è il piccolo della pecora, mentre il secondo della capra. Dettaglio fondamentale che ne influenza le ricette, dato che sapori e consistenze non sono gli stessi, anche se entrambi hanno carni ricche di proteine dall’alto valore biologico, leggere e facilmente digeribili. Andiamo alla scoperta delle loro differenze, per valorizzarli al meglio.
Agnello e capretto sono due animali diversi che appartengono alla stessa grande famiglia dei Bovidae e sottofamiglia dei Caprinae (ritenuta una delle più antiche, se non la prima, a essere stata addomesticata dagli uomini), con uno che fa parte del genere Ovis e l'altro del genere Capra. In cucina hanno impieghi simili, nonostante proprio per la loro origine si possano riscontrare differenze di sapore e consistenza della carne: vediamo quali sono nel dettaglio le principali e come incidono al momento di realizzare una ricetta.
L’agnello è il piccolo della pecora (Ovis aries) che viene denominato così fino al primo anno di vita. Viene macellato tra i 4 e i 10 mesi e il suo peso non supera i 10 kg: a livello gastronomico generalmente si impiegano esemplari attorno ai 6 mesi. Quando si parla di capretto, invece, ci si riferisce al cucciolo della capra (Capra hircus): per scopi culinari la sua macellazione avviene entro il raggiungimento dei due mesi, con un peso che si aggira tra i 10 e i 14 kg. In Italia esistono agnelli con certificazone Igp (Indicazione Geografica Protetta), riconosciuti per le loro peculiarità legate al territorio di provenienza, dove la pastorizia è sempre stata parte integrante dell’economia, della cultura e della società: si tratta dell’Agnello di Sardegna Igp, originario da pecore di razza sarda allevate allo stato brado e semibrado e dell’Agnello del Centro Italia Igp, con anch’esso al centro pratiche sostenibili di allevamento. Da segnalare l’agnello della Val di Funes, in Trentino-Alto Adige, che deriva dall’autoctona pecora dagli occhiali, chiamata così per i tipici cerchi neri attorno agli occhi: dal 2012 è Presidio Slow Food.
Questi aspetti influiscono sulle qualità organolettiche delle carni, in quanto l’agnello già svezzato si alimenta di erba, mentre il capretto si nutre solo di latte materno. Da qui dipende la diversità al palato: il primo ha un gusto più deciso e persistente, con un aroma leggermente selvatico, il secondo, invece, ha un sapore più mite, con note dolciastre lattiginose.
Anche la texture della polpa non è la stessa: l’agnello ha una carne di colore rosa-rosso tenue, è compatta e con una buona percentuale di grasso, elemento che conferisce morbidezza durante la cottura. Più è giovane, più risulta tenera. Il capretto, invece, è più magro e delicato, con una polpa rosata quasi pallida e vede la presenza di minore tessuto adiposo intramuscolare (la capra è meno sedentaria della pecora), cosa che rischia di far asciugare la carne più rapidamente.
C’è da dire che in gastronomia l’agnello e il capretto sono protagonisti di preparazioni classiche e versatili che li vedono arrostiti, in umido, alla griglia, fritti. Rispetto ai tagli, i più diffusi sono il cosciotto e la spalla, che restano succosi in entrambi i casi, ma anche le costolette, spesso portate in tavola impanate e fritte. La percentuale di grasso dell’agnello rende questa carne maggiormente adatta a cotture lunghe, a fiamma bassa, come per esempio lo spezzatino, il brasato o il ragù, esaltando tenerezza e sapore. Il capretto tende ad asciugarsi velocemente: un piatto tra i più iconici è il capretto al forno, magari accompagnato con le patate cotte nella stessa pirofila e bagnato con vino, per conferire umidità. Per ingentilire e profumare l’agnello si usano frequentemente marinature (con olio, aceto, limone, spezie ed erbe aromatiche), una tecnica che si ritrova anche nel capretto. Infine, fanno la loro comparsa le frattaglie: le più popolari sono le interiora dell’agnello, conosciute in ricette della cucina povera che superano i confini regionali, come per esempio la coratella laziale con i carciofi.
Se la distinzione tra agnello e capretto è chiara, in quanto l’uno è il cucciolo della pecora e l’altro della capra, meno immediata risulta quella tra agnello e abbacchio. Quest’ultimo è il termine laziale o, ancora meglio, romanesco, con cui ci si riferisce a un agnello da latte, quindi che non si è mai nutrito di erba o fieno, macellato prima dello svezzamento, entro i 30-40 giorni di vita: un'eccellenza è l'Abbacchio romano Igp. Confrontate con quelle dell’agnello, le carni hanno un sapore più delicato e un colore più chiaro, con una buon equilibrio tra parte magra e parte grassa: per questo le troviamo sia in ricette dalla cottura rapida come l’abbacchio a scottadito, con le costolette che vengono cucinate su una piastra rovente per pochi minuti, sia più lunghe, tipo l’abbacchio alla romana, con l’agnello da latte tagliato in pezzi e cotto in forno per circa un’ora e alla fine irrorato con una salsina a base di acciughe.