Il baccalà e lo stoccafisso derivano da due metodi di lavorazione differente del baccalà: il primo è conservato sotto sale, mentre il secondo viene essiccato all'aria. Entrambi, però, vanno messi in ammollo prima di consumarli.
Il baccalà e lo stoccafisso sono due alimenti molto popolari in tutta la penisola, protagonisti di ricette che hanno superato i confini regionali, dal baccalà alla vicentina (che si fa però con lo stoccafisso) al baccalà fritto tipico del meridione. Probabilmente sono anche queste sovrapposizioni di termini che hanno contribuito a creare una certa confusione, portando comunemente a credere che i due cibi fossero la stessa cosa. In realtà non è così, perché la differenza si fa sentire soprattutto nel momento della loro preparazione, perché baccalà e stoccafisso sono il risultato di due metodi diversi per conservare il merluzzo.
Questo pesce dalle carni bianche, tenere, ricche di proprietà e versatili, può essere consumato fresco oppure dopo essere stato messo sotto sale o essiccato, prendendo quindi nomi differenti. Per la legge italiana, si definiscono baccalà e stoccafisso solo le lavorazioni provenienti dalle specie di merluzzo nordico Gadus morhua e Gadus macrocephalus, questo per evitare le frodi con tipologie meno pregiate quali Molva e Brosme: al momento dell’acquisto dai sempre un occhio all’etichetta.
Il baccalà è il merluzzo che ha subito una salagione e una stagionatura, per un processo che dura in totale tre settimane. Il pesce si pulisce, si trasferisce in grandi casse e si sala completamente. Ogni 4-5 giorni viene girato, così che perda i liquidi in eccesso, favorendo l’assorbimento del sale. Si tratta di un’operazione che sostanzialmente si svolge nello stesso modo da secoli: siamo nel ‘400, infatti, quando i baschi per primi usarono questo metodo di conservazione per il merluzzo appena pescato sulle loro barche, che poi i norvegesi affinarono nel ‘600 per dedicarsi a una vera e propria produzione. Ancora adesso, infatti, l’economia delle Isole Lofoten è particolarmente legata alla lavorazione del merluzzo, in chiave baccalà, ma soprattutto stoccafisso.
Chi capita alle Lofoten da febbraio a giugno difficilmente potrà ignorare il merluzzo, in particolare lo skrei, la miglior specie artica: le coste dell’arcipelago, infatti, sono disseminate di impalcature di legno dove i pesci vengono lasciati ad asciugare in una condizione climatica irreplicabile in nessun’altra parte del mondo: le temperature raggiungono lo 0 in perfetto equilibrio tra sole, vento e pioggia. Lo stoccafisso, quindi, non è altro che il merluzzo essiccato naturalmente, proprio come facevano i vichinghi.
Queste isole hanno un legame particolare con l’Italia, in quanto proprio qui nel 1432 naufragò la nave del commerciante veneziano Pietro Querini, diretta nelle Fiandre. Dopo mesi passati con gli abitanti del posto salpò alla volta della Serenissima, portando appresso lo stoccafisso e iniziando una fitta rete di scambi che dura fino ai nostri giorni: da citare lo Stocco di Mammola, una eccellenza calabrese che mixa due culture (e due territori) molto diversi tra loro.
Il baccalà (salato) e lo stoccafisso (essiccato) non sono due prodotti prêt-à-manger: entrambi hanno bisogno di un accurato ammollo per essere usati nelle diverse preparazioni, che siano in umido come nello stoccafisso all’anconetana o in versione tortino, polpette, insalata. Per quanto riguarda il baccalà, è fondamentale che tutto il sale in più venga eliminato, pena ricette immangiabili (non è esagerato dirlo): i tranci devono essere immersi in acqua prima per 8 ore, così da ammorbidirsi, risciacquati e rimessi in nuova acqua. L’operazione si dovrà ripetere tre volte al giorno, calcolando un tempo totale di ammollo di 36 ore. Anche lo stoccafisso ha bisogno di pazienza per far tornare le sue carni morbide e succose: deve essere reidratato in acqua fredda per 7 giorni, cambiandola ogni 24 ore. Fortunatamente, ormai è facile trovarli già ammollati, il più delle volte confezionati in comodi involucri sottovuoto.