Il dashi è una delle preparazioni base della cucina giapponese, un brodo ricco di umami, il quinto sapore scoperto nel 1908. Vediamo tutti i segreti del brodo dashi: come si fa, qual è la sua storia, le tipologie diverse e le ricette più buone. Dal dashi vegetariano alla chanko nabe fino ad arrivare al ramen.
Il dashi è un brodo di pesce, leggero e limpido, indispensabile per la cucina giapponese, una sorta di prodigio dell'arte culinaria preparato con soli tre ingredienti. Non molti sanno, però che per la gastronomia nipponica è una vera e propria pietra miliare: molti dei piatti giapponesi più venduti al mondo partono proprio da questo tipo di brodo. Senza questa preparazione non esisterebbe la cucina giapponese, l'equivalente del nostro tridente delle meraviglie: sedano, carota e cipolla. Le tre verdure citate, nel dashi, sono sostituite da 2 prodotti, alga kombu e katsuobushi: nel brodo troviamo sapidità, gusto intenso, tanti profumi e soprattutto l’umami.
Secondo l’Umami Information Center il gusto umami si identifica con il sapido, da non confondersi con il salato, un sapore dal gusto intenso e piacevole, derivante dal glutammato e da diversi ribonucleotidi; elementi presenti soprattutto nella carne e nei prodotti caseari, ma anche nel pesce o nella verdura.
Come scrive Michael Pollan, uno degli antropologi più autorevoli del mondo: "Fino a che non si comprende la scienza dell’umami, il dashi sembra un concetto decisamente improbabile: un fondo ottenuto con alga marina essiccata, schegge di un pesce affumicato e, facoltativamente, uno o due funghi secchi. Il caso vuole che ciascuno di quegli ingredienti contenga uno diverso dei tre componenti chimici dell’umami; mettendoli tutti e tre in acqua si innescano sinergie che ne amplificano enormemente l’effetto".
L’umami è uno dei cinque gusti fondamentali percepiti dalle cellule presenti nel cavo orale (gli altri sono dolce, amaro, aspro e salato); la traduzione letterale sta per "saporito" ed indica il sapore di glutammato. Particolarmente presente in cibi ricchi di proteine, è stato introdotto come concetto proprio dallo studio del dashi. Nel 1908 lo scienziato Kikunae Ikeda, professore di chimica all’Università Imperiale di Tokyo, scoprì delle molecole correlate al gusto del sapido analizzando un brodo di alghe. Qualche anno dopo fu rilevata una componente di umami nel katsuobushi e solo nel ‘57 si sono aggiunti i funghi shiitake. Praticamente è la ricetta di questo brodo.
Come scrive lo chef Hirohiko Shoda nel suo Washoku "è stato provato che quando gli ingredienti con componenti umami coesistono negli alimenti, la percezione del gusto non si addiziona ma si moltiplica fino a sette, otto volte di più rispetto a quando si assumono singolarmente. Tale processo si definisce ‘effetto sinergico’ dell’umami".
La questione della moltiplicazione del gusto, inconsciamente, in Italia la proviamo da tempo immemore: uno degli alimenti con un valore più concentrato di umami che conosciamo è proprio il Parmigiano Reggiano, specie se lungamente stagionato, idem il pomodoro maturo (e ci sono poche cose al mondo più buone dello spaghetto col pomodoro e una generosa spolverata di formaggio). Un’altra materia prima italianissima ricca di umami è la colatura d’alici, un prodigio della tecnica alimentare.
Un’altra cosa curiosa relativa all’umami è che i recettori di questo gusto sono stati ritrovati ovviamente sulla lingua, ma anche nello stomaco. Probabilmente questa capacità del corpo umano si è sviluppata per preparare l’organismo a digerire la carne, avvisandolo di produrre gli enzimi, gli ormoni e gli acidi digestivi necessari.
Con ogni probabilità il brodo è nato per caso ed altrettanto casualmente ha raggiunto una tale consistenza di umami. La ricetta ha oltre 1000 anni ma la prima testimonianza scritta la troviamo nel 1643 con il libro "Storia della cucina", pubblicato all’inizio del Periodo Edo. Si trattava di un semplice brodo col katsuobushi. Altro passaggio molto importante lo abbiamo nel 1777 con la pubblicazione di Wakuniki Shiori, un libro di cucina di Tanikawa Shisei, in cui si parla di un brodo dashi identico a come lo conosciamo noi.
Secondo gli studi di Pollan il dashi compare nella cultura giapponese totalmente per caso, dopo diversi tentativi di trovare qualcosa di buono da mangiare in un periodo storico difficile per il Giappone, il periodo Heian, dominato dalla potente famiglia Fujiwara dal 794 al 1185. Per 300 anni ci sono stati omicidi, suicidi indotti e persecuzioni ai cittadini ribelli e ai nobili che contrastano il potere dello shōgun. Il Giappone è povero, alga, pesce essiccato e acqua sono a buon mercato.
Preparare il dashi è molto semplice. Basta usare il 20% di alga kombu e il 40% di katsuobushi sulla quantità di acqua naturale che si vuole utilizzare. L’acqua, da fredda, va portata a bollore con l’alga kombu, dopodiché basta aggiungere il katsuobushi finché tutti gli elementi non si depositino sul fondo. Chef Hiro consiglia di filtrare il brodo con un passino rivestito di sarashi, il panno di cotone o di lino che spesso si intravede attorno al corpo dei lottatori sotto il kimono. Oltre a filtrare il brodo, il sarashi ha anche un significato rituale: simboleggia candore e purezza.
Il brodo con alga e tonnetto striato è il brodo base della cucina giapponese ma ci sono diverse varianti molto interessanti. Va detto che molti ristoranti, in Giappone come in Occidente, ormai puntano su un dashi granulare, simile al nostro brodo liofilizzato, per abbattere i tempi di preparazione: ma la qualità della pietanza ne risente e bisogna puntare su location fidate, che ci tengono alle tradizioni.
Troviamo 4 tipi di piatti ben distinti nella cucina tradizionale giapponese
Il piatto più iconico da mangiare con questa preparazione di base è sicuramente il ramen. Gli occidentali hanno potuto osservare centinaia di fotogrammi in anime o manga in cui i protagonisti degustano questa zuppa con voracità estrema.
Altro piatto classico è la zuppa di miso, un piatto con base brodo e una pasta di soia fermentata, il miso appunto. Una variante di questa zuppa è la miso shiru, a cui si aggiungono le vongole e una finitura col cipollotto. Una zuppa da provare assolutamente è infine la chanko nabe, la zuppa dei lottatori di sumo.
Non ha una ricetta fissa e spesso si usa ciò che è disponibile nelle palestre di sumo o nei ristoranti: spesso si va di pollo, con la pelle, si usa il pesce, preferibilmente fritto e poi verdure come daikon (un ravanello aromatico e piccante), o il bok choy (il cavolo cinese). Si comincia mangiando tutto ciò che è contenuto nella ciotola fino a lasciare solo il brodo che verrà rimpinguato dal riso lessato e dall’uovo sbattuto. Un sapore incredibile, un’esplosione di umami e una zuppa con un fortissimo significato tradizionale.