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11 Aprile 2025 11:00

Dall’atole al masato: 10 bevande preispaniche che hanno fatto la storia dei popoli indigeni

Molte legate ad una divinità, quasi tutte preparate a base di mais, le bevande preispaniche segnano la storia dell'America Latina e delle sue origini. Ancora oggi è possibile provarle, anche se alcune sono state modificate dopo l'arrivo dei colonizzatori.

A cura di Arianna Ramaglia
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Abbiamo imparato tutti a conoscere El día de los muertos grazie (anche) al film Disney Coco: ci siamo innamorati della cultura, dei colori, della musica, dell'amore tra le persone che ci sono e del legame tra chi c’è e non c’è più. Una celebrazione della morte che risale direttamente al periodo pre ispanico: una tradizione che si tramanda da secoli e a cui i messicani sono ancora incredibilmente legati. Perché non c’è nulla che racconti di più il suo popolo delle sue usanze, delle sue abitudini e delle sue origini e se c’è un posto nel mondo che ha qualcosa di meraviglioso da raccontare, questo è sicuramente l’America Latina: un melting pot derivante dalla commistione di più culture, soprattutto quella indigena, che ha portato dietro di sé alcune delle tradizioni e delle storie più interessanti dei diversi Paesi.

Oltre riti, miti e leggende, le popolazioni precolombiane hanno lasciato un segno anche nella storia della gastronomia latinoamericana, con alcune tipiche bevande consumate ancora oggi. Conosciamo le loro storie e l’evoluzione che hanno avuto nel tempo.

1. Atole

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Forse molti conoscono la sua versione al cioccolato: il champurrado, quello che viene definito spesso come una cioccolata calda messicana. Bevuta in occasione de El día de los muertos (“il giorno dei morti”) e Las Posadas (periodo delle vacanze natalizie), il champurrado parte da una base chiamata atole: si tratta di una bevanda consumata già dagli antichi Maya e attualmente si beve in Messico, Guatemala e altri Paesi dell’America centrale. Densa, calda e cremosa, ideale durante la stagione invernale, nasce come un composto zuccherato di farina di mais e acqua.

Secondo la tradizione, l’atole viene dolcificato con lo zucchero, il miele o il piloncillo, in italiano “panela”, un dolcificante realizzato con il succo della canna da zucchero portato a ebollizione e fatto evaporare, ottenendo una melassa che poi viene versata in diversi stampi e lasciata essiccare.

Il sapore non è sempre uguale, dato che varia da regione a regione in base ai prodotti disponibili in quel territorio: ad esempio a Michoacán (Messico) si prepara un atole fatta con la mora selvatica; nella regione del Chichicastenango (Guatemala) è possibile trovare un atole in cui il protagonista è il platano; a Città del Messico invece troviamo l’atole bianco, il punto di partenza di tutti gli altri, a base di nixtamal (chicchi di mais bolliti e lasciati riposare in acqua di calce, in modo da renderli più digeribili e nutrienti), senza aggiunta di zucchero o altri aromi.

Una bevanda così radicata nella cultura gastronomica locale che ha addirittura un festival dedicato: la Fiera dell’Atole si tiene annualmente a Tarécuato, a Michoacán, dove nella piazza centrale della città, le donne espongono i loro vasi di terracotta e offrono agli avventori un’ampia varietà di atole, che vanno dai sapori classici a quelli più creativi, offrendo una rosa di circa 50 proposte diverse.

2. Balché

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Foto di https://www.bluebayresorts.com/

Anche questo originario della cultura Maya, il balché prende il nome dall’omonimo albero. Per gli antichi Maya era una bevanda dalle caratteristiche magiche e, addirittura, si dice che i Lacandoni (diverso popolo della cultura Maya) riuscirono a convincere i conquistadores, che ne avevano vietato il consumo, a eliminare il divieto spiegando che la causa dell’alta mortalità era dovuta proprio all’abolizione di questa bevanda, ritenuta curativa.

Il balché viene preparato proprio con la corteccia dell’albero da cui prende il nome: dopo averla lavata, fatta essiccare e pestata in modo da rilasciare la linfa, viene messa in una giara con parti uguali di acqua e miele e lasciata fermentare per 4-6 giorni.

Ancora oggi il balché è consumato, come da tradizione, nelle occasioni cerimoniali: in questo caso la corteccia viene frantumata in quattro pezzi e messa a macerare in un barattolo con due tazze di acqua “vergine”, ossia mai vista da una donna, e una di un miele puro, prodotto da una particolare ape priva di pungiglione, e il tutto viene lasciato riposare per circa tre giorni. Nei riti agricoli, il balché viene sparso nella terra in direzione dei quattro punti cardinali, mentre, nelle cerimonie che prevedono il sacrificio degli uccelli, questi ultimi sono costretti a bere il balché prima di essere sacrificati.

3. Tepache

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Il tepache è anch'essa una bevanda di origine preispanica, più precisamente del popolo dei Nahua, il più grande gruppo indigeno del Messico, che diede vita alla popolazione azteca. In questo caso, già l’etimologia della parola ci aiuta a capire cosa ci troviamo di fronte: deriva dal nahuatl (lingua messicana originaria del popolo azteco) tepatl che vuol dire “mais”; sembra poi che un altro termine da cui prende ispirazione è tepachoa, sempre dalla lingua nahuatl, che vuol dire letteralmente “macinare o pressare con la pietra”. Quindi il tepache è una bevanda probabilmente realizzata con del mais macinato a pietra.

Oggi questa bevanda è ancora molto famosa e consumata in Messico, anche se nel tempo ha subito importanti modifiche: l’ingrediente principale infatti non è più il mais ma l’ananas, di cui si usa generalmente la buccia. La particolarità di questo drink risiede proprio nella sua preparazione: infatti è una bevanda ottenuta da una fermentazione, che però non avviene tramite microrganismi che ne avviano il processo, ma da una fermentazione naturale grazie ai batteri presenti sulla buccia dell’ananas. Quindi la preparazione del tepache consiste nella macerazione delle bucce di ananas insieme a piloncillo, cannella, chiodi di garofano e acqua: si tratta di una bevanda fresca, leggermente frizzante e con un particolare gusto speziato. È molto comune trovarlo come street cocktail, solitamente servito in un sacchetto con ghiaccio e una cannuccia, ma la sua preparazione è così semplice e a portata di tutti che viene spesso preparato in casa.

Chicha

Un’altra versione interessante del tepache è la chicha, una bevanda di origine inca. Si tratta sempre di una bevanda fermentata a base di mais e ne esistono diverse varianti nei vari paesi: chicha morada in Perù a base di un particolare tipo di mais di colore viola scuro; in Cile prende il nome di chicha muday in cui oltre al mais fermentato si utilizza l’acquavite o altri alcolici; chicha criolla in Venezuela che non è alcolica ed è a base di semola di riso o di frumento.

Una particolarità della chicha è la modalità di preparazione: in tempi antichi (ma c’è chi lo fa ancora oggi) le donne masticavano il mais raccolto per poi sputarlo in un recipiente di terracotta, questo perché gli enzimi contenuti nella saliva aiutavano il processo di fermentazione, trasformando l’amido di mais in zuccheri semplici.

4. Tejate

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Bevanda analcolica a base di mais e cacao, era considerata particolarmente importante nella cucina e nell’agricoltura legata al mais nelle Valli Centrali di Oaxaca. Anche la sua origine risale al periodo preispanico ed era particolarmente consumata dai re zapotechi. Gli ingredienti principali del tejate sono farina di mais tostato, fave di cacao fermentate, semi di mamey (albero tropicale originario del Messico) e flor de cacao, anche conosciuti come rosita de cacao: questi vengono macinati fino a formare un impasto che viene poi mescolato con acqua, solitamente a mano, e, quando la bevanda è pronta, si forma una sorta di schiuma in superficie, dovuta alla presenza dei flor de cacao.

Come per l’atole, anche il tejate ha un suo festival dedicato: si svolge ad aprile a San Andrés Huayapam, nelle Valli Centrali di Oaxaca; oppure a Los Angeles, in California, dove dal 2008 un gruppo di zapotechi promuove la bevanda, in una fiera accompagnata da danze regionali e spettacoli colorati.

5. Mezcal

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In Messico si dice “Para todo mal, mezcal, para todo bien, también”: come va va, il mezcal non può mancare. Spesso associato alla tequila, il mezcal (o mescal o mexcal) ha origini che risalgono a prima della conquista spagnola: furono gli Aztechi a dare inizio alla produzione di questo distillato, anche se, è grazie alla tecnologia portata dai conquistadores e alle tecniche di distillazione, che è cominciata la produzione del mezcal come lo conosciamo oggi.

È ai tempi degli Aztechi però che risale una delle leggende legate alla sua nascita: il nome deriverebbe dalla dea Mayatl, una “donna agave” che nutre il suo popolo grazie a 40mila seni da cui sgorga proprio il mezcal. Un collegamento con il mondo spirituale, un’adorazione del popolo nei confronti della protettrice di una pianta che aveva un ruolo fondamentale nella cultura azteca data la sua abbondanza sul territorio. Una leggenda invece più magica ci racconta che il mezcal è stato scoperto quando un fulmine colpì accidentalmente una pianta di agave, cuocendo il cuore e rilasciando il suo succo fermentato: la parola stessa mezcal pare che derivi dal nahuatl mexcalli che vuol dire proprio “agave cotto”.

In ogni caso, il mezcal viene prodotto solo dalla parte centrale dell’agave, chiamata espadin, e quando la pianta raggiunge i 6-8 anni di vita, le foglie vengono eliminate e viene lasciato soltanto la piña, ossia il cuore della pianta. Questo viene fatto cuocere in forni interrati e lasciato poi macerare dai 14 ai 30 giorni. Segue poi la distillazione, che può durare a lungo, in alambicchi discontinui. A differenza della tequila, che viene prodotta solo nella zona di Jalisco e da un solo tipo di agave, l’agave blu, la base del mezcal può essere estratta da circa 50 ecotipi di agave.

6. Pulque

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Relegato per troppo tempo come “nonno” di tequila e mezcal, il pulque sta riscoprendo negli ultimi anni una nuova rinascita. Considerato più un vino che un distillato, viene realizzato partendo dal cuore del maguey (un tipo di agave) da cui viene estratta la linfa zuccherina chiamata aguamiel fatta poi fermentare in tini di legno o vetroresina utilizzando un batterio specifico.

Come il mezcal, anche la storia del pulque deriva dagli antichi Aztechi e, ancora una volta, c’entra una divinità: questa volta si tratta della dea Mayahuel, dea dell’agave, cui pare che il sangue che le scorreva nelle vene fosse proprio l’aguamiel. Durante il periodo preispanico, il pulque era una bevanda utilizzata durante i riti religiosi e cerimonie importanti, riservata a sacerdoti e nobili; con l’arrivo dei conquistadores, la bevanda divenne accessibile, invece, a un pubblico più ampio. Durante il XX secolo però il successo del pulque subì un decisivo declino, grazie alla popolarità crescente della birra. Negli ultimi anni il pulque sta acquisendo di nuovo un posto rilevante come bevanda simbolo della tradizione e della cultura messicana.

7. Pozol

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La storia del pozol ci arriva dalla cultura maya, inca e azteca. Il termine deriva dal nahuatl pozolli che vuol dire schiumoso ed è sostanzialmente un bevanda composta da mais e cacao. Già dal suo periodo preispanico era una bevanda molto apprezzata per il suo alto contenuto nutrizionale ed è per questo che era una delle preferite dai viaggiatori indigeni, sia perché gli dava una carica di energia durante il viaggio sia perché, essendo servita fredda, offriva loro una piacevole rinfrescata. Il pozol è ancora attualmente considerato, come in passato, una bevanda medica: nel caso dei Maya ad esempio veniva utilizzato per prevenire o curare le infezioni delle ferite, oggi viene impiegato nella cura di infezioni intestinali e di parassitosi.

Per prepararlo si parte dal già menzionato nixtamal; una volta che i chicchi sono cotti, vengono lavati sotto l’acqua in modo che le bucce si stacchino, dopodiché viene aggiunta di nuovo dell’acqua e si rimette sul fuoco fino a che i chicchi non si ammorbidiscono. Nel frattempo il cacao viene tostato, sbucciato e macinato finemente per poi essere unito al mais: nella sua forma tradizionale, il cacao veniva lasciato fermentare in foglie di banano per un periodo compreso tra i tre giorni e un mese, assumendo così un sapore più aspro. Alcune persone poi aggiungono al composto anche zucchero, piloncillo, miele e latte.

8. Pox

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Un regalo, ancora una volta, dei Maya, precisamente i Maya Tzotzil, residenti nella regione del Chiapas, in Messico meridionale. Questa bevanda viene maggiormente prodotta nelle regioni di San Cristóbal de las Casas e San Juan Chamula. Il termine pox (o posh, come si pronuncia) nella loro lingua significa medicina e originariamente era utilizzato durante le cerimonie religiose. È ottenuto dalla distillazione del mais, del grano e della canna da zucchero. Nonostante la sua crescente popolarità negli ultimi anni, il governo messicano non lo ha ancora riconosciuto come alcolico: di conseguenza non esiste un disciplinare che indichi quali sono precisamente i prodotti utilizzati, da dove vengono e dove sono lavorati. Vien da sé che non esiste un unico e solo pox, ma ogni produttore lo modella a suo piacimento, una cosa però è valida per tutti: la luna piena. Si ritiene infatti che la produzione del pox debba essere fatta in corrispondenza di una precisa fase lunare, ossia quando la luna è nella fase del plenilunio.

9. Tejuino

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Siamo ancora in Messico e ancora una volta parliamo di una bevanda a base di mais fermentato. Consumato principalmente nelle regioni di Jalisco, Oaxaca, Colima e Nayarit, il tejuino viene preparato con la masa di mais (impasto realizzato con acqua e mais nixtamal macinato) a cui viene aggiunta del piloncillo e dell’acqua, il tutto viene fatto bollire fino a quando il composto non diventa denso: a questo punto inizia la fermentazione che può durare diversi giorni (da uno a dieci) in base ai gusti del consumatore. Viene poi servita fredda con un pizzico di sale, lime e ghiaccio. Il termine deriva dal nahuatl tecuin che vuol dire "battito cardiaco" e non perché, per così dire, è inebriante, ma perché semplicemente, come ogni bevanda alcolica, accelera il battito.

10. Masato

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Masato Fuentes – foto di Diana Sierra

Ci spostiamo infine nella Foresta Amazzonica per una bevanda a base di yuca (manioca), riso, mais, avena o ananas, tipica delle popolazioni indigene del posto. La preparazione del masato consiste nel lasciar fermentare gli ingredienti per un periodo di circa otto giorni, finché il composto non inizia a schiumare. Esistono diverse varianti di questa bevanda, in base ai prodotti disponibili in ogni località: in Colombia ad esempio il masato viene preparato con farina di riso, acqua, zucchero, cannella e chiodi di garofano, ma è possibile trovarla anche a base di ananas e mais; in Perù troviamo la yuca bollita, poi masticata e sputata in modo che gli enzimi contenuti nella saliva attivino la fermentazione (allo stesso modo del mais per la chicha); in Venezuela è preparata a partire dalla fermentazione di riso, chiodi di garofano, acqua, birra e geranio posti poi in un vaso di terracotta per tre giorni e solitamente viene preparata durante occasioni speciali come Natale, Capodanno, Pasqua o in agosto (specialmente nella città di Táriba per il giorno della Vergine della Consolazione).

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