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26 Agosto 2021 11:00

Dalla sopravvivenza alla ristorazione: l’affascinante storia della Costa dei Trabocchi

Nati in un'epoca non chiara o ben definita sulle coste abruzzesi, i trabocchi sono strutture che in origine servivano per la pesca. Metà pescatori e metà artigiani, gli abitanti di questi luoghi, per non rischiare avventurandosi in alto mare, realizzarono con legni, cavi e funi delle macchine che garantissero la cattura del pesce che nuotava nei pressi del litorale. Oggi molti di loro sono andati distrutti, altri invece riconvertiti in suggestivi ristoranti. Ecco la loro affascinante quanto misteriosa storia.

A cura di Alessandro Creta
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Quella dei trabocchi è una storia che risale alla notte dei tempi. Una storia fatta di mistero e fascino, scritta da uomini forti, metà artigiani metà pescatori, capaci con l’ingegno di adattarsi a un territorio ostile. Una storia, soprattutto, che è arrivata fino ai nostri giorni, sopravvivendo proprio quando sembrava che il tempo fosse in procinto di scrivere la parola “fine”, con il sipario che tra incurie e abbandoni sarebbe calato inesorabile sul mito di questi uomini e di queste strutture. Allo stesso tempo è però una storia capace di stupire, catturare e ammaliare, tanto da coinvolgervi e facendovi forse desiderare di salire su una di queste costruzioni, apparentemente sgangherate e a un passo dal crollo, che resistono da secoli con la loro esile forma e molte ombre sulla loro origine, ma oggi riscoperte con una funzione ben precisa.  Liriche quanto scarne “isole” artificiali fatte di legno e imbevute di salsedine e leggenda che, negli ultimi decenni, sono state in parte riconvertite in caratteristici ristoranti nei quali mangiare cullati dalle onde del mare. Quelle stesse onde in cui vivono le varietà ittiche che popolano le tavole di questi locali.

Che cosa sono i trabocchi

Il trabocco è una "macchina da pesca", composta da un complesso sistema di nodi, incastri, reti e legni che dà vita a strutture diventate parte integrante del territorio costiero abruzzese. Simboli di una pesca non invasiva e a basso impatto ambientale, i trabocchi erano strutture utilizzate dai locali che qui tiravano su dal mare reti piene delle più diverse varietà di pesci. Testimonianza di un mestiere antico e della capacità di adattamento dell’uomo, in un territorio, caratterizzato da molte rocce, geograficamente non favorevole.

Strutture più o meno grandi che emergono dal mare, alcune anche a decine di metri da terra dove l’acqua è profonda almeno 6 metri, ridisegnando la geografia di questo tratto di litorale abruzzese, ma non solo. Anche nelle basse Marche e nell’alta Puglia non è raro trovare queste macchine da pesca, presenti pure su alcune coste della Francia (dove si chiamano pêcherie).

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Costruzioni di legno che non deturpano anzi identificano questo tratto di costa unico e riconoscibile proprio grazie alla loro presenza. Strutture esili che sembrano attendere invano di arrendersi alla forza delle onde. Protesi artificiali perennemente in bilico, fragili ma incapaci di spezzarsi, come dei nonni che ammirano estasiati il mare.

I trabocchi sono così identitari che hanno dato il nome a questo tratto di Abruzzo compreso tra il verde della vegetazione e l’azzurro del mare. La Costa dei Trabocchi, per l'appunto, si estende per una cinquantina di chilometri (dei 150 totali di costa regionale) tra Ortona e Vasto, caratterizzata dalla presenza di 23 di queste costruzioni sopravvissute, ora su spiagge sabbiose ora rocciose, fino ai nostri giorni. Tante sono andate distrutte dall’impassibile trascorrere del tempo, che non perdona nemmeno strutture così affascinanti e ricche di storia.

Altre danneggiate dalle mareggiate sono state però recuperate, ristrutturate e convertite in caratteristici ristoranti dove mangiare letteralmente sul mare, cullati dalle onde pochi centimetri sotto i piedi. Nel corso delle ultime decadi la Costa dei Trabocchi è diventata meta ambìta di molti turisti, foodies, un must to go per tanti gastronauti attratti dall’idea di consumare un pasto (rigorosamente a base di pesce, tra fritture, brodetti e insalate di mare) su una struttura così affascinante, senza tempo e che non conosce età.

Nel corso dei secoli queste strutture hanno anche catturato l’immaginario e la fantasia di molti artisti, tra cui il pescarese Gabriele D’Annunzio, che li soprannominò "ragni colossali". È forse proprio il Vate che è riuscito a descriverli nella loro essenza più intrinseca e affascinante: “La macchina pareva vivere d'armonia propria, avere un'aria ed un'effige di corpo animato. Il legno esposto per anni e anni al sole, alla pioggia, alla raffica, mostrava tutte le fibre, metteva fuori tutte le sue asprezze e tutti i suoi nocchi”, il suo passaggio nel libro “Il trionfo della morte”, datato 1894.

Le origini dei trabocchi e il mistero dei Fenici

Scritti, dipinti e fotografati lungo i decenni da passanti catturati dalla loro intrinseca magia, i trabocchi condividono un’origine decisamente incerta e nebulosa, che per qualcuno affonda nella notte dei tempi. Varie teorie aleggiano sulla loro nascita: alcuni la fanno risalire all’ingegnosità dei Fenici, che nel loro periodo di massimo splendore (circa 1000 anni avanti Cristo) piazzarono vari insediamenti, a scopo commerciale, sulle coste italiane.

Una teoria però piuttosto traballante: questo popolo di pescatori, navigatori e commercianti nel nostro Paese arrivò soprattutto in Sicilia e Sardegna e, come ci hanno confermato anche Lucia Galasso, antropologa del cibo, e il professor David Lodesani, non ci sono evidenze archeologiche che li vedono stanziati sulle coste abruzzesi. Inoltre, se davvero ci fosse un legame tra i trabocchi e i Fenici, queste strutture sarebbero dovute essere presenti anche nelle zone di loro sicura "frequentazione" . Nelle nostre due grandi isole, però, non ce ne è traccia.

Prove certe del loro insediamento sulla costa adriatica del Centro Italia, insomma, non ne esistono. Non sarebbe però da escludere a priori che questo popolo, di grande tradizione marittima, non sia anche arrivato fin qua. Il dubbio, insomma, rimane, anche se noi sentiamo di escludere la derivazione fenicia.

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Di loro se ne parla sicuramente nel 1200, in quanto un antico manoscritto attribuito a Padre Stefano Tiraboschi descrive un mare “punteggiato di trabocchi”. Altre fonti, invece, fissano l’affermazione di queste costruzioni al 1700. Si capisce insomma come non ci sia chiarezza a proposito, così come non ce ne è riguardo la genesi del nome. Alcuni sostengono che derivi dal “trabocchetto” che veniva tirato ai pesci, che inconsapevoli della presenza delle reti nuotavano tranquilli nelle loro acque prima di essere catturati. Altri dichiarano che l’origine sia collegata dal sistema di comando che azionava le funi.

Ciò che è certo è che queste costruzioni servissero, inizialmente, per la pesca e il sostentamento delle popolazioni locali, che così potevano evitare di addentrarsi in alto mare (con tutti i rischi del caso) attingendo “tranquillamente” dai pressi della riva, a poche decine di metri dalla terraferma e con le strutture fissate lì dove il fondale è almeno a 6 metri. Nell’epoca moderna della pesca di massa i trabocchi hanno progressivamente perso la loro funzione, finendo a un passo dal definitivo abbandono soprattutto nella prima parte del 1900. Lavori di recupero e manutenzione nei decenni successivi hanno contribuito a riportarli agli antichi splendori, nel nome di un turismo sostenibile e di un nuovo modo di intendere e fruire una ristorazione che racconti e incarni il territorio di appartenenza.

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Oggi più che mai sono strutture e simboli da proteggere, attrazioni che catturano turisti e passanti come in passano hanno ispirato poeti, scrittori e artisti. Ora i trabocchi sono rinati in tutta la loro affascinante e apparente instabilità, sino a diventare “semplici” attrazioni oppure ristoranti (appositamente rinforzati) in grado di raccontare una storia millenaria ma che mantengono, con le dovute differenze, un sottile filo rosso con le loro origini: sostentamento e, perché no, convivialità.

Come si lavora sui trabocchi-ristorante

Una decina dei 23 trabocchi rimasti sulla costa abruzzese oggi sono stati “adattati” alle esigenze contemporanee, diventando suggestivi ristoranti. Impossibile non rimanere affascinati e incantati da queste strutture che sembrano levitare sull’acqua, proponendo al loro interno una cucina che inevitabilmente pesca (è il caso di dirlo) dal mare. Molti locali propongono un menu fisso, che oscilla tra i 40 e i 60 euro, nonostante in alcuni si possa mangiare anche alla carta. La proposta si snoda dall’antipasto al digestivo e probabilmente vi serviranno circa un paio di ore per completare l'esperienza gastronomica. Tanto tempo, con il quale potete godervi tutto ciò che vi circonda, cullati dal mare.

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La vista dal trabocco San Giacomo – per concessione di Vilma Mancini

Abbiamo parlato di cosa significhi gestire un ristorante su un trabocco, e cucinare in uno spazio così limitato, con la chef e proprietaria di uno di essi. Ci ha aperto le porte del Trabocco San Giacomo Vilma Mancini, che con la sua famiglia ha recuperato una struttura in stato di abbandono per convertirla in un locale gourmet. "Era praticamente tutto sgangherato – ci racconta – e dopo averlo liberato delle tante strumentazioni da pesca rimaste, tra argani e reti, la sua ristrutturazione e conversione a ristorante è durata quasi due anni".

Si tratta di una struttura risalente al 1946, "una delle più antiche oggi rimaste, ed è anche una delle più lontane dalla costa: circa 350 metri" specifica Vilma. "La sua apertura al pubblico è avvenuta nel 2015, dopo un complesso iter burocratico, in cui abbiamo dovuto attendere il permesso da 14 enti diversi, tra Demanio, Belle Arti e molti altri". Il processo di ristrutturazione è stato lungo e impegnativo: "Dopo il recupero l'abbiamo dovuto ricostruire interamente: c'erano solo quattro pali fissati tra le rocce e ne abbiamo aggiunti una trentina, per sostenere a dovere la struttura in sé. Non esisteva praticamente nulla: abbiamo realizzato la cucina, i bagni, la sala; tutti i lavori sono stati svolti in autonomia, aiutati anche da un anziano traboccante che ci ha insegnato come eseguire la manutenzione, che va fatta ogni anno verso febbraio prima dell'inizio della stagione per avere l'autorizzazione a aprire".

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Trabocco San Giacomo – per concessione di Vilma Mancini

In un locale così piccolo è fondamentale muoversi come degli ingranaggi ben oliati, per lavorare al meglio in una cucina che non raggiunge i 30 metri quadrati in cui, oltre a Vilma, lavorano anche un altro ragazzo e due lavapiatti. "In cucina disponiamo di 4 fuochi, un bollitore, una friggitrice, un forno, una piastra per l’arrosto e un lavello. A differenza di altri trabocchi noi facciamo tutto qui dentro, dalla pulitura fino alla preparazione del pesce, che ci arriva poche ore dopo essere stato pescato. Ci sono poi due camerieri che seguono la sala, da circa 40 metri quadrati, che a pieno regime arriva a contenere anche 35 coperti".

Cosa si mangia sui trabocchi

Detto delle difficoltà logistiche affrontate per convertire un piccolo trabocco in un ristorante che possa accogliere, tra clienti e staff, oltre 40 persone, Vilma ci parla delle specialità che si qui si possono assaporare. Il filo conduttore della sua cucina è la valorizzazione del territorio e dei prodotti abruzzesi, non limitatamente al pesce ma anche altre materie prime che delineano la gastronomia regionale. "Abbiamo una sorta di responsabilità morale nei confronti dei turisti e dei clienti – ammette la chef del San Giacomo – dobbiamo condurli in una sorta di viaggio nella nostra regione attraverso i piatti e le materie prime che la rappresentano, dando valore ai sapori di questa terra".

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Linguine con broccoli, calamari e pistacchio – Per gentile concessione della pagina Facebook del Trabocco San Giacomo

Qualche esempio? "In menu propongo lo Spaghetto Oro, a base di zafferano abruzzese e bottarga di muggine; oppure facciamo il polpo cotto a bassa temperatura, rosticciato e scottato con burro di bufala che acquistiamo da fornitori di Scanno, in montagna. Al brodetto, con tipologie scelte di pesce come dentice, tracina e gallinella, aggiungiamo pomodoro datterino del nostro orto con peperone dolce locale. Tra gli antipasti quelli di maggior successo è lo sgombro con porro e noci. L’abbinamento con vini locali e un olio di nostra produzione, poi, completa l’offerta gastronomica".

Una cucina caratterizzata non solo da pesce, ma anche dalla presenza di molte verdure di stagione, gran parte delle quali provenienti dall'orto di proprietà: "Proponiamo questo abbinamento di terra e mare – spiega Vilma – perché abbiamo voluto recuperare la vecchia tradizione che voleva che i traboccanti, prima di essere pescatori, fossero contadini, che hanno cercato di avventurarsi in mare".

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Spaghettone con granseola – Per gentile concessione della pagina Facebook del Trabocco San Giacomo

Un'offerta che deriva quasi esclusivamente dal pescato di giornata, poi, "costringe" la chef a avere una carta in continuo cambiamento, con creatività e improvvisazione che si rivelano doti fondamentali per cucinare qui. "Dipendiamo dal pescato e dalla stagionalità. Io la fornitura di pesce generalmente la conosco la sera prima, quando i fornitori mi dicono quali varietà ittiche mi porteranno il mattino seguente. Poi, nel caso in cui dovesse arrivare all’ultimo minuto qualche prodotto particolare, lì si tratta di improvvisazione e fantasia per creare last minute un piatto gustoso".

Le specie ittiche della Costa dei trabocchi

Alici, naselli e orate, ma anche sgombri, spigole, seppie e polpi sono alcune delle specie ittiche che popolano le acque che si infrangono sulla Costa dei Trabocchi. Sono quindi anche i protagonisti che finiscono sulle tavole dei ristoranti, accompagnati da vini bianchi (Trebbianco bianco, Passerina o Pecorino) o rosati (il Cerasuolo è quasi un must) del territorio. In fatto di gastronomia, insomma, questa regione che nel giro di circa 90 chilometri abbina le alte vette appenniniche (il Gran Sasso arriva a 2912 metri) al litorale costiero si rivela non essere solo arrosticini e Montepulciano d'Abruzzo: cosa volere di più?

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Quello che i piatti non dicono
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