Come sono evoluti nel corso dei secoli i vari pasti e i rispettivi orari che scandiscono le nostre giornate? Scopriamo come l’attuale cena, figlia di un retaggio borghese e quasi snob, un tempo era simbolo di distinzione dalle classi più povere. E fino a 150 anni fa era denominata "pranzo".
Facile, oggi, dire “andiamo a pranzo” oppure “ceniamo”, attribuendo a ogni pasto il suo specifico momento della giornata: un'ora tra le 13 e le 14 per il primo, tra le 20 e le 21 per la seconda.
Eppure le nostre abitudini sono frutto di un’evoluzione costante avvenuta nel corso dei secoli, frutto anche (come vedremo) di un certo snobismo da parte delle corti aristocratiche di mezza Europa. Sapevate che, fino alla fine del 1800, per pranzo si intendeva il pasto serale? E che questo serviva per distinguersi dalle classi medio/basse?
Preparatevi per un lungo viaggio nella storia dei pasti e degli orari di riferimento che durante i secoli hanno scandito le giornate sia dei borghesi sia dei ceti sociali inferiori. E mettetevi le cinture di sicurezza, perché ci attendono delle autentiche montagne russe.
Riuscite a immaginarvi uno come Giulio Cesare, o Nerone, o ancora Augusto intento, più o meno a metà giornata, a godersi il suo brunch ante litteram? Una visione decisamente anacronistica della storia e delle abitudini a tavola di 2000 anni fa le quali, scavando più a fondo, si rivelano essere più simili alle nostre di quanto non pensiamo.
Se, da una parte, vediamo (e a ragione) l’antica Roma così lontana sia nel tempo sia nelle consuetudini gastronomiche (in particolar modo i ricchi signori ne mangiavano eccome di stranezze, tali almeno ai nostri occhi), è altrettanto vero però come i loro orari fossero, con le dovute proporzioni, piuttosto simili a quelli che ogni giorno ci ritroviamo più o meno fedelmente a rispettare.
A differenza nostra cambiano i ritmi che scandivano le giornate degli antichi: i Romani erano soliti alzarsi al sorgere del sole, per andare generalmente a coricarsi quando iniziavano a calare le tenebre. Appena destati l'abitudine era di consumare lo ientaculum, l’equivalente della nostra colazione sovente a base degli avanzi della sera prima oppure composta da formaggi, olive, uova o focacce calde preparate da fornai già al lavoro da qualche ora (altra analogia con i nostri giorni?).
Iniziava quindi la giornata e, sia chi era occupato tra i campi sia chi al Foro o nei mercati oppure semplicemente a casa, si fermava verso mezzogiorno per consumare il prandium, vale a dire un veloce spuntino che poteva constatare, per esempio, di pane, formaggio e uova per chi fosse impegnato in campagna, oppure carni arrosto o bollite per chi invece decideva di trascorrere la "pausa prandium" (passateci il termine!) in locali o taverne. La quantità di cibo consumata, comunque, non era molta, poiché per gli antichi Romani il pasto principale della giornata arrivava di sera, quando giungeva l’ora di cena o, come erano soliti chiamarla, coena.
Per numero di portate e quantità era senza dubbio il momento principale della cucina romana, con le vivande che ovviamente variavano a seconda delle differenti classi sociali. Maggiormente povere e frugali le portate dei più poveri, lauti banchetti (o convivium) spesso organizzati tra ricche famiglie, con il pasto diviso in portate (ancora, come oggi) tra gustatio (antipasto), caput coenae (portata principale) e mensa secunda (dolci e frutta).
Si capisce, insomma, come pur variando leggermente negli orari le nostre abitudini alimentari siano più o meno simili a quelle rispettate dagli antichi. Specialmente oggi, con i ritmi frenetici che la società moderna ci chiede, rimane la cena il momento principale della giornata da passare a tavola, con la colazione e il pranzo spesso veloci, (erroneamente) frugali e in molti casi fruiti al di fuori delle mura domestiche, tra bar e ristoranti.
Nel corso del tempo, ovviamente, le abitudini alimentari e annesse tempistiche sono profondamente mutate così come attraverso i secoli è mutata la società e, con lei, i suoi ritmi e i suoi protagonisti.
Se attualmente ci sembrano ovvi alcuni orari, a dettare a loro volta le pause delle nostre giornate, presto scopriremo come oggi osserviamo (chi con più chi con minore elasticità) ritmi frutto di importanti cambiamenti nel tempo ma anche nello spazio.
Un'anticipazione? Pensate che nell’Europa del ‘700 (specialmente in Inghilterra e Francia) si era soliti chiamare diner il pranzo, al tempo pasto più importante, il quale a seguito di vari slittamenti di orario arrivò a essere posticipato verso sera, all'orario della nostra cena (e attuale dinner anglosassone).
Ma prima di arrivare al periodo illuministico procediamo con ordine, partendo dal Medioevo.
Detto del periodo romano, per abitudini più simile all’attuale di quanto non pensassimo, nel Medioevo le usanze (seppur di poco) cambiano. Vengono effettuati (sempre parlando in modo generico) due pasti al dì, un pranzo verso metà giornata (11-12) e una leggera cena in quello che oggi consideriamo tardo pomeriggio (17-18).
Forte, al tempo, l’influsso della Chiesa e della sua moralità (i monaci mangiavano una sola volta nei giorni feriali, due nei festivi), che portava gli uomini a non cedere alle tentazioni terrene, considerando immorale perfino fare colazione (la quale tornerà in auge attorno al 1600). Questo, ovviamente, era il trend condiviso. Ad ogni regola, si sa, ci sono le dovute eccezioni, e non era raro che di sera ci si concedesse ad autentiche abbuffate accompagnate da fiumi di alcool. Pancia 1, morale cattolica 0.
Fin qui, comunque, seppur con qualche differenza sembra ancora essere un mondo molto simile al nostro: per lo più due/tre pasti al giorno con orari non troppo dissimili da quelli ai quali siamo abituati.
È tra il 1700 e il 1800 che le abitudini iniziano a mutare con un certo vigore, ed è l’Inghilterra in particolar modo a rendersi protagonista di uno strappo condiviso poi anche in Francia. Londra e Parigi, infatti, diventano le Capitali di nuovi trend prettamente “temporali” di fruizione del cibo, il quale assume anche un importante valore simbolico.
Specialmente tra le corti aristocratiche delle due città l’orario del pasto diventa rilevante dal punto di vista sociale, con i ricchi ad assumere l’abitudine di spostare quello che era pensato come pranzo (detto diner, con una sola n), composto da almeno 5-6 portate, sempre più tardi.
Come specificato anche da Alessandro Barbero e Massimo Montanari nei loro scritti, è in Inghilterra che inizia a diffondersi l’usanza, tra le classi agiate, di spostare il pranzo (considerato il pasto più importante) sempre più avanti, per distinguersi dai ceti medio bassi i quali, invece, dovevano concedersi una pausa a metà giornata perché al lavoro già da qualche ora. Ecco, quindi, che l’orario dei pasti inizia a trasformarsi in status symbol: mangiare tardi equivaleva ad alzarsi dal letto altrettanto tardi, e questo non era certo possibile per chi invece, per vivere, era costretto a sostenere le fatiche quotidiane.
Tant’è: il pranzo “aristocratico” iniziò a essere consumato attorno alle 16, ma a inizio 1800 non era raro che qualcuno, specialmente a Londra, fosse solito mettersi a tavola anche alle 18 o alle 19 (una leggera colazione orientativamente si consumava verso le 15), fruendo delle consuete 5 o 6 portate totali e con conseguente ritiro sotto alle coperte non prima delle 3 o 4 del mattino. In sostanza, due o tre ore prima che la gente "normale" si alzasse per andare a lavorare.
Una grande discrepanza insomma: un’abitudine particolarmente diffusa tra i nobili, al punto da diventare anche oggetto di satira e critica sociale. Sembrano però essere questi i primi segnali che porteranno a “eleggere” l’attuale nostra cena come pasto principale della giornata.
Questo, tra l’altro, è anche il periodo in cui inizia a diffondersi il brunch (giusto per creare ancor più confusione tra tutti questi pasti e orari). In età vittoriana, fine 1800, tra i nobili cominciò a propagarsi l’abitudine domenicale, specialmente dopo le battute di caccia (le quali, come oggi, iniziavano molto presto al mattino), di concedersi un ricco buffet di metà mattinata, a base sia di prodotti salati sia dolci. Non a caso il termine, coniato nel 1895 da una rivista di caccia, nasce dalla fusione tra breakfast e lunch, e rappresentava uno “spezza fame” ideale della domenica mattina. Anche per recuperare, in verità, dai bagordi del sabato sera.
Tornando al pranzo sempre più tardivo, la moda degli inglesi venne ripresa nel 1800 anche dalle classi aristocratiche della Francia post rivoluzionaria, le quali iniziarono a concedersi il primo importante pasto del giorno non prima delle 17. Si stanno facendo portavoce di un nuovo modo di mangiare (e, di riflesso, anche intendere il cibo) le due nazioni più potenti e importanti dell’epoca, capaci di riflesso di influenzare anche le abitudini del Continente.
Se, a metà 1700, a Losanna pranzo e cena erano fissati alle 12 e alle 19 e in Germania anche l’aristocrazia era abituata a mettersi a tavola non più tardi delle 14, ben presto le abitudini iniziano a mutare, sulla scia di ciò che stava avvenendo tra Francia e Inghilterra.
A Vienna, per esempio, si inizia a pranzare tra le 15 e le 16, mentre nuovamente in Germania i ricchi non mettono le gambe sotto al tavolino prima delle 4 del pomeriggio, con i poveri (o, perlomeno, chi praticava lavori particolarmente duri e faticosi) costretti per ovvie ragioni a mangiare tra mezzogiorno e l’una e, nuovamente, in serata.
E in Italia? Il nostro Paese, che oggi sembra così geloso e consolidato nelle sue abitudini, a inizio ‘800 non sfuggiva da questo trend. Alessandro Manzoni in una lettera invitava un suo amico a pranzo fissando l’appuntamento per le 17 e, a metà secolo, l’usanza è quella di non concedersi il pasto prima della chiusura degli uffici, fissata alle 16. Solamente gli operai o i contadini, in piedi da molte ore e stremati dalle proprie mansioni, erano soliti concedersi un pasto attorno a mezzogiorno. Conseguentemente anche in Italia l’usanza della cena assume un significato quasi volgare: solo i poveri si mettono a tavola, nuovamente, in serata, mentre nello stesso momento i ricchi si concedono il primo importante pasto della loro giornata.
Di riflesso si crea anche una discrepanza, oltre che temporale, anche linguistica e semantica. “Mattino” era comunemente considerata la parte della giornata chiusa sì dal pranzo, ma a quale ora? La considerazione muta in base alla propria appartenenza sociale e ad abitudini ormai consolidate. C’era chi intendeva tale la frazione del giorno che arrivava fino alle 12, mentre le classi più abbienti facevano terminare la mattina non prima delle 17.
Ma alla luce di tutta questa confusione e divergenza di vedute, come si è arrivati alla concezione attuale dei pasti e dei rispettivi orari? Fondamentalmente se da una parte si sono consolidati questi orari, dall’altra di fatto hanno mutato i nomi dei pasti stessi.
In Italia, per esempio, a inizio ‘900 il pasto della sera è ancora chiamato pranzo, ma prevarrà poi l’abitudine del “popolo” di denominarlo cena, intendendo come pranzo classico quello delle 13 e colazione il primo pasto della giornata. In Francia, o più precisamente nei Paesi francofoni, il dibattito per certi versi è ancora aperto, e si discute attorno al termine dejeuner. Oggi con questa parola si è soliti indicare il pranzo vero e proprio, con petit dejeuner intesa come colazione, dejeuner a la fouchette il pasto di metà mattinata (una sorta di brunch all'anglosassone) e diner (la dinner inglese) equivalente di cena.
E, concedetecelo, dopo tutta la fatica a ricostruire questo spaccato sociale speriamo che lo status quo ormai raggiunto possa rimanere tale.