Il romantico approccio di Biascica grazie a un'orata all'acqua "calda", le "due fritture" di Gomorra o i classici "Arancini di Montalbano"? Spesso ricordiamo delle serie televisive attraverso i piatti mangiati dai protagonisti, scene iconiche che rappresentano il meglio della tradizione gastronomica italiana.
Vedere Luca Zingaretti addentare un cannolo e disquisire le proprietà e le preferenze col dottor Pasquano vi fa venir voglia di prendere il primo volo per la Sicilia? Tutte le sere a tavola mentre mangiate qualcosa di preconfezionato vorreste vivere a Palazzo Palladini per gustare la parmigiana di melanzane di Raffaele? Non preoccupatevi, siete in buona compagnia. L'ossessione degli italiani per il cibo e per la tradizione vede le serie tv come alleate imprescindibili. Tutte le serie più amate dal pubblico hanno un piatto iconico che le rappresenta, perché gli italiani hanno il chiodo fisso della buona tavola.
Non c'è conversazione più pericolosa di quella sui piatti preferiti e guai a toccare la tradizione. La gastronomia fa parte del background culturale del Belpaese ed è presente in ogni opera prodotta. Le serie tv non possono far eccezione: ogni realizzazione televisiva o seriale ha come protagonista un piatto. Si tratta sempre di piatti della tradizione e spesso hanno dei significati davvero profondi, legati alla storia dei personaggi e a momenti catartici della narrazione.
Il personaggio tv inventato dal genio di Andrea Camilleri e impersonato da Luca Zingaretti ha esordito su Rai 1 nel 1999 ed è diventato subito uno dei personaggi più amati della televisione italiana. Tra casi da risolvere, colleghi caratteristici, storie piene di ironia e suspense, la serie del Commissario Montalbano è senza dubbio una delle più riuscite della storia tricolore. Salvo Montalbano è un commissario, siciliano doc, amante del buon cibo, dal fiuto incredibile e dalla spiccata umanità, con i suoi pregi e i suoi difetti. Alberto Sironi, regista di quasi tutte le puntate, amava indugiare sulle pietanze del poliziotto catanese perché Montalbano ha tante piccole "fissazioni" sulla buona cucina. Innanzitutto a tavola: quando mangia Montalbano non bisogna parlare, poi c'è la passione per il pescato del giorno, il rapporto con Calogero, il suo ristorante di fiducia (locale che esiste davvero ma con altro nome, si trova a Punta Secca, in provincia di Ragusa).
In 15 stagioni ne abbiamo visti di piatti succulenti, a partire dagli "Arancini di Montalbano", la seconda raccolta di opere di Camilleri e ottava puntata della serie prodotta dalla Rai. Altro piatto must di Montalbano è la caponata, da mangiare "rigorosamente con il pane fresco" come scriveva sempre il maestro del giallo. C'è poi un primo piatto iconico: la pasta ‘ncasciata, una pietanza ricca e gustosa ottima da consumare come piatto unico. I maccheroni al forno sono farciti con melanzane fritte, ragù e caciocavallo, a cui aggiungere anche uova sode o prosciutto per renderla ancora più ricca. Adelina gliela prepara sempre con tanto amore e Salvo ringrazia sentitamente, proprio come nella puntata degli arancini. Nel corso delle stagioni abbiamo visto poi decine di triglie fritte con zucchine e limone, infiniti cannoli siciliani e cassatine Una gioia per gli occhi, uno dei migliori spot che la Sicilia abbia mai avuto.
Dalla Sicilia alla Campania: Un posto al sole è la prima soap opera interamente girata in Italia, attualmente ed è anche la più longeva, con le sue 25 stagioni e oltre 5.600 episodi. L'ambientazione è di lusso, il celebre Palazzo Palladini, una location inventata che in realtà è la bellissima Villa Volpicelli a Posillipo. Tra gli intrecci degli abitanti del condominio non può mai mancare il cibo. Storicamente la soap ha avuto due grandi cuochi: Raffaele Giordano e Teresa Diacono, cuochi amatoriali, a cui si sono aggiunte le "nuove leve" Patrizio Giordano e Nunzio Cammarota, che i cuochi li fanno di professione.
C'è talmente tanto cibo in UPAS che sono usciti addirittura due libri di ricette; nel 2006 Patrizio Rispo (Raffaele) scrive "Un pasto al sole, una raccolta di ricette culinarie": il titolo è volutamente simile a quello della soap; nello stesso anno, anche Marina Tagliaferri (Giulia) scrive un libro dello stesso genere intitolato "Un posto… a tavola – Non solo Giulia Poggi". L'aggiunta è dovuta: nella soap il personaggio dell'attrice è completamente negato in cucina.
Il ricettario classico della soap è tipicamente napoletano: Raffaele è un integralista e a tavola porta sartù di riso, spaghetti con le vongole, parmigiane di melanzane e chi più ne ha più ne metta. A fine pasto non può mancare il "Limoncello à la Jurdàn", leggendario limoncello con ricetta segretissima di famiglia, custodita dal portiere di Palazzo Palladini. A rispondere c'è però il figlio, Patrizio, cuoco ambizioso che ha tentato anche la via dell'alta cucina, proponendo un menu gourmet a un temutissimo critico culinario, per l'occasione impersonato dal cuoco 2 Stelle Michelin Gennaro Esposito.
Altra serie "fin troppo italiana" è Boris, probabilmente la miglior serie comedy mai ideata nel nostro Paese. La trama segue le vicende di una troupe televisiva impegnata nella realizzazione di una soap opera dozzinale ma di grande successo: si tratta, infatti, di una meta-serie. Sul set si mangia male: il direttore di produzione Sergio, interpretato da Alberto Di Stasio, non bada molto alla qualità (un po' come Renè Ferretti) e i cestini del pranzo sono sempre scarsi. In Boris però il cibo è occasione di convivialità.
Quando il capo elettricista del set Augusto Biascica, interpretato da Paolo Calabresi, si invaghisce della truccatrice, chiede consigli per l'approccio. Lui è un uomo rozzo, ma capisce che usare le proprie tecniche potrebbe essere deleterio. Alessandro, lo stagista, suggerisce proprio di chiedere una ricetta per rompere il ghiaccio, "funziona sempre" assicura. Biascica prende coraggio e dice a Gloria, così de botto e senza senso: "Ti devo dì ‘na cosa: tu nell'orata all'acqua calda ce li metti i pachino? Se li metti, quanti ce ne metti?", la truccatrice lo corregge dicendo "all'acqua pazza". Il trucchetto funziona, non si sa come ma funziona e Gloria cade tra le braccia del capo elettricista. In fondo si sa che il fascino dell’uomo rozzo può comunque avere il suo perché e i geniali sceneggiatori di Boris hanno reso un piatto semplice come l'orata all'acqua pazza, per sempre immortale nella mente di tutti i fan della serie.
Una scena commovente, straziante, girata magnificamente da Stefano Sollima che comincia con una bara al centro di una stanza e un piatto di rigatoni cacio e pepe poggiato sopra, il crocifisso sullo sfondo del piatto, la birretta aperta e I Won't Let You Down dei PhD in sottofondo. Quella bara è del Libanese, i suoi compagni gli rendono omaggio con una "rigatonata", per ricordare i vecchi tempi per fare un "ultimo giro con il Libanese". Tutti apprezzano il piatto e il Dandi spiega che "Er Libanese magnava solo er mejo der mejo!".
I rigatoni de Zì Remo sono dei semplici rigatoni cacio e pepe, abbondanti di pepe stando a quanto dice Scrocchiazeppi ("Ho capito chi ha ammazzato er Libanese: Zì Remo, con tutto sto pepe li mort…"). Un omaggio all'amico scomparso, con una pasta semplice, qualche birra, e tanta gratitudine perché "il Libanese ci ha tolti dalla strada e ci ha fatto vedere il Paradiso".
Un po' francese, un po' napoletano: Don Salvatore Conte (interpretato da Marco Pavoletti) è un personaggio amatissimo di Gomorra proprio per le numerosissime sue sfaccettature. Spietato, crudele, ma profondamente devoto al Cristianesimo e ai riti; rappresentante di un machismo tossico, ma innamorato di una ragazza transessuale; killer senza scrupoli, ma con incrollabili precetti morali che segue pedissequamente. Secondo molti il buon vecchio Don Salvatore avrebbe meritato più spazio, se non un vero e proprio spin off.
La serie tv ideata da Roberto Saviano, pur essendo ambientata a Napoli, non ha grandissime scene con il cibo come protagonista, ma una è iconica. C'è da dire che forse l'iconicità della scena è data dalla reinterpretazione comica dei The Jackal ma tant'è, tutti ricordiamo l'ordinazione di Salvatore Conte: "Deux frittur". Il boss ispirato alla figura di Raffaele Amato si trova in Spagna per affari e quando scopre che un suo fidato collaboratore è stato ucciso in un agguato, così decide di tornare a Napoli accompagnato dal suo autista. Nel tragitto da Barcellona alla Campania i due si fermano poco dopo Nizza, in un bellissimo ristorante sul mare e il camorrista ordina una meravigliosa frittura di calamari con un perfetto mix tra il napoletano e il francsese: "Deux frittur". Per fortuna, il cameriere coglie perfettamente il piatto chiesto dal boss. La scena è molto tesa perché in realtà ad aver ucciso il collaboratore di Conte è il fratellino del suo autista, ingannato da Ciro Di Marzio. Lo chauffeur non ha fame, preoccupato per le sorti del fratello Daniele, e mangia distrattamente la frittura di calamari-
La serie di Suburra è una produzione originale Netflix, nasce come prequel del film omonimo ma, nel corso delle stagioni, si discosta totalmente dal lungometraggio. I tre protagonisti sono Aureliano, Spadino e Gabriele, interpretati da Massimiliano Borghi, Giacomo Ferrara e Eduardo Valdarnini; tre storie diverse con un unico obiettivo: comandare su Roma. Come potete immaginare, non esistono gli orari per i malavitosi e quando lo stomaco brontola la cosa migliore è puntare su un piatto semplice. Nel corso delle 3 stagioni il piatto ricorrente è una bella spaghettata aglio, olio e peperoncino. In particolare sono Aureliano e Spadino, i due veri protagonisti della serie dopo l'addio di Gabriele, ad approfittare delle leccornie di questa ricetta tanto semplice quanto saporita.
Per prepararle il piatto servono pochi minuti e pochissimi ingredienti. La prima volta che vediamo la preparazione è in una scena catartica: Spadino e Aureliano seguono un prete che si è nascosto in un monastero. Il clericale scappa sul campanile inseguito dai malavitosi e, una volta raggiunto, mentre Aureliano fa la guardia, Spadino scende in cucina per preparare gli spaghetti. Piccola curiosità: il personaggio di Spadino è un sinti e il piatto è evidentemente pieno di aglio, tant'è che Aureliano lo prende in giro per questa ricetta, a detta sua poco riuscita. In realtà i pezzi di "aglio" grossi che si vedono nella serie sono pezzi di mela, a raccontarlo è stato proprio Massimiliano Borghi in un video promozionale di Netflix: "Una cosa immangiabile, una pasta con la mela verde". Per amore dell'arte, si sa, si devono fare dei sacrifici.
La serie televisiva andata in onda dal 2006 al 2014 ha messo in scena tutto il meglio della cucina tradizionale romana. Pensate che quasi tutti i 142 episodi cominciano in cucina perché la famiglia allargata dei Cesaroni fa colazione insieme, con gli immancabili cornetti. Le vicende nel corso delle stagioni prendono varie strade ma il "nucleo originale" della serie, quello che ha avuto più successo, prevede l'unione di una famiglia semplice della Garbatella con Claudio Amendola come capofamiglia, e una famiglia alto borghese di Milano, con "a capo" Elena Sofia Ricci. I due si sposano e le avventure delle prime stagioni riguardano i figli, diventati improvvisamente tutti fratelli, e gli altri familiari della coppia.
Di tutte le serie descritte fino ad ora questa è l'unica che ha avuto un rapporto reale con l'enogastronomia. Come per UPAS c'è un libro, "A tavola con i Cesaroni" che ripercorre le ricette, ma c'è stato soprattutto un vino uscito ormai fuori produzione. Il Senz'amarezza, vino prodotto dai fratelli Cesaroni nella fiction, è stato veramente commercializzato nelle due versioni bianco Frascati Senz'amarezza Doc Superiore e rosso Lazio Rosso IGT Senz'amarezza con base di merlot-sangiovese. I fratelli protagonisti della serie, Giulio, Cesare e Augusto, hanno una bottiglieria alla Garbatella e il cibo tradizionale è all'ordine del giorno. Tra meravigliosi taglieri di salumi mostrati in ogni puntata, la fa da padrone l'amatriciana originale.
La pasta protagonista di innumerevoli occasioni di convivialità, cucinata a puntino da Claudio Amendola e portata trionfalmente in tavola in un enorme recipiente di ceramica. Soprattutto nelle prime stagioni, troviamo una dicotomia tra le due famiglie, con le figlie della Ricci più propense ad una cucina salutare, tendente al vegetariano, e i figli di Amendola amanti del carboidrato: un classico della geografia culinaria italiana.
Nei romanzi di Elena Ferrante e nella trasposizione televisiva curata da Saverio Costanzo e Alice Rohrwacher si raccontano spesso i piatti preparati a casa delle due protagoniste. Lenù e Lila sono due bambine che diventano amiche nel Rione Luzzanti di Gianturco, nella periferia est di Napoli. La storia è ambientata negli anni ’50, le due crescono insieme tra alti e bassi tipici delle amicizie nate così presto, con tantissime vicissitudini che coinvolgono le protagoniste.
La serie ha avuto un enorme successo di pubblico e critica e si intravedono alcuni piatti meravigliosi in scene diventate cult: protagonista è sempre la cucina povera, spesso vediamo infatti la pasta e patate bella azzeccata della mamma di Lenù. Altra grande preparazione è il gattò di patate, cucinato sempre dalla mamma di Lenù, per il futuro genero. Protagoniste sono anche le sfogliatelle, un dolce difficilissimo da fare e tipicamente campano che nei libri sono acquistate dalle due amiche nella pasticceria dei Solara.
Che nome strano da associare al prete più famoso della tv italiana insieme a Don Camillo: eppure in Don Matteo gli strozzapreti (o strangozzi) sono un piatto amatissimo dal parroco interpretato da Terence Hill. In particolare lo vediamo in "L'amore sbagliato", nell'undicesima stagione, con il biondo prete a tavola con Sofia, Natalina e il piccolo Cosimo che lasceranno poi il posto al maresciallo Cecchini (Nino Frassica). Questo piatto tipico umbro entra nel mondo di Don Matteo a partire dalla nona stagione perché l'ambientazione si sposta da Gubbio a Spoleto e gli autori hanno voluto omaggiare la città con gli strangozzi alla spolentina. La ricetta è semplicissima: si tratta infatti di semplici strozzapreti con pomodoro e prezzemolo; è il piatto tipico del pranzo domenicale a Spoleto.
Su questa stessa tavola c'è anche un altro piatto tipico umbro: la torta del testo. Si tratta di una sorta di schiacciata cotta tradizionalmente su di una piastra rotonda in ghisa detta "testo". La farcia tipica è con i salumi umbri, molti utilizzano anche gli spinaci e, vedendo la puntata, pare che sia proprio questo l'ingrediente scelto dalla fidata Natalina.
La serie tv con protagonista Imma Tataranni, interpretata da Vanessa Scalera, è stata una delle sorprese del biennio televisivo italiano. Un successo di pubblico e di critica inaspettato, con Matera grande protagonista della fiction di Rai 1. Un personaggio unico (purtroppo) nella televisione generalista: una donna carismatica e fuori dagli schemi, quella che di solito gli uomini guardano con sospetto, ma che segretamente ammirano. Una donna senza peli sulla lingua, implacabile quando lavora, in grado di sacrificare le vacanze per essersi imbattuta casualmente in un dito mozzato. Un sostituto procuratore che si barcamena tra il lavoro e la casa, sempre a combattere con tutto e tutti. Una presenza ingombrante per i due uomini che la accompagnano, il procuratore interpretato da Carlo Buccirosso, e il marito interpretato da Massimiliano Gallo. La stessa Vanessa Scalera impersona così bene questo personaggio da mettere in ombra due attori notissimi al grande pubblico, lei che approccia a questa fiction da semi sconosciuta: è questo il suo primo grande ruolo.
In una serie tv di grande successo non può mancare il momento conviviale a tavola, in questo caso troviamo una valida alleata nella figlia di Imma Tataranni. Valentina ha infatti un canale Youtube in cui recensisce le ricette tradizionali italiane insieme a sua nonna. Molto divertente una scena del quarto episodio della prima stagione: Imma e suo marito tornano a casa e si accingono a fare l'amore inconsapevoli dell'orecchio indiscreto di Valentina. Nel video la giovane chiede a sua nonna "Perché lagane e ceci è detto anche piatto del brigante?" e la nonna fornisce la sua spiegazione: "Perché i briganti si mangiavano lagane e ceci". Semplice no?