Uno dei dolci simbolo di Napoli, amato in tutto il mondo e replicato dai grandi chef: ecco tutto quello che non sai sul babà.
È uno dei dolci più famosi al mondo, simbolo insieme ad altri 2-3 prodotti della gastronomia napoletana: ma sapevi che il babà non è nato a Napoli? E che lo fanno anche i grandi chef? Oggi ti raccontiamo 5 curiosità sul babà che probabilmente non conosci.
Come molti dei dolci napoletani, il babà è di origini francesi: per molti anni, infatti, fra la città partenopea e i cugini d'Oltralpe ci furono moltissimi scambi di informazioni, ricette e tecniche culinarie. Non a caso i cuochi napoletani si chiamano monzù, che è il corrispettivo di "monsieur". Grazie a questo costante dialogo (molti pasticcieri napoletano venivano invitati in Francia e viceversa) sono nate tante specialità che sono state poi perfezionate proprio a Napoli. Il babà è fra questi: ma la sua storia parte dall'altro lato dell'Europa, ovvero dalla Polonia.
La leggenda narra che, per puro errore, nella prima metà del 1700, re Stanislao al tempo in esilio nella Lorena, Nord della Francia, rovesciò del rum su un dolce secco chiamato kugelopf, bagnandolo e ammorbidendolo con il liquore: fu amore al primo morso. Inoltre, pare che il re senza trono fosse un fan del racconto di "Alì Babà e i quaranta ladroni": proprio al protagonista della storia venne dedicato il nuovo dolce. Altre versioni però rimandano a qualcosa di più affettivo: Slanislao ritenne che il manicaretto, per la sua morbidezza, potesse essere adatto anche alla nonna (in polacco babcia), rimasta con ben pochi denti. Dall'assonanza con la parola il nome della nuova preparazione.
Come ogni dolce che si rispetti, dopo essere uscito dai confini francesi, il babà viene modificato per andare incontro alle esigenze locali. Cosa hanno fatto dunque i napoletani per adattarlo ai gusti dei loro concittadini? Lo hanno reso più leggero inserendo nella ricetta una tripla lievitazione e cambiando anche la composizione della bagna; inoltre, l'hanno rimpicciolito, facendolo diventare un dolce da street food ante litteram.
A Napoli, nel linguaggio parlato, si usa spesso l’espressione “si nu’ babbà” per fare un complimento: l'espressione generalmente sta a significare "sei un tesoro", "hai un carattere dolce". Ma non sempre è così: a seconda del contesto può anche voler dire "sei un fesso". Il tutto sta nell'interpretare bene la situazione.
Si potrebbe pensare che un dolce del genere non trovi posto nei ristoranti d'alta cucina: niente di più sbagliato. Il babà, infatti, è il dolce preferito di uno degli chef più importanti al mondo, Alain Ducasse, colonna portante della cucina francese. Lo serve in vari ristoranti, in modi diversi: nella versione “come a Monte Carlo”, il dolce è servito sotto una scenografica cloche d’argento e finito dal sommelier al tavolo, grazie a una selezione di rhum invecchiati.
Del babà ci sono numerose varianti che si limitano alle farciture, ma ce n'è una che si discosta molto dall'originale, almeno nelle forme. Il babà savarin, oggi chiamato solo savarin, è un dolce ideato nella prima metà dell’Ottocento dai fratelli Julien, che scelsero il suo nome in onore del gastronomo Jean Anthelme Brillat-Savarin. L’impasto della torta si differenzia da quello del dolce classico per la presenza di latte, ingrediente che lo rende più chiaro e spugnoso. Ha la forma di una ciambella, la pasta viene bagnata con il rum come nella ricetta classica e spennellata in superficie con una confettura di albicocche. A volte, la ciambella ospita al suo interno anche una macedonia di frutta.