Un cibo che può essere inserito tra gli ingredienti considerati strani, ma che in realtà fa parte della tradizione nipponica come frattaglia pregiata e versatile, dal gusto delicato e la texture cremosa, ottima cruda, in zuppe e fritta.
In cucina ci sono degli ingredienti che generano curiosità ed esitazione allo stesso tempo. Alimenti spesso definiti strani, che in realtà fanno parte della tradizione gastronomica di un paese (Italia compresa): le frattaglie di pesce, per esempio, finiscono spesso in cima alla lista dei cibi considerati “per coraggiosi”. Ed è proprio in questo ambito che si colloca lo shirako, prelibatezza giapponese dalla consistenza cremosa, colore candido e sapore delicato: si tratta, infatti, delle gonadi dei pesci maschi, contenenti lo sperma, che vengono estratte comunemente da specie come il merluzzo, il fugu (ovvero il famigerato pesce palla) o il monkfish (la rana pescatrice), diventando protagoniste, crude e cotte, di piatti tipici, tra sushi, zuppe e fritture. Se non ne avevi mai sentito parlare, ecco qualche dettaglio in più sullo shirako.
La gastronomia asiatica è più temeraria rispetto a quella occidentale nello portare in tavola le interiora, una filosofia anti spreco che nelle cucine europee, tra cui quella italiana, si sta iniziando a recuperare solo negli ultimi anni, rivalutando gli “scarti” della lavorazione della carne – basta pensare al rinnovato successo del quinto quarto – e del pesce. Lo shirako corrisponde ai testicoli di determinati pesci: non siamo di fronte a uova, come con la bottarga (estratte dalle ovaie delle femmine, per poi essere salate ed essiccate), ma a quello che in Italia chiamiamo lattume, alimento ricavato dagli organi di riproduzione maschili. Il lattume nella Penisola è raro da trovare: le sue aree d’elezione sono soprattutto la Sardegna e la Sicilia e deriva da tonno, sgombro e ricciola, con un gusto molto forte, minerale, intenso.
Panorama diverso, invece, per lo shirako: si ottiene durante i mesi invernali – quando i pesci sono più prolifici – in particolare dal merluzzo, il più diffuso, ma anche dal fugo, il pesce palla famoso per la tossina mortale contenuta nelle viscere, e la rana pescatrice. È disponibile solo in un periodo di tempo limitato, cosa che lo rende pregiato, ma comunque accessibile nei costi a seconda della qualità e dell'origine: si vende al supermercato, così come lo si può apprezzare nei ristoranti kaiseki, la haute cuisine nipponica. I punti di forza? Sono due: la texture cremosissima (quasi a budino) e il sapore piacevolmente marino, non invadente, al contrario di quanto si è portati a pensare.
Gradevole e versatile, lo shirako diventa protagonista di una serie di preparazioni che spaziano dal sushi alle zuppe, passando per le fritture. Essendo un cibo molto delicato, si presta a essere consumato crudo o cotto per pochissimo tempo, appena sbollentato, così da non rovinarne la consistenza. Uno dei modi più popolari è quello di usarlo in un raffinato sashimi, magari accompagnato dalla salsa ponzu, con le note agrumate che si sposano bene con la salinità del pesce: sempre in veste di crudité, compare anche nel gunkan, un rotolino farcito, solitamente a base di riso e alga nori, che si mangia in un unico boccone.
Un classico giapponese che vede la presenza dello shirako è il nabe, detto anche nabemono, un piatto unico da condividere in stile hot pot tipico dell’inverno, formato da un brodo – tipo il dashi o di miso – e diversi ingredienti che cuociono al suo interno, tra frutti di mare, fettine di carne, verdure e funghi: si immerge verso la fine, per evitare di farlo diventare gommoso. Inoltre, lo shirako può essere leggermente scottato sulla griglia, oppure è apprezzato fritto in tempura, un po’ come si fa con le animelle, ricoperto con una pastella e poi tuffato nell’olio caldo, per avere un contrasto molto sfizioso tra la croccantezza dell’esterno e l’interno scioglievole.