Bionda o nera, la spuma è una bevanda gassata dall'allure vintage che sta tornando sempre più in auge: dai bar di paese e degli stabilimenti balneari a protagonista dell'aperitivo rétro.
Dalle località balneari della costa Adriatica agli assolati bar della Sicilia, passando per quelli della provincia toscana: qui tra le bibite più in voga dal dopoguerra fino agli anni ‘90 insieme a gazzosa, ginger e cedrata, c’era la spuma, una bevanda analcolica di colore giallo paglierino, a base di acqua gassata, zucchero, quantità variabili di caramello e diversi aromi a seconda del territorio (scorza di limone, arancia, bergamotto, rabarbaro) che non ha una ricetta univoca e che, anzi, spesso i produttori non rivelavano a nessuno: neppure ora, per esempio, si sa quali siano le 10 erbe selezionate dall’azienda Spumador, tra i marchi storici più noti grazie all’invenzione nel 1938 della versione nera, che somiglia nelle sfumature rossastre e nel gusto amarognolo al chinotto. La spuma si consumava in estate nei baretti nell’oratorio, nei tipici “bar centrale” e nei chioschi sulla spiaggia: fresca e dissetante, in purezza era adatta ai più piccoli, mentre mescolata al vino o alla birra era perfetta per adulti e anziani, da sorseggiare durante una partita di carte. Scopriamo la sua storia.
La spuma nasce nel 1922 ad opera di Enrico Paoletti, messo comunale del comune di Folignano, nonché oste che, per risolvere il problema delle continue mancate forniture di gazzosa, decide di mettersi in proprio, creando la sua produzione di bibite con le bollicine, tra cui la stessa gazzosa e una novità, la spuma bionda, dal sapore piacevolmente dolciastro, realizzata con succhi profumati che arrivavano direttamente in botti dalla Sicilia. Nel giro di tre anni i prodotti iniziano a ottenere un discreto successo, così da vincere nel 1925 la Medaglia d’Oro e la Gran Palma d’Onore all’Esposizione Internazionale di Bruxelles. Enrico muore per una caduta da cavallo nel 1927, ma i figli continuano a portare avanti la produzione, meccanizzandola, tanto che negli anni ‘50 il brand ottiene il suo posto al sole. A rendere particolarmente riconoscibili le bottiglie in vetro è l’etichetta, dov’è rappresentata una ragazza in stile pin-up, dal nome di Tina Frizzante, detta FrizzanTina, che ancora adesso è il simbolo in chiave rétro di questa spuma.
Tra i marchi che nel corso dei decenni diventano celebri per la produzione della spuma, oltre a Paoletti, c’è anche la lombarda Spumador, di Como, che grazie a Domenico e Regina Verga nel 1888 realizza la sua prima gazzosa. La novità assoluta per la spuma arriva nel 1938, quando viene messa a punto la “Spuma Nera”, conosciuta anche come “Spuma tipo 1938”, che vede tra gli ingredienti principali 10 erbe officinali di cui non si conosce la tipologia, mantenendo così un velo di mistero sulla ricetta, un po’ come per la Coca Cola. Proprio l’arrivo dei colossi stranieri, con la commercializzazione e diffusione di bevande alcol free come Fanta, Sprite e l’appena citata Coca Cola, è la causa della progressiva scomparsa di spuma e affini, che solo verso la fine degli anni 10 del 2000 hanno ripreso a tornare in auge, grazie soprattutto alla nostalgia per la propria infanzia della generazione dei millennial, che magari le gustavano al bar con i nonni, e alla riscoperta di cibi e bevande della tradizione che erano andati (quasi) perduti.
Adesso tra le aziende che producono la spuma ci sono sempre Paoletti e Spumador, la siciliana Polara, con un soft drink caratterizzato da estratto naturale di radice di rabarbaro, fiori di sambuco, chiodi di garofano, caramello e aromi selezionati, la toscana Papini, con la sua bibita preparata con le acque sorgive del Monte Amiata, nella Val d’Orcia, ma anche aziende mainstreaming come la San Benedetto e birrifici, per esempio Baladin. Il risultato? Una bevanda di nicchia che è tornata conquistando i locali che sposano il trend del vintage, perfetta all’ora dell’aperitivo, perfino in veste di cocktail.