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20 Dicembre 2024 9:00

Cos’è la salsa di ostriche, che sapore ha e come utilizzarla in cucina

Ingrediente must have della cucina asiatica, la oyster sauce è un estratto di ostrica scuro e viscoso che dona un appetitoso gusto umami - e non di pesce - a tantissimi piatti, tra zuppe, marinature e stir-fry.

A cura di Federica Palladini
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Meno diffusa nelle case occidentali della salsa di soia, probabilmente l’avrai assaggiata in qualche ristorante cinese all’interno della più svariata tipologia di ricette. La salsa di ostriche, o oyster sauce, infatti, è una vera e propria pietra miliare della cucina asiatica – tra Cina, Filippine, Vietnam, Thailandia – utilizzata per aggiungere profondità di sapore a piatti di verdure saltate nel wok, noodles e marinature. D’aspetto riporta al caramello, viscoso e scuro, mentre il gusto richiama il famoso umami, ovvero l’asso nella manica della gastronomia dell’estremo oriente. Facciamo la sua conoscenza e vediamo come valorizzarla al meglio in cucina.

Salsa di ostriche: che cos’è, come si fa, di cosa sa

Leggenda vuole che la salsa di ostriche abbia un “papà”, un luogo e un anno preciso di nascita. Siamo nel 1888, nella provincia del Guangdong in Cina e il signor Lee Kum Sheung lascia cuocere per troppo tempo il brodo di ostriche che stava cucinando nel suo locale. Un errore che si rivela, però, una fortuna, visto che ottiene una salsa densa di colore marrone scuro, con un sapore unico e intenso, in perfetto equilibrio tra dolcezza e salinità. Una preparazione scoperta per caso che diventa il suo marchio di fabbrica, tanto che fonda un’azienda per venderla: ancora adesso il brand Lee Kum Kee è conosciuto per essere uno dei maggiori produttori al mondo di oyster sauce. Ma come si fa? Il metodo tradizionale prevede che venga realizzata cuocendo lentamente le ostriche in acqua fino a raggiungere un estratto che si miscela con zucchero, sale e spesso amido di mais. Si possono aggiungere anche aceto e salsa di soia: alla fine la salsa deve avere una texture viscosa, come uno sciroppo.

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Al palato non sa spiccatamente “di pesce”, ma il gusto si avvicina a quello umami, quindi piacevolmente sapido. Nelle versioni commerciali, per mantenere bassi i costi, ma replicare il caratteristico profilo aromatico, può avvenire la stessa modificazione di cui è vittima l’olio al tartufo, ovvero che l’estratto di ostrica è sostituito o integrato da aromi artificiali. Se la vuoi acquistare, quindi, leggi bene l’etichetta, assicurati che non siano usati additivi e non scegliere bottigliette dai prezzi stracciati, perché comunque si trovano di buona qualità attorno ai 10-15 euro per circa 500 ml. Per dare le stesse sensazioni alle papille gustative di chi segue una dieta vegetariana e vegana, nel tempo sono state messe a punto varianti alternative che vedono spesso i funghi asiatici – tipo gli shiitake – tra le scelte principali per conferire l’umami.

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Come si usa la salsa di ostriche in cucina

La salsa di ostriche è incredibilmente versatile. Viene utilizzata in una vasta gamma di piatti, sia come condimento a crudo sia come ingrediente chiave in ricette classiche. In Cina, per esempio, insaporisce contorni di verdura come il pak choi in padella.

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Nelle cucine tailandese, filippina e vietnamita si abbina alla perfezione ai noodles asciutti o in zuppe. Non manca (quasi) mai nelle cotture stir-fry, perché ne basta un cucchiaino mescolato con salsa di soia e olio di sesamo, per dare un boost di gusto irresistibile. Si tratta, poi, di un ingrediente “segreto” per le marinature di carne (manzo, pollo, maiale), pesce (preferisci quello bianco o il salmone) arricchito con aglio, zenzero, lemongrass o peperoncino, ma anche per spennellare grigliate e arrosti, creando una glassa lucida in superficie. In più, si può impiegare come trucco per dare un tocco particolare alla maionese o per arricchire una classica padellata di ortaggi.

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La salsa di ostriche si compra online e negli asian market, anche se alcuni supermercati possono averla nel reparto dei cibi etnici: una volta aperta, si conserva in frigorifero e si consiglia di consumarla nell’arco di un mese, un mese e mezzo.

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Quello che i piatti non dicono
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