Le Marche sono la sua regione d’origine ma oggi la pizza (o crescia) di Pasqua viene preparata in gran parte del Centro Italia. Già nel 1800 ne parlano ricettari anconetani, oggi è una specialità diffusa anche in Lazio, Umbria e Abruzzo.
Nonostante si chiami pizza di Pasqua a prima vista, per la sua forma, potrebbe essere facilmente confusa per un dolce tipico del Natale, il panettone. E, come il lievitato dicembrino, è caratterizzata da un impasto molto ricco: non di uvetta o canditi, bensì di golosi tocchetti di formaggio.
Il paradosso più evidente però riguarda forse il nome: si chiama pizza ma della tradizionale ricetta che tanto amiamo non ha la benché minima somiglianza estetica. Uno dei pochi punti in comune, forse l’unico, è che entrambi sono a loro modo dei lievitati salati (anche se della pizza pasquale, in alcune zone, ne esiste anche una versione dolce). Sul perché si chiami in questo modo, insomma, c’è un alone di mistero (nelle prossime righe però proveremo a capirne il motivo) ma su qualcosa mette davvero d’accordo tutti: il gusto e la sua bontà. Gli amanti delle preparazioni al formaggio, soprattutto, ne vanno decisamente matti.
Purtroppo si tratta di una ricetta diffusa principalmente (considerate le inevitabili varianti tra dosi, ingredienti e procedimento) nel Centro Italia: in tanti nel nostro Paese insomma potrebbero (ahiloro) non averla mai mangiata. I più fortunati sono i residenti di Marche, Abruzzo, Umbria (dove è riconosciuta dal marchio Pat) e Lazio (ma, già a Roma, pare meno diffusa), Regioni in cui questa ricetta nel periodo pasquale diventa un vero must, presente sulle tavole tanto quanto colombe e uova al cioccolato. Per coloro che fanno parte del team salato è forse la vera ricetta tradizionale delle feste.
Nello specifico, però, che cos’è la pizza di Pasqua? Qual è la sua storia e cosa la rende così particolare?
Si tratta di un prodotto da forno a base di farina, uova, sale, pepe, latte, olio extravergine di oliva, lievito naturale ed un mix di formaggi, generalmente pecorino, parmigiano reggiano oppure grana padano e pecorino romano. Vengono aggiunti sia grattugiati sia a tocchetti dalla forma irregolare che, come pepite, si amalgamano all’impasto, dandogli ulteriore gusto e arricchendolo di una diversa consistenza.
Viene chiamata, specialmente nelle Marche, anche crescia, e probabilmente è questo il suo nome originario: per via dell’importante “crescita” dell’impasto (anche fino a due volte la massa originale) in fase di cottura nel forno a legna, all’interno di appositi stampi (un tempo in coccio, oggi in alluminio) che le conferiscono la caratteristica forma. Tra preparazione e lavorazioni varie, ci vogliono solitamente un paio di giorni per ottenere la pizza di Pasqua.
La pizza, o crescia, pasquale nasce con tutta probabilità nelle Marche, per poi diffondersi in gran parte del Centro Italia. La prima testimonianza scritta di questa ricetta risale al XIX secolo, quando fa il suo esordio in un ricettario anconetano dal titolo Memorie delle cresce di Pasqua, datato 1848. Secondo alcune teorie, non verificate tuttavia, questa preparazione veniva realizzata già in epoca medievale nella stessa provincia di Ancona, dalle monache del convento di Santa Maria Maddalena a Serra de' Conti. Le quali, per l’appunto, vedendolo crescere all’interno di contenitori originariamente in coccio battezzarono questo lievitato crescia.
Si tratta, comunque, di una ricetta anche “adottata” dalle famiglie contadine, le quali erano solite consumare le cresce la mattina di Pasqua, al termine del digiuno della quaresima e accompagnate a salumi preparati a inizio anno che proprio in questo periodo terminano il loro periodo di stagionatura. Non era raro nemmeno un bicchiere di vino rosso, già a colazione, ad accompagnare il tutto. L’impasto, in fin dei conti, risulta particolarmente compatto e per questo serve qualcosa (che sia vino o latte) per facilitare la deglutizione.
Preparata in occasione del giovedì o del venerdì santo, la pizza di Pasqua viene poi comunemente consumata, per l’appunto, a partire dalla domenica successiva, già a colazione. Il richiamo alla tradizione contadina è chiaro: molte volte viene mangiata già al mattino, accompagnata da formaggi e affettati, come salame, capocollo oppure lonza. Nelle Marche in particolar modo viene accostata anche al caratteristico ciauscolo.
Qualche goloso, però, non disdegna l’abbinamento con la cioccolata. Un tempo, prima di consumarla, la si portava in Chiesa per la benedizione assieme agli altri cibi che sarebbero stati mangiati durante il giorno di festa. Oggi la pizza di Pasqua viene consumata generalmente pure la settimana precedente e successiva la domenica di Resurrezione. Anche per Pasquetta, insomma, non è raro trovare in tavola (o durante le scampagnate) qualche fetta avanzata di questa ghiotta specialità al formaggio.
La domanda che in molti si saranno fatti potrebbe riguardare proprio il caratteristico nome. Per quale motivo questo lievitato da forno si chiama pizza, se di fatto con la pizza non ha niente a che fare? Non c'è una risposta chiara, ma solamente alcune teorie. La più attendibile farebbe risalire l’etimologia del termine non al significato di “pizza” nell’accezione contemporanea, bensì a quello di “piza” tipico del latino volgare. In questo modo generalmente si identificavano, a ridosso dell’anno mille e nella zona centro meridionale della Penisola, "…cibi cerimoniali quali le pizze pasquali, torte salate e rustiche, focacce e schiacciate", come recita Treccani. Presumibile pensare come questa ricetta, o comunque una sua antenata, fosse presente nella gastronomia locale molto prima del 1800.