Citata da Pascoli e raccontata in una leggenda, la crescia sfogliata di Urbino è una specialità dell’antica città marchigiana. Guai però a confonderla con la piadina: la crescia è una sua “parente” ricca, apprezzata anche alla corte dei duchi di Montefeltro.
Si chiama crescia, anche se per dimensioni non è così "cresciuta". Somiglia a una piadina, ma guai a confondere le due preparazioni. È originaria di Urbino, paese ricco di storia e cultura, e secondo la leggenda è nata grazie a una giovane fornaia ispirata dal sole intrappolato tra le torri della città ducale.
Anche nel caso in cui Urbino non sia mai stato tra le nostre mete turistiche, pur solo guardandolo in foto probabilmente serberà a ognuno di noi qualcosa di familiare. Uno scorcio, un angolo di strada, un panorama, un profilo e uno skyline così identitario: Urbino, tra Medioevo e (soprattutto) Rinascimento città splendente e fervente sia dal punto di vista artistico sia culturale, sembra uscita direttamente dalla più classica delle fiabe. Una di quelle fiabe che vengono raccontate ai bambini la sera, poco prima di dormire, facendo immaginare e sognare loro di vivere in un mondo fantastico, fatto di draghi, di stregoni, di principesse in pericolo che attendono di essere salvate da valorosi eroi a cavallo.
Con le sue torri merlettate, le solide mura, i pinnacoli, gli edifici medievali e rinascimentali arroccati su di un colle Urbino domina la vallata circostante e, dall’alto, nelle giornate prive di foschia volge il suo sguardo verso le coste bagnate dal mar Adriatico. Custode di storia, di storie e leggende, la città ducale rappresenta uno dei maggiori patrimoni artistici, architettonici e culturali di tutta Italia.
Entrando a Urbino, nel suo centro storico patrimonio Unesco, ci si immerge quasi in un mondo parallelo: un mondo fatto oltre che di un illustre passato e un affascinante, quasi nostalgico, presente anche di una gastronomia identitaria e autentica, ben racchiusa e protetta dalle mura cittadine.
In quella che fu la culla di Raffaello (nato qui nel 1483) e patria dei duchi di Montefeltro (i quali vissero nel Palazzo Ducale dal 1443 al 1631), esiste e resiste una preparazione simbolo della cucina e tradizione locale: la crescia. Detta anche crescia sfogliata (da non confondere quindi con la crescia di Pasqua, nata invece nell’anconetano almeno a metà 1800), la possiamo considerare la cugina nobile e aristocratica della piadina romagnola. Dopotutto, siamo pur sempre in un ex ducato, ed è giusto mantenere un certo status.
Stiamo infatti parlando di una preparazione che, a differenza di molte altre, non affonda le sue radici in un passato popolare, povero, quasi contadino; contrariamente alla piadina. Proprio lei, dopotutto, tra alte Marche e bassa Romagna è lo street food d’eccellenza, capace grazie alle sue umili origini di integrarsi, diffondendosi, nella tradizione gastronomica locale sino a diventare man mano preparazione replicata e consumata in molte altre parti d'Italia.
La crescia è l’espressione di una cucina “ricca”, appartenente alle classi più nobili, per quanto semplice negli ingredienti e nella preparazione. Niente pomposità, niente sfarzo estetico, ma utilizzo di materie prime se oggi di uso comune, decisamente ricercate e rare nel periodo medievo-rinascimentale: l’uovo, un tempo non a disposizione di tutti, ma soprattutto il pepe, spezia proveniente dall’Oriente e maneggiata solamente da ricchi mercanti e corti dal palato raffinato ed esotico.
La crescia sfogliata è frutto di un retaggio ricco, aristocratico, dunque di nicchia e in un primo momento incapace di penetrare tra il volgo. In grado però di mettere radici garantendosi, nel tempo, anche la sopravvivenza tra il popolo.
La crescia urbinate, sia per la tradizionale forma a mezzaluna (una volta richiusa) sia per il ripieno che la farcisce, possiamo considerarla la cugina della piadina, questa di derivazione forse già etrusca e un tempo considerata sostituto del pane. O forse meglio dire la cugina ricca, quasi un po’ altezzosa, consapevole del proprio status di superiorità, di un retaggio nobile e dal passato aristocratico. Gli ingredienti utilizzati, oltre a acqua e farina come la più classica delle piade romagnole, anche il prezioso quanto raro pepe e le uova; a formare un impasto poi farcito di ogni ben di Dio.
Antica quanto illustre la storia della crescia, e non poteva essere altrimenti per qualcosa nato nel corso del Rinascimento. Risalgono al 1500/1600 le sue prime tracce e si narra di come ne andassero matti anche i duchi locali (il Montefeltro era un’entità statuale situata nell’attuale provincia di Pesaro e Urbino, nell’alta Umbria arrivando a toccare anche parti dell’odierna provincia di Ancona) che proprio a Urbino risiedevano. Presso la loro corte pare sia nata (o comunque diffusa) la crescia sfogliata che oggi è presente praticamente in ogni bar, ristorante o trattoria locale. Una preparazione capace anche di conquistare il palato di Giovanni Pascoli (che a Urbino si dedicò agli studi classici), il quale la ricorda con nostalgia in una lettera indirizzata a un suo amico marchigiano. “… son più di trent’anni che non vedo Urbino – scrisse il poeta nel 1903 – e la vedo sempre! Non m’è uscito di mente nulla, nemmeno la Baciocca dove ci facevamo fare le crescie”.
Guai a confondere queste due preparazioni, simbolo e sintesi di due culture gastronomiche così vicine geograficamente ma al contempo così gelose della propria identità. La differenza sostanziale, come detto, sta negli ingredienti: con l’allora raro pepe e le uova (alle quali si deve il caratteristico colore giallognolo, a differenza del pallore della piada) che rappresentavano materie prime al tempo non accessibili come oggi. Strutto, sale e acqua a completare l’elenco degli ingredienti.
Anche esteticamente è semplice distinguerle: più sottile la controparte romagnola, dall’impasto più spesso, ricco e soffice la versione urbinate. Per quanto riguarda la farcitura, poi, de gustibus: entrambe vengono comunemente riempite con salumi e formaggio: se la piadina si sposa bene con prosciutto e squacquerone, la crescia più tradizionale è quella ripiena di crudo e casciotta di Urbino; un formaggio di latte ovino e vaccino a pasta molle e a marchio Dop.
Viene tramandata anche una leggenda riguardo la nascita della crescia sfogliata. Si dice che, in occasione di un matrimonio tenutosi alla corte ducale, un assistente della nobile famiglia chiese a una fornaia una nuova, inedita preparazione da presentare sulle tavole aristocratiche del Palazzo di Urbino. La panettiera incaricata di questa mansione trasse ispirazione niente meno che dal sole, attratto a tal punto dalle bellezze della città da abbassarsi così tanto da rimanere impigliato a una delle torri del Palazzo Ducale. Nel tentativo di liberarsi caddero dal cielo delle scintille dorate, e ciò ispirò la giovane fornaia che decise di creare qualcosa capace di “…esprimere desiderio di libertà e voglia di volare alto come il sole: da qui nacque la crescia”, recita la leggenda.