Il teteun è un salume antichissimo della Valle d'Aosta ottenuto dalle mammelle delle mucche. Sapore e consistenza davvero unica, è un prodotto davvero prezioso.
Siamo abituati ad associare le mammelle delle mucche alla produzione del latte, ma se vi dicessimo che si possono anche mangiare? Il teteun è un salume valdostano antichissimo, protetto dal MIPAAF, prodotto con le mammelle bovine salmistrate. Il nome deriva dal patois valdôtain, la varietà dialettale valdostana derivante dalla lingua francoprovenzale che si parla nella più piccola regione italiana e si traduce letteralmente con "mammella".
Questo salume ha un sapore unico, molto particolare, che ricorda per certi versi quello del foie gras e per altri quello della lingua bovina. Vediamo da dove viene il teteun, la sua storia e soprattutto come usarlo in cucina per gustarlo al meglio.
La storia del teteun è antichissima perché legata a doppio filo all'uso delle mammelle dei maiali. L'uso alimentare di questa singolare parte del corpo è molto antico ed è descritto perfino nel "De re coquinaria", il celebre "L'arte culinaria" di Marco Gavio Apicio, uno dei libri di cucina più importanti di tutti i tempi. Il manuale risale all'antica Roma e testimonia l'uso della mammella delle scrofe, le sumen, che vengono sbollentate e poi grigliate, oppure farcite in vari modi dopo la sbollentatura.
La Valle d'Aosta diviene parte di Roma solo in età imperiale, relativamente tardi rispetto al resto d'Italia, ma è stata fondamentale per le fortune degli imperatori. Il territorio è tanto ostile quanto strategico perché con la piccola regione alpina c'è il controllo totale dei valichi del Piccolo e del Gran San Bernardo. Uno dei primi passi per la colonizzazione imperiale è quello di instillare le tradizioni gastronomiche e qui nasce il primo problema: la grande cultura sul maiale viene pressoché rigettata dal clima ostico. La gastronomia locale ha dovuto adattarsi all'utilizzo della materia prima disponibile, cercando di "ricreare" le stesse condizioni di utilizzo: le mammelle delle scrofe vengono sostituite da quelle delle mucche che, insospettabilmente, sono squisite.
Nonostante l'approvazione dei coloni, la mammella di mucca resta un prodotto di nicchia per tutto il corso della storia, lo è ancora oggi: nella quasi totalità degli allevamenti italiani le mammelle sono considerate un sottoprodotto da asportare prima della scuoiatura e utilizzate per la preparazione di mangimi o fertilizzanti. In Valle d'Aosta invece le cose sono ben diverse.
Il teteun si ottiene esclusivamente da razze bovine autoctone valdostane, in particolare la pezzata rossa. Una volta ucciso l'animale, si prelevano le mammelle che vengono incise in diversi punti e poi pressate così da eliminare i residui di latte. Dopo essere tagliate a fette, vengono messe a strati in appositi contenitori con sale, salvia, rosmarino, alloro, bacche di ginepro e altre spezie (a discrezione del produttore). Questo procedimento è molto simile a quello fatto per la carne salada ma con il teteun ci sono poi dei passaggi successivi che lo rendono uno dei migliori prodotti della cucina valdostana.
La stratificazione serve a macerare le mammelle che sono poi cotte a bagnomaria e pressate in alcuni stampi come si fa col prosciutto cotto. Questa tecnica è quella più utilizzata ma c'è chi preferisce la cottura a vapore e c'è chi aggiunge addensanti, antiossidanti e zuccheri. I migliori prodotti sono, come potete immaginare, naturali al 100% senza l'uso di additivi.
Il sapore così particolare lo rende perfetto in un "tagliere gourmet", da servire con del pane (magari proprio col pane nero tipico delle Alpi), con marmellate di frutti come fichi e lamponi o con uva passa o pere sciroppate; anche una spruzzata di aceto balsamico è consigliabile. La tradizione lo vuole accompagnato da una salsa "verde" a base di prezzemolo, olio e aglio per spingere il più possibile i sapori terziari del teteun: il gusto delicato viene esaltato da questi ingredienti che riescono a tirare fuori anche tutti i sentori delle erbe di montagna in cui è stato lasciato a macerare. Una vera prelibatezza dunque, una rarità tutta italiana nascosta nel panorama mozzafiato delle Alpi.