Per molto tempo è stato il riso più richiesto per il suo chicco bianco e lucente. Vediamo come viene lavorato e perché ora che le abitudini dei consumatori sono cambiate è diventato meno popolare.
Il riso è un alimento protagonista di molte ricette della nostra tradizione: specialmente in alcune zone del Piemonte e della Lombardia può fregiarsi di essere un prodotto di eccellenza. Le varietà di riso che si trovano in commercio sono molteplici, soprattutto in questi ultimi anni di contaminazioni culinarie che hanno portato a sperimentare piatti etnici home made e ad avere una particolare attenzione per cibi genuini, meno lavorati possibile. Ecco, questi due fattori hanno incrinato la popolarità del riso brillato, che per molto tempo è stato il re degli scaffali dei supermercati, apprezzato soprattutto per l’estetica del chicco che si presenta bianco e lucente attraverso un processo di raffinazione, a discapito, però, delle sue proprietà nutritive. Vediamo il motivo.
Quando si parla di riso brillato si intende il risultato della fase finale, anzi, finalissima, della lavorazione del riso. Si sa, infatti, che appena raccolto il risone (il chicco grezzo) non è pronto per essere mangiato, ma ha bisogno di diversi trattamenti per poter diventare commestibile. A seconda delle fasi di trasformazione cui il chicco viene sottoposto si ottengono tipologie differenti, con l’obiettivo di avere un prodotto integro, di qualità e anche piacevole alla vista.
Entra ora in scena la brillatura: un'operazione facoltativa cui viene sottoposto il riso, ma anche altri cereali – per esempio l’orzo perlato – quando si vuole donare maggiore lucentezza al prodotto. Si tratta di cospargere sulla superficie del chicco una soluzione di talco e glucosio, non dannosa per la salute, che conferisce una patina lucida. Non solo: è utile anche per una maggiore conservabilità, in quanto funziona da guaina protettiva rispetto a diversi fattori esterni che possono compromettere il chicco.
L’exploit del riso integrale – così come delle altre alternative – si ascrive proprio all’interno di una sempre maggiore attitudine del consumatore a preferire una materia prima sotto il segno del benessere, al di là del suo aspetto esteriore. Per quanto riguarda il riso brillato, è un dato di fatto che il lungo processo di lavorazione ne determina un’importante perdita di valori nutritivi: non è un caso che alcuni brand abbiamo brevettato dei sistemi di reintegro della gemma nel riso bianco, che segnalino la non brillatura nella descrizione del prodotto o ancora che affianchino alle varietà classiche (tipo Carnaroli e Arborio) anche la loro versione integrale. In ogni caso, un falso mito da sfatare è quello che il riso brillato faccia male di per sé: si tratta del comune riso bianco, che inserito all’interno di una dieta variegata non ha alcun effetto negativo.