La comunità scientifica non trova un accordo su questo pesticida tra i più utilizzati al mondo di cui diverse organizzazioni e associazioni chiedono la messa al mando per il benessere dell'uomo e del pianeta.
Il glifosato è uno dei principi attivi più usati al mondo all’interno degli erbicidi. Si tratta di un prodotto chimico che viene utilizzato per eliminare le piante infestanti: essendo efficace su una vasta gamma di esemplari, è ampiamente impiegato in agricoltura e nel giardinaggio. Si definisce diserbante totale in quanto non è selettivo: ciò significa che anche le piante desiderate, e non solo quelle indesiderate, subiscono la contaminazione. Fu scoperto negli anni ‘50, ma solo successivamente, nel 1974 venne commercializzato sotto il nome di Roundup dall’azienda statunitense Monsanto, che lo brevettò: dopo la scadenza del brevetto nel 2001, il glifosato è prodotto da una serie di aziende, tra cui la più famosa è la multinazionale tedesca Bayer, che ha acquistato la Monsanto nel 2018.
Nel 2015, l’IARC, International Agency for Research on Cancer (IARC) definì il glifosato “potenzialmente cancerogeno per l’uomo”, scatenando un forte dibattito in merito alla sua sicurezza per la salute: la Commissione Europea, nel 2017, ne autorizzò l’uso per altri cinque anni, fino al 2022, permesso che nel dicembre del 2023 è stato ulteriormente rinnovato – tra le polemiche – per altri 10 anni (seppur con qualche limitazione): l’Efsa, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare ha espresso un parere scientifico di non pericolosità in cui si dice che: “la valutazione dell’impatto del glifosato sulla salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente non ha evidenziato alcuna area di preoccupazione critica”. Indipendentemente da questo, la reputazione del pesticida continua a essere molto controversa, con cause disseminate in tutto il mondo (tra cui alcune anche vinte) da cittadini che chiedono risarcimenti di danni per aver sviluppato tumori derivanti da una sovraesposizione al glifosato. Vediamo perché il suo uso continua a generare preoccupazione.
Le conseguenze negative del glifosato andrebbero a impattare su una molteplicità di scenari, che vanno dalla salute delle persone a quella dell’ecosistema. Come scrive l’AIRC, l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, non è stato ancora dimostrato con assoluta certezza che il glifosato possa essere causa del cancro: per ora è catalogato tra le sostanze potenzialmente cancerogene, come il DDT, le carni rosse o le emissioni da frittura ad alta temperatura. Test epidemiologici, quindi che incrociano la frequenza e la distribuzione di malattie rilevanti a carattere sociale, hanno messo in luce un possibile aumento del rischio di sviluppare linfomi non-Hodgkin tra gli agricoltori esposti professionalmente a questa sostanza. Inoltre, gli studi di laboratorio in cellule in coltura hanno dimostrato che il glifosato può provocare danni genetici e stress ossidativo. Lo scorso anno, ha fatto il giro del mondo la notizia di Théo Grataloup, un ragazzo francese di 16 anni che ha ricevuto un indennizzo a vita in quanto l’origine delle sue malformazioni è riconducibile all’esposizione prenatale (ovvero quando era nel grembo della madre) al glifosato. In Italia, dal 2016, il glifosato è fuori legge nelle aree frequentate dalla popolazione quali parchi, giardini, campi sportivi e zone ricreative, aree gioco per bambini, cortili e aree verdi interne a complessi scolastici e strutture sanitarie.
Puntano a una messa al bando le organizzazioni ambientaliste e animaliste, dal WWF a Greenpeace, passando per la Lipu, ma anche di Slow Food, che si erano schierate per il no al suo rinnovo, alcune unite in un comunicato congiunto. Tutte si trovano concordi nell’affermare che questo diserbante agisce su uno spettro molto ampio, contribuendo ad alterare gli ecosistemi naturali e quindi la biodiversità: risulta tossico perché si accumula nel terreno danneggiando gli organismi che ci abitano, interferisce con la salubrità delle acque, sia quelle superficiali che delle falde. Inoltre, in veste di biosentinelle, anche nelle api di arnie urbane di città come Milano, Torino e Bologna sono state ritrovate tracce di glifosato, oltre che quelle di metalli pesanti, a testimonianza di come sia diffuso nell’ambiente.
Nella penisola, il dibattito sul glifosato è particolarmente acceso perché coinvolge le coltivazioni del grano duro, ovvero quello che si usa per produrre la pasta secca, che dovrebbe essere il prodotto “genuino” per eccellenza. Nel nostro paese, questo diserbante è vietato in funzione di essiccatore, alla fine della raccolta, ovvero per abbassare l’umidità e poter anticipare la mietitura, ma è concesso come pesticida. Proibizione che non esiste, per esempio, nel grano canadese, uno dei più importati in Italia, anche se, è bene ricordare, tutti gli ingressi sono conformi alle norme di legge. Non sono nuove notizie di famosi marchi in cui si riscontrano tracce del diserbante, presenti in quantità legali. Visto che sul glifosato ancora la comunità scientifica sta indagando e non ci sono pareri conformi, è utile tenersi informati e, magari, intanto, scegliere a seconda delle disponibilità prodotti biologici, che danno anche maggiori garanzie al benessere dell’ambiente in generale. Da non dimenticare che l’Europa si è impegnata per un uso sostenibile dei pesticidi: uno degli obiettivi è la riduzione entro il 2030 del fattore di rischio di quelli chimici e di quelli più pericolosi del 50%.