Un corno di una mucca che abbia partorito almeno una volta, contenente letame di vacca e sotterrato mezzo metro sotto terra per vari mesi. L’humus risultante, sciolto in acqua, garantirebbe nuove e rinnovate energie alle piante e all’uva.
Tra le metodologie oggi più comuni di fare vino, dalla più classica a quella invece che passa per il biologico, negli ultimi tempi si sta facendo largo anche una terza via, discussa e per molti controversa. Quella del biodinamico.
Gli operatori del settore sicuramente conoscono questo metodo, i semplici appassionati ne avranno senz’altro sentito parlare. Per tutti gli altri, un breve riepilogo di cosa si intende fare vino in biodinamico.
Alcuni lo considerano semplicemente una moda, un trend di rottura con gli altri due processi più convenzionali (il classico cioè e il biologico). Per tanti altri, soprattutto alcuni produttori, è quasi una vocazione, un ritorno alla natura anche attraverso tecniche ancestrali, mentre per altri ancora è una semplice trovata di marketing per poter vendere un vino realizzato sì in modo peculiare, ma allo stesso tempo con varie “imperfezioni” (previste e giustificate) rispetto ai prodotti più canonici.
In verità al giorno d’oggi non esiste ancora una vera definizione di biodinamico, negli anni i produttori hanno individuato vari modi di lavorare, con controlli periodici da parte di organizzazioni come Vinnatur. Questa nuova visione pone l'attenzione non più in primis sul frutto o sulla parte finale del processo, come fino a pochi anni fa è stato, bensì sul terreno e sulla pianta. La vigna viene messa al centro dell'attenzione, il suo benessere e la sua vitalità e con lei anche dalla vitalità del terreno. La singolarità acquista una parte rilevante, valorizzando la qualità e le peculiarità di ogni territorio. Si coltiva prima di tutto cercando di conoscere il suolo e le sue caratteristiche.
Si parte da questo principio di base, comune a tutti coloro che fanno biodinamico. Poi ogni produttore differenzia il proprio lavoro a sua discrezione.
Secondo questa nuova visione, in sintesi, le piante grazie alle tecniche utilizzate riescono a esprimere meglio le loro proprietà energetiche e naturali. Il tutto senza far ricorso a sostanze chimiche come antiparassitari o pesticidi (come già avviene in biologico, dopotutto), cercando di favorire particolari flussi per accentuare la fertilità della terra, stimolando ed enfatizzando le risorse nutritive già presenti in essa.
Si lavora in modo da creare premesse grazie alle quali il terreno possa fornire alla vigna le migliori condizioni per fruttificare.
In tutto ciò sul biodinamico, nel suo ancor poco conosciuto mondo, si prende in considerazione metodologia piuttosto particolare e curiosa, quella legata al cornoletame.
Chiamata anche preparazione 500, è una tecnica di certo peculiare. Prevede l’utilizzo del corno di una mucca che abbia partorito almeno una volta, riempito di letame di vacca, sotterrato durante l’inverno e lasciato compostare a circa mezzo metro nel suolo. Come vorrebbe la tradizione, il corno sarebbe da inserire nel terreno il giorno di San Michele (il 29 settembre) e riesumato sotto forma di humus puro durante la Settimana Santa.
Durante i mesi il corno si decompone assieme al suo contenuto, trasformandosi in compost vero e proprio. In questo modo si restituiscono al terreno dei principi attivi in grado di arricchire la terra, sebbene non è chiara la misura in cui agiscono. La stessa terra una volta raccolta viene miscelata e diluita in acqua (il termine tecnico di questo processo è dinamizzare) così da trasferire questi principi arricchiti all’acqua stessa, sia essa tiepida di sorgente, pozzo o piovana.
Il tutto viene quindi mescolato circa per un’ora, manualmente o attraverso l’uso di appositi macchinari, prima dell’irrigazione a pioggia.
La vigna bagnata dall’acqua in cui è stato sciolto l’humus, insomma, secondo le teorie biodinamiche troverebbe una maggiore capacità di espressione delle sue qualità. Qualità, trasferite di conseguenza ai suoi frutti, che non sarebbero altrimenti così spiccate in caso di coltivazione tradizionale.
Per risalire all’origine di questa credenza, di questo processo ancestrale e di efficacia al centro di molti dibattiti, bisogna tornare indietro di molti anni, circa un centinaio. Siamo a ridosso degli anni 20 del 1900, quando il filosofo austriaco (non biologo, non agricoltore) Rudolf Steiner teorizzò come questa tecnica riuscisse a garantire, grazie all’acqua in cui era stato diluito il composto organico, benefici e vitalità al terreno sul quale si sarebbe coltivato.
Leggendo le parole di Steiner, il pensatore austriaco sembra piuttosto convinto della sua teoria: “La vacca ha le corna al fine di inviare dentro di sé le forze formative eterico-astrali, che, premendo verso l’interno, hanno lo scopo di penetrare direttamente nell’organo digestivo. Proprio attraverso la radiazione che proviene da corna e zoccoli si sviluppa molto lavoro all’interno dell’organo digestivo stesso. … Così nelle corna abbiamo qualcosa di ben adattato, per sua natura, a irradiare le proprietà vitali e astrali nella vita interiore. Nel corno avete qualcosa che irradia vita, anzi irradia anche astralità”.
Tutto questo sembra assurdo? Controprove scientifiche in grado di quantificare l'efficacia di questa tecnica, in effetti, non ce ne sono. Cercando di andare più in fondo, però, vediamo come la metodologia del cornoletame non sia propriamente qualcosa di magico e ancestrale, fine a sé stessa in senso assoluto, ma poggi per certi versi su principi effettivi ma non per questo riconducibili alle capacità di apportare benefici al terreno stesso.
Partiamo dalle corna, per quale motivo è necessario che siano di una mucca che abbia già partorito almeno una volta? Pare che dopo la gravidanza abbiano meno calcio e, diventando più porose, permettono un ideale scambio di gas e sostanze tra il contenuto e l’esterno. Il corno deve essere sotterrato a mezzo metro di profondità perché la temperatura qui è costante durante tutto l’anno, favorendo una decomposizione ottimale e bilanciata. La vera domanda, quindi, non è sul "cosa", sulla pratica di fertilizzare il terreno con del compost naturale, ma i dubbi maggiori sono legati al "come" tutto questo viene effettuato. A come la pratica, in sostanza, viene confezionata e raccontata.
Leggendo vari commenti sul web si capisce come per molti, i più scettici, si tratti più di una questione di fede che di scienza vera e propria. Non a caso i concetti su cui si basa questa tecnica, espressi già 100 anni fa da Steiner, sono considerati un esempio di pseudoscienza.