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11 Dicembre 2023 15:00

Cos’è il brodo di polpo: il più misterioso street food d’Italia

Giuseppe Marotta ne "L'oro di Napoli" lo chiamava "tè del mare": il brodo di polpo è uno street food povero e molto antico, tipico di Napoli. Una tradizione da riscoprire che si sta perdendo.

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Il brodo di polpo è uno degli street food più misteriosi e poveri del mondo. È una preparazione antichissima che ormai fanno solo pochi chioschi e ristoranti in giro per Napoli. Praticamente è una zuppa ma viene servita in una tazza corredata da una "ranfetella", così si chiamano i tentacoli dei polpi a Napoli. ‘O broro ‘e purpo, così lo chiamano nella città partenopea, non è altro che l’acqua di cottura del polpo, aromatizzata poi con sale e pepe. Tipico di Porta Capuana, zona centrale e dislocazione di tanti grandi mercati di Napoli, non sta sopravvivendo all'incedere del tempo: un gusto forte, tendenzialmente piccante e salato, spaventa molte persone e ormai la tradizione sta scomparendo. Vediamo insieme tutti i segreti di questo piatto incredibile, unico nel suo genere.

Da Boccaccio a Marotta: il brodo di polpo accompagna Napoli da secoli

Non sappiamo bene quando sia arrivato per la prima volta in città, per questo è così misterioso: potrebbe anche esserci da sempre. Nei ritrovamenti agli scavi di Pompei ci sono molti chioschi con residui di molluschi all'interno, soprattutto nelle zone mercatali, quindi non è da escludere che prima di Cristo i nostri antenati già bevessero (o mangiassero?) questa pietanza. Dopotutto è un piatto povero e semplicissimo da fare. La ricetta prevede tantissima acqua, dei polpi interi da cuocere per circa un'ora (in acqua bollente appunto) e abbondante sale e pepe.

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Questa facilità di preparazione era una manna dal cielo per i ceti più deboli della popolazione: spesso erano le bambine le addette alla "ricetta" e al "servizio". In un periodo in cui l'analfabetismo e l'impiego giovanile erano all'ordine del giorno, non era raro trovare mamme e papà tagliuzzare il polpo in giro per la città per poi lasciare alle più piccole l'arduo compito di versare in tazze o bicchieri il brodo. Ai maschietti no: loro avrebbero dovuto aiutare il papà con i lavori più duri. Altri tempi che fortunatamente sono passati nel nostro Paese ma che sono tristemente attuali in molte parti del mondo.

A Napoli le notizie storiche certe sul suo consumo risalgono alla metà del XIV secolo come testimoniato da una lettera di Giovanni Boccacio in cui si racconta della sua preparazione in occasione di una nascita. Stando a quanto scrive la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il comune di Napoli "Il brodo di polpo è citato da Giovanni Boccaccio in una lettera del 1339 in cui racconta che, in occasione della nascita di un bambino, i parenti avevano comprato un polpo e lo avevano inviato alla “puerpera”, una donna che si era occupata di cuocerlo e di preparare il brodo".

I riferimenti letterari su questa pietanza tanto povera sono in realtà tutti di alto livello. Dopo Boccaccio troviamo Matilde Serao che ne "Il Ventre di Napoli" scrive dell’usanza delle donne napoletane di vendere in strada un pezzo di polpo, bollito in grandi pentoloni riempiti di acqua di mare, e condito con peperoncino piccante: "Con due soldi si compera un pezzo di polipo bollito nell’acqua di mare, condito con peperone fortissimo: questo commercio lo fanno le donne, nella strada, con un focolaretto e una piccola pignatta". Infine c'è Giuseppe Marotta ne "L'oro di Napoli": è lui ad aver dato la più bella definizione di questa pietanza, ovvero "Il tè del mare".

L'autore descrive il carretto di don Gennarino Aprile in cui vende "peoci (le cozze, ndr) al succo di limone, le alici fritte, ma specialmente il brodo di polipo". Marotta descrive le dimensioni del polpo paragonandolo alla piovra descritta da Victor Hugo nel "Les Travailleurs de la mer". Offre inoltre uno spaccato tenero: "Don Gennarino non si illudeva di cuocerlo effettivamente, né in tutto né in parte — scrive Marotta — egli vi dava per due soldi una tazzina di bollente brodo del mostro (un cui solo tentacolo era bastato per riempire la pentola), ravvivata da un pizzico di pepe rosso e da un dado di polipo che equivaleva a circa un quarto della più piccola ventosa". Dopo aver sorseggiato "l'infernale liquido" ed averlo "sentito esplodere nello stomaco, ci si avviava verso casa masticando il frammento di polipo". Effettivamente queste sono le prime sensazioni all'assaggio del brodo di polpo: un calore che pervade il corpo dato dal liquido bollente e dalla piccantezza estrema.

La ricetta del brodo di polpo

Non esiste una vera e propria ricetta univoca, soprattutto per i tempi di cottura: ci hanno detto tutti che dipende dalla grandezza dell'animale. In realtà questa è la rispsota giusta: più grande è il mollusco, più tempo deve cuocere.

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In linea di massima il brodo di polpo si fa versando in una pentola alta molta acqua, porta a bollore e aggiungi abbondante sale e pepe. Versa poi il polpo per tre volte, così da far arricciare i tentacoli e lascia cuocere per un'ora. Versa nelle tazze il brodo, aggiungi qualche pezzetto tagliuzzato e un tentacolo che fuoriesce dalla tazza.

Alcuni cuochi aggiungono il prezzemolo in cottura e, a seconda della preferenza del cliente, c'è chi aggiunge il limone. Molti ristoranti arricchiscono l'esperienza aggiungendo crostini di pane cafone abbrustoliti o fritti da inzuppare nella tazza. Tradizionalmente il polpo veniva cotto in 33 litri d’acqua per 33 minuti, con un evidente rimando alla tradizione cattolica. Oggi non è più così e quei pochi rimasti a tenere in vita questa tradizione lo cuociono per circa un’ora.

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