Alla scoperta di un frutto autunnale già amato dai Romani, ma che nel corso del tempo è andato scomparendo. Meglio non mangiarle appena raccolte, ma aspettare che maturino e farci un buon liquore.
Nonostante la riscoperta del valore della biodiversità, c’è ancora molta strada da fare per vedere i prodotti di stagione in tutta la loro ricchezza quando si va a fare la spesa. Per esempio, delle sorbole non c’è quasi traccia, se non quando, magari anche un po’ per caso, ci si imbatte in questi frutti piccoli e tondeggianti o leggermente allungati tipo perine dal fruttivendolo di fiducia. E se la parola “sorbole” si associa perlopiù a una tipica esclamazione emiliano-romagnola di sorpresa e di stupore, la curiosità di saperne di più è lecita, se non doverosa.
Come i corbezzoli e le giuggiole, anche le sorbole fanno parte di quei termini utilizzati nel linguaggio comune all’interno di proverbi e modi di dire: se ne conosce l’esistenza, certamente, ma è difficile tracciarne nell’immediatezza un profilo preciso, come può essere per le mele o le ciliegie.
Non è un caso, infatti, che se ne parli come di frutti antichi o dimenticati, che hanno iniziato piano piano a sparire negli ultimi 50 anni per essere sostituiti da varietà più remunerative e richieste dal mercato. Le sorbole, dette anche sorbe, arrivano dal sorbo domestico (Sorbus domestica), un bell’albero di cui al giorno d’oggi si apprezza maggiormente il valore ornamentale che non quello di pianta da frutto destinato al consumo. Il sorbo, infatti, ha una stazza imponente (raggiunge i 10 metri di larghezza e i 15 di altezza), ama il clima mite e soleggiato ed è molto resistente, tanto da essere annoverato tra gli alberi centenari.
In passato era considerato una pianta con la facoltà di tenere lontano gli spiriti maligni e le streghe: i suoi frutti, che maturano in autunno, sono sferici o piriformi, di colore verde-giallognolo; appena raccolti risultano molto aspri all’assaggio e per questo non sono commestibili: devono essere fatti maturare per un lasso di tempo affinché la polpa diventi dolce ed esternamente le nuance passino al rossastro: questo procedimento è chiamato ammezzimento e una volta si realizzava facendo riposare le sorbe coperte dalla paglia.
Si potrebbe dire che è un peccato che le sorbole non siano più così diffuse nella nostra dieta, perché hanno delle buone proprietà nutrizionali, utili per il nostro benessere. Per esempio, sono ricche di vitamina C, che è risaputo specialmente nella stagione fredda essere un ottimo alleato contro influenze e raffreddori; contengono antiossidanti, che prevengono l’invecchiamento cellulare e in più si riconoscono capacità diuretiche e curative per i disturbi intestinali. Dalle sorbe si estrae il sorbitolo, un alcool che si trova naturalmente all’interno del frutto e che viene usato come dolcificante in campo alimentare al posto dello zucchero.
Le sorbole vengono ormai raramente impiegate in cucina: già conosciute al tempo degli antichi Romani, senza dubbio si possono gustare al naturale, oppure immerse nel vino e per realizzare confetture e composte. Rispetto ai piatti, è più noto il sorbolo o sorbolino: si tratta di un liquore tipico del parmense che si prepara mettendo in infusione nell’alcool le sorbe mature e una volta macerate dopo 30 giorni si filtra il tutto e si imbottiglia. Secondo il sito della Regione Emilia Romagna, il liquore era già diffuso nel ‘600 alla corte dei Gonzaga di Mantova e veniva servito durante i banchetti di festa.