La muffa non sempre è nemica del cibo: in alcuni formaggi, insaccati e perfino vini si rivela fondamentale per migliorare le qualità organolettiche degli alimenti, diventando da difetto un pregio.
Quando si sente nominare la parola muffa il pensiero riporta immediatamente a quella patina grigio-verdognola e pelosa che si forma sui cibi oppure sulle pareti di casa, rendendo il più delle volte immangiabili i primi e deteriorando le seconde. Questo perché le muffe o meglio funghi microscopici pluricellulari – vengono associate ad azioni dannose, a qualcosa che bisogna il più possibile prevenire o eliminare. In realtà, però, non è sempre così. Esistono anche delle muffe buone, considerate tali perché indice di qualità di un determinato prodotto: senza di loro, per esempio, certi formaggi non avrebbero quelle peculiari caratteristiche, così come la stagionatura dei salumi perderebbe un alleato fondamentale e perfino alcuni rinomati vini non esisterebbero. Scopriamo cosa sono le muffe che fanno bene, conosciute come muffe nobili, e perché in certi alimenti sono un pregio.
La presenza di particolari muffe commestibili nelle produzioni casearie è forse il contributo più conosciuto che queste danno nella realizzazione di un prodotto tipico. Si tratta generalmente di muffe selezionate con una bassa capacità di produrre micotossine, pericolose per la salute, che appartengono al genere Penicillium, lo stesso fungo che Alexander Fleming ha isolato nel 1928, il Penicillium chrysogenum o notatum, da cui si ricava la penicillina. Il loro utilizzo è visibile a occhio nudo nei formaggi erborinati (o blue cheese), dove attraverso l’erborinatura il formaggio stagiona senza imputridire assumendo sia la classica texture a venature e macchie blu/verdi sia sviluppando la celebre fragranza, più o meno pungente.
È il caso per esempio dell’italiano gorgonzola, dell’inglese blue stilton e dei francesi roquefort e bleu d'Auvergne: nei primi tre alla miscela di latte sono aggiunte muffe del genere Penicillium roqueforti, mentre nel quarto quelle di Penicillium glaucum. Ci sono poi i formaggi a crosta fiorita, detti così perché le muffe “germogliano” sulla superficie sotto forma di peluria bianca, che risulta vellutata al tatto ed edibile. I più famosi sono il brie e il camembert, due tipologie a pasta molle dove le spore di Penicillium candidum o camemberti hanno il merito di regolare la maturazione, dando la giusta umidità interna, e di impedire lo sviluppo di muffe nocive.
Un’abbondante flora fungina è presente anche nell’involucro esterno di moltissimi insaccati, dal salame al culatello, passando per la bresaola, e prolifera durante il periodo di riposo nelle apposite camere dedicate alla stagionatura. Questo strato di muffa, ben distinguibile a occhio nudo, solitamente di colore bianco-grigio, ricopre l’intero budello del salume e viene detto piumatura. Come per i formaggi, assolve il compito di far svolgere nel modo corretto il processo di invecchiamento dell’insaccato così da impedire il deterioramento che può essere dovuto alla degradazione delle proteine, a troppa o poca umidità e all’attacco di altri microrganismi potenzialmente patogeni.
Le muffe buone che riguardano i salumi derivano principalmente da diversi ceppi di Penicillium e Aspergillus e possono crescere spontaneamente nell’aria (soluzione preferita dalle aziende artigianali) oppure essere inoculate attraverso colture starter, più utilizzare industrialmente, dove si ha l’esigenza di una produzione che sia standardizzata e di grandi volumi.
Si chiama Botrytis cinerea, appartiene alla famiglia delle Sclerotiniaceae, ed è un fungo parassita che normalmente attacca diverse specie di piante, ma in particolar modo la vite facendo marcire l’uva in presenza di terreni bagnati e di un’alta concentrazione di umidità nell’aria per tempi prolungati. In questo caso la B.cinerea è comunemente detta marciume grigio (perché fa diventare gli acini color della cenere), ma può trasformarsi in marciume nobile nel caso in cui si verificano determinate condizioni naturali, che regalano all’uva un glorioso destino.
La muffa nobile, infatti, ha la possibilità di formarsi con un clima che vede situazioni di caldo/secco alternarsi con umidità e vento: questo favorisce una crescita più limitata del fungo che attraverso la sua azione enzimatica invece di danneggiare l’acino ne fa scaturire zuccheri naturali e sostanze aromatiche che conferiscono al vino un profilo gustativo inedito.
I vini botritizzati o muffati sono vini dolci e molto pregiati, serviti normalmente a fine pasto con il dessert o in degustazione con formaggi erborinati e foie gras: tra i più conosciuti ci sono il Sauternes nella zona di Bordeaux, il Tokaji nel nord-est dell’Ungheria, i Trockenbeerenauslese austriaci e tedeschi mentre in Italia il più noto è prodotto a Orvieto, con tanto di DOC.
La fermentazione da fenomeno di tendenza è diventata sempre più una certezza, praticata non solo dai grandi chef, ma anche all’interno delle mura domestiche, per la realizzazione di cibi e bevande. Muffe, lieviti e batteri sono gli attori principali di questa tecnica che oltre a conservare naturalmente dona agli alimenti sapori e consistenze originali. L’ultimo fungo proveniente dall’Asia a entrare nel gotha degli appassionati in Occidente è il Koji: il suo nome scientifico è Aspergillus oryzae e favorisce la fermentazione di riso, grano e fagioli di soia ed è tra i responsabili dell’irresistibile gusto umami.
Probabilmente, in modo inconsapevole, questa muffa buona che ora ci si ingegna a fare a casa, era già nella bocca di molti in quanto tra gli ingredienti indispensabili della salsa di soia e del sakè.