Sanremo non è solamente musica e fiori. È pure (tanto) cibo: nella città ligure si mangia molto e bene, con piatti prevalentemente a base di pesce. Non mancano però anche proposte di terra, come il coniglio con olive taggiasche.
Se fino a oggi solamente sentendo il nome “Sanremo” vi balzava subito in mente il Festival, oggi proveremo quantomeno ad accompagnare il lato canoro della città alla sua anima strettamente gastronomica. Cosa si mangia nella città famosa soprattutto per la kermesse canora?
Il lato mangereccio e ghiotto di Sanremo, come è facile intuire, viene quasi messo in ombra dalla musica e dai tradizionali fiori. Noi però, strenui difensori del cibo e di tutto ciò che riguardi l’enogastronomia, vogliamo mettere in risalto se non tutto, almeno buona parte di ciò che la città ligure può offrire a tavola. Tra piatti tipici e ricette tradizionali, scopriamo ciò che Sanremo, oltre a note musicali e petali, riesce a proporre ai suoi ospiti.
Non è difficile immaginare come molti piatti siano a base di pesce, con i gamberi rossi in particolar modo a rappresentare un’eccellenza della zona. Fisiologicamente l’impronta marina e mediterranea è ben marcata, ma sono anche presenti piatti a base di carne. E una ricetta col coniglio è tra le più famose della zona.
Andiamo quindi alla scoperta di alcuni dei piatti di una Sanremo che anche al di fuori dell’Ariston, in ristoranti o semplicemente tra le cucine di casa, riesce ben a difendersi. Oltre alle arcinote trofie al pesto o olive taggiasche c’è molto di più.
In dialetto ligure significa “pesce a tocchetti” e di fatto la burrida è una sorta di zuppa a base di prodotti ittici simile al caciucco livornese o al brodetto marchigiano. Si tratta di una preparazione diffusa in gran parte della Liguria e a seconda delle zone conosce una diversa versione. Viene comunemente realizzata con pesci come stoccafisso, grongo, palombo, moscardini e triglie, ma molto dipende anche dai pescati del giorno. La zuppa è aromatizzata con capperi, olio di oliva, pinoli, funghi.
Pansoti o pansotti, l’importante che siano accompagnati da borragine (una sorta di spinacio selvatico) e il tradizionale pesto, ma anche la versione con la salsa di noci è particolarmente apprezzata. Diffusi praticamente in tutta la Regione, i pansotti sono un tipo di pasta di estrazione contadina, ripiena (da qui il termine dialettale che significa “panciuti”) e simile ai ravioli.
La sardenaira è una ghiotta focaccia condita con pomodoro, acciughe, olive (rigorosamente taggiasche) e aglio. Si tratta di una preparazione particolarmente diffusa nel Ponente Ligure, specialmente a Sanremo e nei comuni limitrofi. Da cosa deriva il nome sardenaira? Inizialmente questa focaccia prevedeva l’utilizzo delle sarde, sostituite dal secondo dopoguerra con le acciughe.
A Sanremo amano preparare il coniglio in umido con le olive taggiasche, noci, cipolle, aromi, annaffiando la carne tradizionalmente col Vermentino, anche se non è raro trovare anche del vino rosso. Varianti di questa preparazione sono presenti in altre zone della Regione, al punto che la ricetta viene conosciuta anche col nome di coniglio alla ligure.
Altra preparazione (questa riconosciuta dal marchio Pat) diffusa in buona parte della Liguria ma in particolar modo nel Ponente ligure. Qui lo stoccafisso viene preparato con le patate in una casseruola, scossa con vigore (brandata, secondo il dialetto locale) affinché gli ingredienti si mescolino al meglio. Si tratta di una ricetta di origine marinaresca: un tempo infatti sulle barche non mancavano mai stoccafisso e patate, con i marinai soliti realizzare questo abbinamento diventato uno dei must della cucina sanremese. Il movimento ondulatorio della barca favoriva il mix di ingredienti all’interno dei pentoloni.
Raviolo fritto ripieno di zucca, riso e formaggio, particolarmente diffuso al confine ligure tra Italia e Francia. I nostri cugini transalpini, infatti, sono soliti chiamare questi ravioli tourtons. Un ghiotto antipasto, da gustarsi caldo ma buono anche freddo, la cui origine (e di riflesso, il cui nome) si fa risalire a un tizio chiamato barba Giuà (zio Giovanni, in ligure), il quale secondo la tradizione fu il primo a realizzare questa preparazione.
Prende il nome dal paesino di Pietrabruna, nell’entroterra della provincia di Imperia e a una trentina di chilometri dalla Città dei Fiori, ma è particolarmente diffuso anche a Sanremo e dintorni. Si tratta di un dolce molto semplice, a base di olio (taggiasco), farina e zucchero, decisamente sottile, scrocchierello e friabile. Non a caso in dialetto ligure strosciare significa rompere, e difatti per dividere la stroscia non serve il coltello, ma bastano le mani. Tradizionalmente si prepara il 21 settembre, in occasione di San Matteo, patrono proprio di Pietrabruna.