Nel cuore della Tuscia viterbese uno dei luoghi più misteriosi ed esoterici d'Italia: il Parco dei Mostri di Bomarzo. Cosa si mangia da queste parti? Quali sono i piatti e prodotti tipici della zona?
"Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua, dove son facce horrende, elefanti, leoni, orchi et draghi".
È questa la frase più iconica e rappresentativa del Parco dei Mostri di Bomarzo, incisa su una delle tante sculture presenti nel cosiddetto Sacro Bosco a una manciata di chilometri da Viterbo, nell'alto Lazio. È la frase che idealmente ci anticipa ciò a cui assisteremo, dandoci così il benvenuto all'interno di uno dei luoghi più mistici ed esoterici d'Italia. Un posto colmo di mistero dove l'allegoria la fa da protagonista. Grosse statue dal significato incerto, sculture imponenti ora dalla forma animale ora dalla forma umana, grossi blocchi in pietra a rappresentare figure metà antropomorfe e metà bestiali.
Decifrare il significato del Parco dei Mostri di Bomarzo e coglierne il senso è stato per lungo tempo l'obiettivo di studiosi e appassionati di storia dell'arte, ma dare un valore univoco e d'insieme alle sculture in pietra che popolano il Sacro Bosco non è stata impresa possibile. E questo mistero praticamente irrisolvibile ha contribuito ad accrescere la notorietà di un luogo così iconico e identitario della provincia di Viterbo.
Immerso nel cuore della Tuscia sin dal 1500, questa meta pregna di mistero ed enigmi è visitata da decine di migliaia di visitatori ogni anno, desiderosi di immergersi in una location che sembra provenire da un mondo a parte. Una sorta di sottosopra, in cui i protagonisti sono i mostri raffigurati e, assieme a loro, tutti gli enigmi che portano con sé.
Al di fuori del Parco, poi, una metaforica tavola imbandita delle prelibatezze della Tuscia, da gustarsi nei tanti ristorantini e locali della zona. Ma prima una scorpacciata della storia del Sacro Bosco di Bomarzo.
C'è una stretta relazione tra un luogo esoterico, misterioso e mistico come il Parco dei Mostri e uno che rappresenta la massima espressione della cristianità come San Pietro. Fu infatti Pirro Ligorio, l'architetto che ultimò il progetto della basilica dopo la morte di Michelangelo, a ideare il Sacro Bosco, nato in mezzo al verde nelle immediate vicinanze dell'antico borgo di Bomarzo, a poco più di 10 minuti da Viterbo. A realizzare materialmente il Parco, con le sue mostruose sculture, fu invece Pier Francesco Orsini, detto Vicino, a partire dal 1500.
"… Numerosi gli studi che hanno tentato di sciogliere l’enigma di questo boschetto, collocato in un’area intermedia tra arte, magia e letteratura – si legge sul sito ufficiale – ma il giardino di Bomarzo è destinato a rimanere un luogo intriso di fascino e mistero che genera racconti e che sollecita l’immaginario di ciascun visitatore".
Sculture dall'enigmatico significato qui sono immerse in un bosco fatto di decine di specie diverse di alberi come, per esempio, i meli e i pruni selvatici, i salici, gli olmi campestri, i nespoli, i pioppi e i lecci, solamente per citarne solo alcune varietà. Tutto qui fa parte di un ecosistema da preservare e salvaguardare. Tutto qui, anche il bulbo più piccolo o il cespuglio più nascosto, fa parte di un insieme inscindibile.
Fatta una visita al Sacro Bosco è giunto dunque il momento di rifocillarsi. Dopo aver camminato in lungo e in largo per il Parco, tra le sculture dei mostri qui raffigurati, ci è venuta una certa fame, da soddisfare con i piatti tipici della tradizione viterbese. Quella di questa parte di Tuscia è una gastronomia che attinge a piene mani dalla terra, dalla tradizione contadina, fatta quindi da prodotti della campagna e carni, erbe selvatiche, legumi, funghi, nocciole, zuppe ma più in generale gustosi piatti realizzati con ingredienti poveri. Cosa si mangia allora da queste parti?
Una ricetta di recupero della tradizione buttera, legata ai mandriani che nelle valli tra la bassa Maremma e l'alta Tuscia consumavano questa zuppa ricca di ingredienti poveri. Erbe selvatiche, qualche patata, pomodori, un filo d'olio e del pane raffermo, bagnato nella zuppa stessa. Un piatto fedele nella sua identità ma mutevole negli ingredienti: in base alla stagione, infatti, si realizza con differenti tipologie di erbe selvatiche.
Altro piatto povero e di estrazione contadina. Altra ricetta di recupero per ridare vita al pane raffermo che, invece di essere gettato, veniva reso di nuovo mangiabile una volta mollatosi (bagnatosi cioè) con l'olio o nei liquidi del pomodoro, tra gli ingredienti della panzanella. Non esiste una ricetta precisa del piatto, in quanto veniva realizzato con cibo di recupero a disposizione dei contadini. La versione più tradizionale, comunque, vede l'utilizzo del pane duro, pomodori, basilico, cipolla e olio. A piacere, poi, l'utilizzo del formaggio, olive o eventualmente uova.
Ci stiamo avvicinando alla stagione autunnale e, con lei, tornano anche le castagne. In particolar modo di questo prodotto ne è ricco il non distante Monte Cimino, dalle cui pendici arriva una grande quantità di uno dei frutti simbolo dei primi freddi. Rifocillante, rinvigorente e gustosa, la zuppa di castagne e ceci è un must del periodo autunnale in quel di Viterbo e dintorni.
Importante da queste parti la tradizione legata al consumo della carne. Cinghiale, coniglio, lepre, ma anche maiale, piccione, pollo o agnello, tutte varietà dall'importante peso specifico nella gastronomia della zona. Braciole e tagliate vengono spesso accompagnate a funghi locali, in particolare i porcini provenienti per lo più dal Monte Cimino, ma non è raro nemmeno l'utilizzo di tartufi.
Ebbene sì, c'è anche una forte tradizione legata al pesce. Nello specifico, quello di acqua dolce. Non distante da Bomarzo e da Viterbo c'è infatti il lago vulcanico di Bolsena (di questo tipo il più grande d'Europa) con le specie ittiche che lo popolano. Il coregone (varietà non autoctona ma inserita qui nella prima parte del 1900) è il re assoluto, protagonista in solitaria o in una zuppa di pesce, detta sbroscia, in cui vengono utilizzati anche altri pesci che nuotano in queste acque (tra cui luccio, persico e anguilla) oltre a patate, pomodori, erbe di campo e pane raffermo.
Si rimane nei pressi del lago di Bolsena per conoscere le varietà di legumi qui coltivate. Non vastissimi ma comunque importanti per la tradizione della zona gli appezzamenti, per esempio, del piccolo fagiolo del Purgatorio (a cui è legata una ricorrenza qui molto sentita), della lenticchia di Onano ma anche dei ceci. Tutti utilizzati come accompagnamento a seconde portate oppure protagonisti di zuppe autunnali e invernali.
Non indifferente infine la produzione di oli e vini. Frantoio, leccino, muraiolo e caninese le cultivar di olive più diffuse mentre il vino iconico della zona è l'Est!Est!!Est!!! prodotto attorno a Montefiascone (principalmente a base Trebbiano e Malvasia e tra le prime Doc italiane). Menzione doverosa per i vitigni di Grechetto e Aleatico.