Riprende la stagione sciistica anche a Madonna di Campiglio. Che cosa mangiare all'ombra delle dolomiti trentine? Qui è un festival di selvaggina, polenta e zuppe, ma sulle tavole anche dell'ottimo pesce d'alta quota.
Madonna di Campiglio: meta per tutti gli amanti della neve ma anche presidio gastronomico d'eccezione. Tra le Dolomiti trentine un festival di sapori e odori: carni di selvaggina, polente, zuppe e tante altre preparazioni tipiche. Cosa si può assaporare nei rifugi e nei ristoranti della zona? Saliamo in quota e andiamo a scoprirlo.
Madonna di Campiglio e il comprensorio sciistico in cui è immersa sono come un bell’abito nero o un classico della Disney. Perfette per ogni occasione (inverno ed estate) e dal fascino inscalfibile, capace di resistere al tempo e alle mode che passano e si susseguono.
Un paese situato a 1500 metri di altezza tra le dolomiti trentine, è una delle mete turistiche del Nord Italia tra le più battute dagli amati degli sci provenienti da gran parte del Paese e desiderosi di concedersi qualche bella discesa alpina, in uno dei luoghi più iconici di tutto l’arco montuoso. Se della “perla delle Dolomiti”, dal punto di vista turistico, paesaggistico e naturale si è già detto molto (o forse tutto), noi vogliamo concentrarci sul lato prettamente goloso della destinazione, situata in provincia di Trento, che dopo la scorsa stagione “bucata” a causa del Covid sta ricominciando a ripopolarsi di turisti. Pronta a riprendersi, ma anche a offrire, tutto ciò che è andato perso in un 2021 che solo ora si sta mettendo gli sci ai piedi.
Prima di tuffarci però tra le tavole dei rifugi, hub gastronomici d’eccezione per chiunque “popoli” i versanti montuosi del comprensorio, andiamo a scoprire qualcosa di più su Madonna di Campiglio. Un piccolo excursus turistico per farvi venire appetito, così da gustarvi maggiormente (almeno con gli occhi) tutto ciò che questa parte di Trentino è in grado di offrirvi a tavola.
Destinazione adatta non solamente per gli amanti di sci, snowboard o ciaspolate nella neve. Madonna di Campiglio è anche una meta per chi vuole immergersi totalmente nella natura alpina. Ci troviamo all’interno del Parco naturale dell’Adamello-Brenta che, con i suoi 50 mila ettari, comprende le dolomiti di Brenta (nominate Patrimonio dell’umanità nel 2009), un ghiacciaio, laghi e sentieri: tutto il necessario per camminate rigenerative e, perché no, qualche scatto da tenere come ricordo o pubblicare sui social per far rosicare amici e conoscenti.
Un must una volta arrivati qui è l’escursione ai cinque laghi: Lago Ritort, Lago Labin, Lago Serodoli, Lago Gelato, Lago Nambino, situati (tranne quest’ultimo) a oltre 2000 metri di altezza. Camminate tra i sentieri del monte Spinale se volete fare come la principessa Sissi, la quale soggiornò qui due volte a fine 1800 assieme al marito, e imperatore d’Austria, Francesco Giuseppe. Le cascate di Val di Genova sono un’altra meta da raggiungere, sia d’estate sia d’inverno.
Non serviamo certamente noi a spiegare come Madonna di Campiglio sia tra le principali destinazioni per gli amanti dello sci. Basterebbero alcuni numeri per illustrare la grandezza del comprensorio locale, ricco di ben 57 impianti di risalita per un totale di oltre 150 chilometri di piste (alcune a oltre 2300 metri di altezza) di ogni grado di difficoltà, capaci di regalare scorci paesaggistici sui gruppi delle Dolomiti di Brenta e della Presanella.
Meta storica della stagione fredda italiana, già famosa a fine 1800, è diventata una destinazione turistica anche in estate, quando ci si può concedere camminate per i sentieri montani, tra i verdi boschi e sovrastati dalle vette circostanti. A poca distanza da Madonna di Campiglio si trovano altre rinomate mete sciistiche, tra le quali Pinzolo (raggiungibile anche a piedi in circa 2 ore e mezza), Vigo Rendena, Bocenago e Strembo, tutte tra i 30 e i 50 minuti di auto.
Ed eccoci giunti al momento clou, quello in cui sveliamo quali sono le specialità gastronomiche che si possono assaporare a Madonna di Campiglio e dintorni. Piatti da degustare in quota, perché no all’interno di qualche rifugio o baita, magari al termine di una lunga giornata sugli sci a fare su e giù per le piste del comprensorio. Non mancano comunque agritur e ristoranti (alcuni anche stellati) in cui lasciarsi andare alle prelibatezze del territorio. Salumi e formaggi, polenta, zuppe e selvaggina sono sicuramente i re della cucina locale, nel pieno rispetto della stagionalità. Per recuperare le energie e contrastare il clima freddo di queste quote che cosa possiamo mangiare?
La selvaggina è ovviamente un must della cucina locale. Capriolo, camoscio, cinghiale, cervo declinati in più preparazioni e ricette, insaccati compresi (famosi la pancetta e salame all’aglio, lo speck e i cotechini), che garantiscono il giusto apporto calorico e proteico. In particolar modo la tagliata di cervo è tra le prelibatezze più richieste dai turisti, ma giustamente anche uno dei piatti più apprezzati dai locali.
Avete mai assaggiato i formaggi di malga? Qui sono un'autentica specialità locale, “figli” dei pascoli in alta quota (a proposito, sapete che potete anche adottare delle mucche locali?), anche al di sopra dei 1800 metri. Spiccate note erbacee e gusto deciso quello dei formaggi prodotti dal latte di queste alture. Iconica è la Spressa Dop, antico formaggio della zona a pasta semidura e forte aroma erbaceo, derivato dalle vacche della Val Rendena, ma anche lo Stravecchio di Fiemme (a latte crudo e stagionato oltre un anno), il Puzzone di Moena o il Grana Trentino (entrambi a marchio Dop), quest’ultimo utilizzato anche in una tipica zuppa locale che vedremo più avanti.
Sarebbe un reato di lesa maestà non citare l’antichissima polenta gialla di Storo, ottenuta dall’omonima farina gialla derivata dalla macinazione a pietra delle pannocchie provenienti dalla valle del Chiese. Un prodotto tipico del Trentino, di accompagnamento a moltissimi piatti di formaggi e carne. Caratteristiche anche la polenta di patate o la polenta carbonera a base di salamella sminuzzata, formaggio e grana locale.
Nella stagione fredda immancabili le abbondanti e gustose zuppe trentine. C’è l’imbarazzo della scelta, dall’orzotto con le verdure, a cui si aggiungono spesso e volentieri tocchi di lardo o pancetta, alla zuppa con fagioli e porcini passando per il tipico bro brusà, una zuppa di estrazione povera, contadina, fatta con farina, burro, brodo di carne o verdure, pancetta e Grana Trentino grattugiato.
Limpidi laghi e torrenti d’alta quota sono l’habitat di numerose varietà di pesci d’acqua dolce quali cavedani, trote iridee (ricche di proteine, sali minerali e Omega 3, a base di una rivisitazione locale della carbonara) e salmerini, anche se il loro consumo è prevalentemente incentrato durante i mesi meno freddi dell’anno. In particolare il salmerino era il preferito dell’imperatore Francesco Giuseppe e della sua consorte Sissi: era lo stesso reggente a pescarlo dalle acque locali per assaporare la sua carne gesuita e prelibata a tavola con la moglie. Oggi viene per lo più consumato affumicato.
Uno dei prodotti più famosi di tutto il Trentino. I canederli sono un primo piatto tipico della cucina regionale: gnocchi di pane, latte e uova spesso insaporiti con speck, prosciutto e formaggio. Chi si ritrova da queste parti non può non mangiare la ricetta forse più popolare del territorio: gustose pallette servite sia con il brodo di cottura sia con il burro fuso.
Si tratta, tra le altre cose, anche di una delle ricette più antiche di cui si abbia testimonianza. Risalirebbe infatti almeno al XIII secolo ed è rappresentata anche in affreschi romanici nella cappella di Castel d’Appiano, in provincia di Bolzano. Se ne trovano le varianti più disparate, perfino dolci accompagnati con le fragole.
Tipico salame trentino, incluso nella lista dei prodotti agroalimentari tipici (Pat) e presidio Slow Food. Si tratta di una preparazione risalente alla seconda metà del 1800, nata proprio tra le Dolomiti di Brenta grazie all’intuizione di un macellaio locale ideatore di un salame composto dalle parti meno pregiate del suino (testa, cuore, polmoni) unite a rape rosse cotte e sminuzzate. Originariamente la proporzione era decisamente sbilanciata a favore delle rape (70%-30%), mentre oggi non solo la presenza di carne è dominante, ma la ciuiga viene preparata con tagli nobili del suino. Dopo che il tutto viene insaccato nel budello di maiale il salame viene affumicato per 8 giorni, successivamente servito in abbinamento a crauti, purè, polenta, patate bollite e cicoria.
Se passate dalle parti della Val di Non, sarete conquistati dall’odore di mela che “aromatizza” l’aria. Impossibile il contrario, considerando le vaste coltivazioni di questo frutto a base, tra le altre preparazioni, del famoso quanto goloso strudel.