La "vera" pizza napoletana è "protetta" da un'etichetta dell'Unione Europea essendo Specialità Tradizionale Garantita che ha un disciplinare molto stringente. Vediamo nel dettaglio tutti i dogmi per fare la vera pizza napoletana.
A differenza di tutti gli altri stili della pizza, come può essere un canotto o un padellino, la tipologia "Pizza napoletana" è protetta dall'etichetta Stg, ovvero Specialità Tradizionali Garantite. Questo significa che c'è un disciplinare da rispettare: a differenza di Dop e Doc quest'ultima etichetta slega il prodotto dal territorio, permettendo a tutti i maestri che vivono nella Comunità Europea di replicare la pietanza, a patto che seguano le direttive. Ma cosa dice di preciso il disciplinare della Pizza napoletana? Vediamo nel dettaglio tutte le fasi.
La svolta dell'Unione Europea rischia di stravolgere il panorama delle pizzerie nel continente: non si potrà più usare il nome "Pizza napoletana" a meno che non si faccia un "vero" prodotto. Ma come si ottiene questa "autorizzazione"? Seguendo il disciplinare. L'iter dell'istituzione di questo "manifesto" ha radici profonde: nel 1984 Antonio Pace e Lello Surace riuniscono i più importanti pizzaioli dell'epoca per stilare le regole fondamentali e riconoscere la "Vera Pizza Napoletana", differenziandola da tutte le altre varietà esistenti. Istituiscono l'Associazione Verace Pizza Napoletana, l'Avpn, e da allora il disciplinare ne è un simbolo in continuo movimento (anche se di una lentezza snervante): serve a difendere la tradizione del piatto tipico ma può essere modificato per seguire l'evoluzione tecnologica della cucina. Nonostante alcune aperture parliamo comunque di un "foglio" estremamente stringente, che ad esempio non tiene conto della ricettazione del topping: solo margherita e marinara sono protette dall'Stg, come se tutte le altre non esistessero, anche se antiche e tradizionali come la cosacca o la carrettiera.
Il disciplinare della pizza parte dalla forma e dall'estetica:
Si concentra poi sugli ingredienti dando proprio una ricetta di base con la farina 0 oppure 00 (è consentita l’aggiunta di farina di grano tenero tipo 1 in piccole percentuali, dal 5 al 20% ) che va dall'1,6 all'1,8 chili, il lievito di birra che va dallo 0,1 ai 3 grammi, un litro d'acqua e tra i 40 e i 60 grammi di sale. "Si mescolano farina, acqua, sale e lievito, partendo dall’acqua assicurandosi che il contatto diretto tra sale e lievito non avvenga per un tempo superiore ai 5 minuti" perché, si legge dal disciplinare Avpn, "il sale andrebbe a danneggiare le cellule del lievito. Si versa un litro di acqua nell'impastatrice, si scioglie una quantità di sale marino compresa tra i 40 e i 60 g, si aggiunge il 10 % della farina rispetto alla quantità complessiva prevista, successivamente si stemperano il lievito, si avvia l'impastatrice e si aggiunge gradualmente il resto della farina fino al raggiungimento della consistenza desiderata, definita punto di pasta". L'impasto va lavorato a braccia o nell'impastatrice finché non si ottiene una massa compatta e suggeriscono di usare una farina in grado di assorbire l'acqua, tra i 250 e i 320 W.
L'impasto va poi lasciato a riposo, coperto da un panno umido: non c'è un'indicazione temporale per questa prima fase, i maestri pizzaioli suggeriscono di lasciarlo maturare "il tempo ritenuto necessario all’assestamento e al riposo dell’impasto" prima di effettuare la cosiddetta "stagliata", ovvero la composizione dei singoli panetti. Nelle pizzerie più tradizionali si mette in pratica la "tecnica napoletana", una gestualità che ha permesso all'arte "del pizzaiuolo napoletano" di diventare patrimonio immateriale dell'umanità per l'Unesco. La tecnica consiste nel sagomare, sotto forma di palline, dei pezzi d'impasto in modo simile a ciò che fanno i casari con le mozzarelle. I panetti devono avere un peso compreso tra i 200 e i 280 grammi per ottenere una pizza che ha tra i 22 e i 35 centimetri di diametro (a seconda della stesura e della zona di provenienza). Una volta formati i panetti, avviene una seconda lievitazione di durata variabile, in funzione delle caratteristiche di temperatura e umidità dell’ambiente e dell’assorbimento della farina utilizzata. Nella seconda maturazione c'è l'indicazione di tempo: minimo 8 ore, massimo 24 ore con la possibilità di aggiungere 4 ore a seconda della lavorazione. Niente impasti a lunghissima "lievitazione" per la pizza tradizionale.
Il panetto va steso con il movimento iconico e molto complesso per i non professionisti: si parte dal centro verso l'esterno con la pressione delle dita di entrambe le mani sul panetto, che viene rivoltato varie volte, il pizzaiolo forma un disco di pasta in modo che al centro lo spessore sia non superiore a 2,5 millimetri. I condimenti devono essere preferibilmente campani, al massimo italiani; il pomodoro pelato va frantumato a mano e non deve risultare denso, quindi bisogna lasciare dei pezzettini, quello fresco va invece tagliato a spicchi. Mozzarella o fiordilatte, puoi scegliere tu, l'importante è che sia di qualità e sia distribuita uniformemente su tutto il disco, stessa cosa per il formaggio grattugiato (se usato). La cottura è una questione molto delicata perché il disciplinare ammette quasi esclusivamente il forno a legna, tra i 430 °C e i 480 °C tra platea e volta. Con queste temperature è sufficiente inserire la pizza per 60-90 secondi, in cui la pizza si cuocerà in maniera uniforme su tutta la circonferenza. C'è anche la possibilità di usare il forno elettrico o a gasse si è impossibilitati a istallare il forno a legna.
Tutto questo, più altri passaggi esposti nel disciplinare che sono per lo più tecnici per i pizzaioli professionisti, devono portare al risultato che tutti noi conosciamo. La pizza napoletana è morbida, fragrante, facilmente piegabile a libretto, dal sapore caratteristico derivante dal cornicione che presenta il tipico gusto e profumo del pane ben cresciuto e ben cotto, mescolato al sapore acidulo del pomodoro che persa la sola acqua in eccesso resterà denso e consistente dall’aroma, rispettivamente dell’origano, dell’aglio o del basilico e al sapore della mozzarella cotta. L’olio infine va in emulsione e contribuisce alla cottura uniforme degli ingredienti.