Dieci semplici regole per ridurre al minimo il contatto tra i ristoratori, i fattorini e i clienti durante l'emergenza sanitaria: dall'igienizzazione costante degli zaini alla distanza di sicurezza. I rider protestano contro Conte: "Nessuno ci tutela, siamo a rischio. Il sushi a casa non è un bene primario".
Chiusi tutti gli esercizi di ristoro dopo l’ultimo decreto del Governo Conte. Pizzerie, ristoranti, bar, gelaterie, potranno effettuare esclusivamente il servizio da asporto seguendo delle direttive indicate dalla Federazione dei pubblici esercizi e da Assodelivery. Tra i fattorini monta la protesta però: "I rider in base alle dichiarazioni continueranno a correre in giro per la città, resteranno ore intere ad aspettare il cibo davanti ai pochi ristoranti rimasti aperti senza alcun dispositivo di sicurezza".
Molti ristoranti hanno attivato dei servizi di delivery, anche chi prima non lo aveva come Michele a Forcella o addirittura il bistrot di Lorenzo Cogo, chef stellato in provincia di Vicenza. C’è poi il caso dei fratelli Cerea: Da Vittorio è un Tre Stelle Michelin ma i cuochi bergamaschi sono famosi in tutto il mondo per il loro eccezionale servizio di catering. In piena emergenza Covid-19 hanno quindi predisposto la cucina per ottimizzare il take away.
Ma chi porta materialmente a casa delle persone il cibo? I runner, una figura professionale nuova, non ben inquadrata nel sistema giuridico, che in questo momento deve seguire, insieme a ristoratori e clienti, 10 semplici regole ma fondamentali.
I rider sono preoccupati. I fattorini in questo momento sono l’anello di congiunzione tra chi produce e chi acquista e sono fortemente esposti al contagio.
La pagina Facebook Deliverance Project, un collettivo che cerca di riunire i lavoratori coinvolti in questo sistema lavorativo, ha emesso un comunicato stampa molto duro contro il premier Conte: “il delivery è un servizio essenziale? È essenziale portare un big mac da piazza castello al fondo di corso Re Umberto o una bowl da via Bertola all’altra parte della città?” si chiedono i rider, “a noi sembra di no: non ci sembra che valga la pena rischiare la nostra salute, quella di chi ordina da mangiare e quella di chi ci è vicino per arricchire le nostre aziende o le grandi multinazionali del fast food”.
La pagina fa notare alcune difficoltà oggettive del momento: “davanti ai ristoranti, che sono sotto organico quindi impiegano più tempo a preparare gli ordini, si creano assembramenti di rider che aumentano il rischio di contagio. Inoltre un rider malato rischia inevitabilmente di contagiare anche i clienti a cui consegna gli ordini, diventando un vettore di diffusione che gira per la città di casa in casa.
La richiesta di Deliverance Project è di stoppare le attività di delivery, ma deve essere una cosa che parte dal governo: “Basta ricatti tra salute e lavoro, l’emergenza sanitaria non la possono pagare le categorie meno tutelate e ai margini della società”.