In Piemonte esiste una scuola dove il riso si degusta proprio come un vino: grazie ai sommelier del riso, siamo andati alla scoperta delle diverse tipologie che portiamo in tavola, di come conservarle al meglio e di alcuni aspetti poco noti.
Il riso è l’alimento più consumato al mondo, con l’Italia che vede delle vere e proprie eccellenze nella coltivazione delle varietà perfette per fare i risotti, amatissimi piatti della tradizione dove mettere in campo tecnica e creatività. I territori d’elezione per la sua produzione, insieme alla Lomellina Lombarda, sono il Piemonte, in particolare il Novarese e il Vercellese: non a caso è proprio qui che una decina di anni fa è nata AcquaVerdeRiso, ovvero la prima scuola di sommelier del riso, dove vengono formati esperti in analisi sensoriali dei chicchi, proprio come si fa con il vino, con i formaggi, il cioccolato e l’olio, tra corsi e degustazioni visive e olfattive. Insieme ad Alessandra Bossola, guida appassionata, e a Fabrizo Rizzotti, siamo andati alla scoperta delle cultivar in base alle caratteristiche del chicco e di come utilizzarle al meglio in cucina, con qualche suggerimento sui metodi di conservazione e curiosità.
“Fino a qualche tempo fa si sentiva parlare di riso fino, semifino, superfino, cosa che adesso è cambiata con la legge 131/2017 (ex 325/58): ora spazio a Tondo, Medio, Lungo A e Lungo B”, precisa Bossola. Si tratta di una classificazione europea del riso, dove sono raccolte varietà nazionali e internazionali che arrivano sulla nostra tavola, dandoci già un’indicazione sulle diverse destinazioni d’uso. Vediamole nei dettagli.
I risi da risotto (Medio e Lungo A) sono principalmente diffusi in Italia, Spagna e Francia, mentre nel resto d’Europa a prevalere sono i Lunghi B. Importati dall’India in quanto colonia Britannica, la loro funzione è quella di contorno e non di primo piatto, serviti soprattutto come accompagnamento al pollo al curry, o affiancati a verdure e pesce.
Stiamo parlando di un alimento che deperisce molto velocemente, anche se non sembra: “in passato il riso veniva consumato subito, bastava avvolgerlo nella stoffa per mantenerlo nelle migliori condizioni” ci dice Rizzotti. Adesso, quando ancora la confezione è integra, il riso può essere riposto nella classica dispensa, lontano da fonti di calore dirette anche per mesi: “una volta aperto, invece, il modo più adatto per preservarlo più a lungo è trasferirlo in un contenitore di vetro e metterlo in frigorifero, ogni ripiano va bene”. Regola da osservare maggiormente con le varietà integrali che, mantenendo la parte di crusca, irrancidisce presto: “il consiglio è sempre in frigo, sia in estate sia in inverno” ribadisce la sommelier. Assolutamente vietato il freezer: avendo l’11-14% di umidità, il chicco si ghiaccia e rompe l’amido, inficiando quindi la cottura di tutte le tipologie. Proibiti anche gli ambienti molto umidi come le cantine.
In Italia, per legge, all’interno di una confezione di riso ci possono essere fino al 25% di difetti che, in realtà, come spiega Alessandra Bossola, è una quantità molto alta, dato che un chicco imperfetto è responsabile di un risultato inferiore in cottura rispetto a quello che si può ottenere con un chicco perfetto. Quali sono i difetti che rintraccia il sommelier?
Siamo abituati a chiamare l’infiorescenza del riso “spiga”, come quella del grano. In realtà il termine botanico corretto è “pannocchia”. I chicchi posti all'apice sono quelli che prendono più luce, più acqua, più vento e maturano prima: possono essere separati dagli altri e usati per delle produzioni di altissima qualità. “L’Italia è uno dei territori più a nord del mondo dove cresce il riso", spiega Rizzotti. Si tratta, infatti, di un vegetale che preferisce le latitudini subtropicali: "si sviluppa bene dove lo fa il banano. Nel nostro paese si è riusciti a coltivarlo come eccellenza soprattutto grazie a una presenza idrica costante", in particolare in Piemonte e Lombardia. Dove le temperature non sono abbastanza alte, l’acqua funge da cuscino termico: assorbe il calore del giorno, che viene immagazzinato nelle radici e poi pompato di notte nel resto della pianta. Il riso può essere seminato in asciutto, ma non coltivato in asciutto: la siccità del 2022 ha portato a una resa molto bassa.
In Italia vengono coltivate 168 varietà di riso. Si è certi di comprare un vero Carnaroli solo quando sulla confezione si trova la scritta “Carnaroli Classico”, denominazione che assicura la presenza dell’originale al 100%, mentre il solo termine “Carnaroli” indica un prodotto realizzato con varietà affini. La scuola AcquaVerdeRiso ha messo a punto una “ruota dei profumi” del riso, dove sono stati inseriti tutti gli estrattori/descrittori identificati nel corso di 10 anni di analisi annusando il riso crudo, tra sentori agrumati, tostati, speziati, minerali, vegetali, sono per nominare alcune macro-distinzioni. I più comuni sono “l’armadio della nonna”, la “farina” e il “mulino”, ma gli aromi spaziano dal “fienile” ai “funghi secchi”, passando per “biscotto”, “nocciola”, “scorza di limone” arrivando fino a “pop corn” e “mietitrebbia che taglia”.
Come il vino, anche il riso può essere invecchiato. Si tratta di far riposare nei silos i chicchi dopo essere stati lavorati per un periodo medio di due anni: questo permette al riso di respirare meglio, all’amido di assestarsi e quindi di esaltare ulteriormente in cottura le proprietà. Esistono in commercio anche risi invecchiati per 7-8 anni: il costo si presenta elevato, in quanto la lunga stagionatura richiede una selezione più accurata.
“Del riso non si butta via niente, un po’ come del maiale” conclude Bossola. Durante il processo produttivo se ne conta uno scarto del 50% che non viene sprecato, ma riutilizzato nelle sue diverse parti: per esempio la lolla, che è la buccia del chicco (di cui resta tra il 18 e il 20%) viene usata come materiale ecologico in edilizia riprendendo ciò che facevano i contadini, che lo impiegavano come isolante termico nei sottotetti. Altri resti di lavorazione sono ottimi come mangimi per animali (la grana verde, l'avanzo della sbramatura) e per attivare impianti di biogas (la pula, il farinaccio post raffinazione). I chicchi rotti si prestano per realizzare farina di riso e riso soffiato.