Baccello verde brillante, dalla consistenza soda e croccante, con all'interno semi lucidi, intatti e senza grinze: le fave fresche a partire dal mese di marzo diventano uno dei legumi più apprezzati in tavola.
Versatili e nutrienti, le fave sono un simbolo della primavera, un alimento antichissimo che in passato era protagonista di ricette della cucina povera contadina che portiamo in tavola ancora adesso. Sono ricche di proteine vegetali, vitamine e sali minerali: si gustano crude con il pecorino, come da tradizione laziale e del Centro Italia, nella pastasciutta in tante versioni (tra carne e pesce), nelle zuppe e abbinate ad altre verdure di stagione, per esempio con i carciofi nella vignarola. Inoltre, sono un legume a spreco zero, visto che si possono conservare e se ne consumano anche le bucce. Insomma, quando arrivano sui banchi dell’ortofrutta, approfittarne è obbligatorio: ecco qualche consiglio per scegliere le migliori fave fresche.
Ormai lo sappiamo, avere a disposizione una materia prima di qualità è il primo passo per portare in tavola piatti gustosi e genuini. Se stai acquistando fave fresche, controlla che il baccello sia sodo, croccante e di un bel verde brillante: non deve risultare floscio né presentare macchie scure. Aprendolo, i semi all’interno devono essere lucidi e privi di grinze. Le fave piccole, che arrivano all’inizio della stagione primaverile, sono generalmente più tenere e dolci, perfette da consumare crude, mentre quelle più grandi, che maturano completamente in estate, si prestano meglio alla cottura, data la nota leggermente amarognola. Stai puntando le fave secche? Scegli quelle integre, senza rotture o tracce di muffa, e preservate in sacchetti ben chiusi, al riparo dall’umidità. È sempre consigliabile verificare la provenienza e, se possibile, optare per varietà locali, in modo da tutelare maggiormente la sostenibilità.
Scientificamente la fava è conosciuta con il nome di Vicia faba, appartiene alla grande famiglia delle Leguminosae e in base alla grandezza del suo seme si classifica botanicamente in quattro varietà: quella destinata all’alimentazione umana è detta Vicia faba var. major Harz, caratterizzata da semi grossi e un baccello lungo 15-20 cm. A seconda del ciclo (precoce, medio, tardivo) ne esistono molteplici tipologie: alcune di queste sono particolarmente pregiate e legate alla zona da cui provengono, facendo parte dei Presidi Slow Food. Andiamo a conoscerle.
Approdiamo in un piccolo paesino delle colline pesaresi, dove le fave sono un alimento tipico fin dall’epoca degli antichi Romani, grazie ai terreni ricchi di argilla bianca che hanno favorito anche la produzione di cocci in terracotta. Si tratta di un ecotipo dal baccello corto, che contiene in media quattro semi, grandi, tondeggianti, teneri e con un gusto dolce. Quando si coltiva? Si semina a ottobre e si raccoglie fresca a maggio (secca a giugno). Data la sua forte presenza nell’area veniva impiegata in tantissime ricette, comprese quelle che la vogliono in veste di farinaceo, come nei tacconi, una pasta fresca con una percentuale di farina di fave compresa tra il 30% e il 50% che si condisce con un corposo sugo ai funghi. Tra i piatti da citare anche la baggiana, una minestra di verdure, e le fave in porchetta, con pancetta di maiale e finocchio selvatico.
Tra le colline di Terni, Amelia e Orvieto, in quell’area conosciuta come Armerino, sono celebri queste fave di piccole dimensioni (dette anche mezza fava per la pezzatura ridotta), che nel nome nascondono la loro qualità principale, ovvero di essere “pronte” per la cottura, in quanto non hanno bisogno di venire precedentemente decorticate. In realtà la loro preparazione è comunque laboriosa, perché vengono raccolte a luglio, quando la pianta è secca e poi lasciate essiccare ulteriormente al sole per qualche giorno. I semi, puliti da impurità e separati da quelli danneggiati, si conservano uniti a spicchi d’aglio all’interno di vasi di vetro. Le fave prima di essere utilizzate si fanno bollire e poi riposare per una notte intera, risultando così più digeribili: sono ottime ripassate in padella con cipolla e pomodoro o ridotte in purea per bruschette. Vantano pure un piatto tradizionale legato al giorno della macellazione del maiale, la striscia con le fave, arricchite una volta lessate dalla sugna, ovvero il grasso ventrale del suino.
Prodotte nell’omonimo paese in provincia di Foggia, in quel del Gargano, questa fava di dimensioni medio-piccole che si semina tra ottobre e novembre è arrivata perfino nello spazio, portata nel 2014 dall’astronauta Samantha Cristoforetti per i suoi invidiabili valori nutrizionali: poco calorica, ricca di proteine, carboidrati, vitamine e sali minerali, ha una buccia sottile e un gusto intenso. Era un legume che negli anni ‘90 stava rischiando di scomparire e che ora è stato recuperato da una manciata di agricoltori. Si festeggia in estate, il 12 agosto, con la Sagra dell’olio e delle fave. Si apprezza in specialità regionali come le classiche fave e cicorie, ma anche in una semplice zuppa di fave, nella zuppa di Carpino, insieme a patate e zucca e con il pesce, tra vongole, cozze e polpo.
La Sicilia è una regione dove le fave non mancano di certo. In questo caso siamo nella zona di Enna: questo legume si riconosce per i semi grandi e appiattiti, dalla buccia poco spessa, il colore chiaro e la consistenza poco farinosa. Non serve tenerle in ammollo prima della cottura. Quelle verdi, fresche, si raccolgono a marzo e si mangiano in ricette sotto il segno della primavera come favaiana e cipuddetti, con cipollotti e pecorino, oppure nella frittedda, facendole andare a fuoco lento in un soffritto di cipolla e pancetta.
Non solo cioccolato a Modica. Tra le specialità che si possono trovare in questa cittadina alle pendici dei Monti Iblei ci sono anche le fave, in particolare la fava cottoia, che tradizionalmente veniva sia usata come cibo per il bestiame e fertilizzante per i campi, ma anche in veste di alimento per i contadini, specialmente i semi più grandi. Una varietà quasi dimenticata che però fa la sua bella figura sia nel macco, sia come condimento dei lolli modicani, precisamente nei lolli che favi, una pasta fresca a base di semola di grano duro e acqua portata in tavola con le fave: un primo piatto brodoso, salutare e saporito.
Concludiamo la rassegna andando sull'isola a largo di Palermo. Qui un tempo le fave erano alla base dell’alimentazione: oggi sono coltivate da pochi contadini che ne hanno conservato i semi tradizionali. La semina avviene a mano tra novembre e dicembre, senza uso di concimi o diserbanti (come per le altre varietà descritte), e la raccolta si fa nel mese di maggio. Questi legumi sono di media grandezza e molto teneri, adatti al consumo fresco in primavera, anche crude. In cucina trovano spazio nella frittedda con il finocchietto o nel classico macco di fave.
Se in Italia si possono annoverare ricette celebri, ecco che anche in altre parti del mondo questo legume spicca in piatti ugualmente popolari. Paragonabile allo sposalizio lungo millenni tra le fave e il pecorino è l’abbinamento in Spagna tra habas e jamón, dove si accompagnano al prosciutto iberico o serrano. Siamo in un paese dove si annovera una grossa produzione di fave (anche da esportazione), con varietà autoctone come la Muchamiel, una delle più diffuse a livello internazionale, la Aguadulce, precoce e resistente al freddo, coltivata pure in Italia, o la Granadina, tipica di Granada e dell'Andalusia, che si gusta accoppiata con i carciofi o con il baccalà.
In Egitto, Palestina, Siria, Giordania e Libano fa la sua comparsa il ful medames, consumato a colazione e preparato con fave secche cotte lentamente condite con olio, limone e spezie. Sempre la gastronomia mediorientale propone i falafel di fave, mentre in Iran ecco il baghali polo, un riso con fave al vapore e aneto. In Etiopia questo legume si usa nello shiro wat, uno stufato che può essere realizzato con farina di ceci o di fave; volando in Cina le fave si trovano fermentate nella salsa piccante doubanjiang, dove possono essere sostituite con i fagioli di soia, invece in Perù sono l’ingrediente di zuppe andine come il kapchi, con funghi, patate e riso.