Come si riconosce e di che cosa sa un caffè di qualità? Quali fattori determinano un prodotto di ottima fattura? Quali, invece, rovinano il nostro espresso? Alla scoperta del buon caffè assieme a un esperto del settore.
Un break, uno stacco da lavoro, un diritto, un comfort, un momento da godersi in compagnia o in solitudine. Nell’immaginario collettivo il caffè è tutto ciò: qualcosa da bere spesso di sfuggita, prima di iniziare la giornata lavorativa o di studio. La rappresentazione di un’abitudine riconosciuta e riconoscibile, condivisa da Nord a Sud dello Stivale e capace di farci sentire tutti parte di una stessa cultura.
A inizio o a metà mattinata, a chiusura del pranzo e, per alcuni, anche dopo cena. Il caffè non conosce orari e viene fruito praticamente da tutti, ragazzi e adulti. È un qualcosa che diamo quasi per scontato, un drink caldo e riconoscibile al quale fatichiamo a rinunciare e di cui siamo, tradizionalmente, anche abbastanza gelosi. Un prodotto così amato, consumato e condiviso di cui però, allo stesso tempo, fatichiamo a riconoscerne e valutarne la qualità. Perlomeno in maniera un po’ più approfondita.
Il caffè è talmente insito, intrinseco, nella nostra cultura al punto che lo diamo quasi per scontato, presenza fissa nella routine di praticamente ognuno di noi. Ma proprio questa, chiamiamola, superficialità dettata dall’abitudine ci porta a non riconoscere quando un caffè è di qualità. E, allo stesso tempo, non capire quando invece è di bassa fattura.
Abituati ormai, nella maggior parte dei casi, a bere prodotti scadenti, crediamo che sia quello percepito ogni giorno il sapore autentico del caffè, ignorando e perdendoci aromi, sentori, odori e sapori che invece un buon espresso è capace di sprigionare.
Già, facile forse così a parole parlare di caffè più o meno buoni, ma nella pratica come possiamo riconoscere un prodotto di qualità?
Abbiamo affrontato questo tema con Simone Amenini, membro del team di Ditta Artigianale, trainer e direttore di Scuola del Caffè, l’accademy fiorentina che propone corsi sul mondo del caffè e delle caffetterie a professionisti e semplici appassionati. “Il caffè è un alimento vero e proprio, non solamente una bevanda” ci tiene a specificare in apertura, intendendo con una sola e breve frase come dietro a un’apparentemente semplice tazzina ci sia un autentico viaggio, sconosciuto ai più, che va dal singolo chicco fino al suo terroir di origine e coltivazione. Un po’ come ormai si è iniziato a intendere il vino.
“Il caffè non è una bevanda zuccherata e calda da tracannare frettolosamente come fosse una medicina – ci dice Simone – dietro c’è un mondo che purtroppo in tanti non conoscono. In molti danno il caffè per scontato e, quando di qualità, essenzialmente si riconosce perché il suo gusto non è standardizzato. Esce, per così dire, dagli schemi ai quali siamo abituati. E proprio per questo ce ne accorgiamo subito, se beviamo qualcosa di buono”. Allora andiamolo a scoprire questo mondo, e cerchiamo di capire quali siano le caratteristiche di un caffè di qualità.
Bisogna partire dal presupposto di come il caffè derivi da un frutto. E, perciò, dovrebbe presentare note aromatiche e sentori tipici del frutto stesso. “Non deve essere, quindi, l'amaro la sensazione predominante, bensì il dolce in quanto naturalmente tendente allo zuccherato”, ci spiega Simone.
Allora perché è amaro, si chiederebbe qualcuno, “… purtroppo tende a esserlo perché quando si utilizza un caffè di bassa qualità questo presenta al suo interno dei difetti, come sentori vegetali o comunque sgradevoli, astringenti. Questo viene corretto dall’industria con una tostatura molto forte, che tende a caramellizzare gli zuccheri del chicco conferendo loro un sapore amaro”.
Un buon caffè, quindi, di per sé deve essere tendente al dolce, purtroppo però non siamo abituati a percepire questa dolcezza perché l’industria continua a propinarci prodotti standardizzati verso il basso. “In un prodotto di qualità – puntualizza – il sentore amaro caratterizzante deve essere simile a quello di una buona barretta di cioccolato ad alta percentuale di cacao”.
Fatte queste doverose premesse è ora di svelare un fatto. Al bar, praticamente, è pressoché impossibile poter assaporare un caffè di qualità, proprio perché questi locali si riforniscono dalle grandi industrie, che puntano più sulla quantità del prodotto rispetto alla sua qualità. Per questo nei bar, praticamente, ogni caffè ci risulta uguale, o molto simile, all’altro.
Anche il fatto prettamente culturale del caffè che, nell’immaginario collettivo, non dovrebbe costare più di un euro non aiuta di certo. “Al bar è complicato trovare un caffè di qualità – confessa Simone – proprio perché si usa nella maggior parte dei casi materia prima non eccelsa e i grandi numeri ai quali si deve rispondere non permettono un’attenzione che, invece, il caffè meriterebbe. Si cerca per contenimento dei costi mantenere basse le spese e permettere, poi, al cliente di spendere un euro, poco più o poco meno, per avere il suo caffè”.
E allora un buon caffè dove lo posso assaggiare? E quanto dovrebbe costare? “Si sta sviluppando un movimento, arrivato dagli Stati Uniti dove è nato negli anni ’90, delle caffetterie e boutique di caffè, in cui viene data grande considerazione al prodotto e alla qualità della materia prima. Si trovano varie tipologie di caffè, di differenti origine e provenienza, in quanto anche per il caffè come per il vino o l’olio il terroir di provenienza determina il prodotto finale. Un prezzo giusto sarebbe 2€ o 2,50 ma purtroppo molte caffetterie per restare sul mercato sono portate a venderlo a meno”.
Una serie di fattori determinano la resa qualitativa del caffè. Acqua, pulizia delle attrezzature, miscela, tostatura, anche la macinazione del chicco operata al momento. Il chicco di caffè infatti all’interno è composto da tante piccole cellette che quando vengono macinate sprigionano i gas, praticamente delle sostanze aromatiche, contenuti all’interno.
“Il degasamento dopo la macinatura è così veloce che in 15 minuti il caffè perde il 65% di queste sostanze aromatiche – afferma Simone – anche se macinato e chiuso sotto vuoto, la struttura cellulare del chicco ormai polvere non è più capace di contenere i gas, e da quando si apre la confezione già dopo due giorni molti aromi si perdono. La macinatura al momento permette invece di disciogliere in tazza queste sostanze”. A casa, insomma, meglio procurarsi un macinino per tritare di volta in volta i chicchi.
Rimane tuttavia complicato determinare una graduatoria di fattori capaci più o meno di influire sulla qualità finale, in quanto questa è garantita da una somma di circostanze importanti in egual misura. “Non si può individuare una differenziazione tra fattori più o meno determinanti. L’acqua è certamente importante: in una moka e in un espresso rappresenta oltre il 97% della bevanda”.
Meglio l’acqua in bottiglia di quella del rubinetto, specialmente se non dotato di un adeguato sistema di depurazione. La pulizia delle attrezzature è altrettanto importante: bisogna eliminare i residui di sporco del caffè precedente. "In tanti ritenevano come ciò desse sapore al caffè successivo ma non è vero, così facendo si favorisce un sensazione di maggiore amaro e astringente”.
Così come il vino pure un caffè di qualità è riconoscibile attraverso un’analisi multisensoriale. Vista, olfatto e ovviamente gusto ci aiutano a individuare un prodotto di ottima fattura da un altro, invece, scadente. Procediamo quindi per gradi, come se avessimo davanti a noi una tazzina appena servita.
Già all’occhio possiamo farci un’idea di ciò che abbiamo di fronte. Un espresso di qualità è caratterizzato da un colore della crema tendente al nocciola chiaro, magari zebrato con striature più scure. E, considerando che un buon caffè dovrebbe essere già di per sé tendente al dolce, meglio non zuccherare il nostro drink.
La crema poi svolge una funzione molto importante. Con il suo spessore, di pochi millimetri, funge da tappo agli aromi sottostanti, tant’è che spezzandola con il cucchiaino e avvicinando la tazzina al naso si può percepire un ricco bouquet di note aromatiche.
Se sentiamo qualcosa di floreale, fruttato, siamo davanti a un caffè coi fiocchi. Se, invece, il sentore più intenso è quello di tostatura, significa che è difettato. “In alcune circostanze è addirittura percepibile un sentore di muffa” ci informa Simone.
Al palato, infine, cosa dovremmo percepire? “Il caffè ha circa 800 composti aromatici, molti più del vino che invece ne possiede 200, e provenendo da un frutto bisognerebbe distinguere una parte fruttata, con varie sfumature: dalle più agrumate a quelle di frutta rossa matura, a nocciolo o tropicale fino a sentori più speziati come cannella o pepe nero”. Tanto, ovviamente, dipende dal terreno e dalle condizioni climatiche in cui la pianta cresce. Oltre a tutti i processi successivi di lavorazione.
“Se, in linea di massima, non sappiamo cosa aspettarci quando beviamo un buon espresso, tutti questi aspetti non li consideriamo proprio”. In pochi, di fatto, sanno quale sia il vero gusto del caffè. Non sapendo cosa ricercare, non avendo un metro di giudizio, beviamo indistintamente ogni tazzina ci viene servita, per di più zuccherandola per rifugiarci nella comfort zone della dolcezza.
Un caffè non di qualità, al contrario, cosa ci lascia? Semplice: la voglia di bere subito acqua, “… perché tende a seccare la bocca, quindi c’è bisogno di reidratarla. Percepiamo delle sensazioni sgradevoli, amare, più tostate, quasi di cenere, la persistenza gustativa in questo caso non è un fattore positivo: significa che quel caffè è talmente oleoso che le sue componenti si attaccano alle pareti della bocca. Cosa non positiva”. Un caffè di qualità, dall’altra parte, causa invece la salivazione della bocca grazie alle sue sostanze acidule. Un po’ come se avessimo l’acquolina. Sul dubbio inerente al bere l'acqua prima o dopo il caffè, invece, abbiamo dedicato un piccolo focus dedicato.