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29 Febbraio 2024 13:00

Come preparare il vitello tonnato perfetto secondo i consigli dello chef Matteo Baronetto

Non tutti sanno che il vitello tonnato nasce senza tonno e il nome francese vitel tonnè non significa né vitello né tonno. Lo chef Mattero Baronetto, profondo conoscitore del piatto e della sua tradizione, ci racconta come prepararlo alla perfezione, sia nella versione moderna sia in quella più storica.

A cura di Bruno Sodano
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Il vitello tonnato, piatto iconico della nostra gastronomia, è una delle prelibatezze più servite in Italia, sia in casa ma anche al ristorante, grazie soprattutto al suo fascino "anni '80". Molti lo propongono come secondo ma, come ci ha spiegato lo chef Matteo Baronetto, si tratta di un antipasto. Realizzarlo non è difficile, ma richiede alcune importanti accortezze: con i consigli dello chef Baronetto, però, il vitello tonnato non avrà più segreti per te.

Facciamo un passo indietro: il piatto è nato in Piemonte, ma molte zone della regione ne rivendicano la paternità e, nello specifico, il cunese. Molti non sanno che il vitello tonnato inizialmente, non veniva fatto con il tonno. Il suo nome francese – vitel tonnè – in italiano non significa nè vitello nè tonno: vitello in francese si dice veau, mentre tonnè (o anche tonnà) deriva dalla parola tannè, che vuol dire“conciato”. Si tratta dunque di una traduzione dal piemontese e non dal francese: potremmo quindi ipotizzare, come del resto avrà già fatto qualcun altro, che questo nome francese – nato dalle varie influenze linguistiche e territoriali del tempo– sia stato un modo per rendere figo ed elitario un piatto popolare che piaceva anche ai palati più fini e all'alta borghesia. Come a dire “diamogli un tono”.

Anche la cottura della carne sembra si scontri con due scuole di pensiero: inizialmente era bollita, mentre nella versione moderna, invece, si usa cuocere la carne al forno. Noi le amiamo in tutte e due le versioni e riportiamo passo dopo passo tutti i consigli per preparare un vitello tonnato perfetto e senza errori secondo lo chef piemontese Matteo Baronetto.

1. Quale tipo di carne scegliere

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Lo chef Baronetto utilizza il magatello, conosciuto a Napoli come lacerto e ai più come girello, perché è lo stesso che si usa per pasta alla genovese. Un taglio di carne pregiato, ricavato dalla parte alta ed esterna della coscia del manzo, particolarmente magro e scarno di nervatura. Pezzatura piccola, il vitello deve essere giovane, circa un chilo, al massimo un chilo e mezzo.

2. Come cuocere la carne

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Come abbiamo detto, esistono due scuole di pensiero: una storica e tradizionale e una più moderna. Lo chef sceglie la seconda e suggerisce di trattare il girello come un arrosto classico facendolo rosolare da tutti i lati in solo olio per poi sfumarlo con del vino bianco e farlo cuocere lentamente. Come se si volesse cuocere il roast-beef, per comodità anche in forno a temperatura dolce e controllata: ci vorrà circa un'ora per chilogrammo di carne, facendo attenzione a non far asciugare il fondo che servirà per la salsa di tonno.

Volendo optare per la versione storica, invece, bisogna semplicemente far cuocere il magatello in brodo vegetale per un paio d'ore. Per farlo basta metterlo in una casseruola con sedano, carote, cipolle, qualche grano di pepe, alloro se piace, con l'acqua già calda: devi poi portarlo a una temperatura elevata. Finito di cuocere deve raffreddarsi nel brodo. Ricordiamo che un tempo veniva stracotto.

3. L'importanza di far riposare la carne

affettare l'arrosto

Non importa che la carne sia cotta in modo tradizionale o moderno, l'importante è farla riposare per farla assestare. Per semplificare il lavoro e aiutarci con i tempi, si può tranquillamente cuocere l'arrosto il giorno prima e farlo riposare in frigo fino al momento del taglio. Un tempo, la fettina, era greve e spessa poiché non si usava tagliarlo con l'affettatrice. Oggi, invece, si preferisce una fettina precisa e sottile.

4. Siamo sicuri ci voglia la maionese?

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Molti credono che la maionese sia un ingrediente fondamentale nel vitel tonnè: in verità, la ricetta originale, non la prevede. La salsina originale, infatti, richiede solo il tuorlo delle uova sode. Una volta cotto il magatello, bisogna unire al fondo di cottura il tonno sott'olio sgocciolato – lo chef non usa ventresca ma i filetti classici – acciughe e capperi (piccoli al massimo medi) dissalati. A questo aggiungere solo il rosso dell'uovo sodo, passato al setaccio: onde evitare che risulti greve e poco compatta (cosa che potrebbe capitare) bisogna essere bravi nel lavorarla rendendo il risultato finale equilibrato al punto giusto. Deve avere una consistenza tale da poter realizzare una quenelle.

Intorno agli anni '50, in molti hanno iniziato a usare la maionese nella salsa, invece che l'uovo rosso cotto: una versione che ormai conosciamo un po' tutti  e che decisamente amiamo. Anche in questo caso, però, non dobbiamo affidarci al caso (o al supermercato): meglio farla a casa. Il consiglio per farla venire davvero ottima è utilizzare solo uova intere freschissime (possibilmente biologiche o da allevamento a terra non intensivo), di usare solo il limone e – per chi ne ha la possibilità – di pastorizzarla. Alla maionese poi, aggiungiamo i capperi dissalati, le acciughe, il tonno e poco vino bianco. Una maionese così sarà la ciliegina sulla torta a completamento di uno dei piatti italiani più iconici di sempre.

5. Le dosi perfette per il vitello tonnato

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Diciamo che non esistono delle dosi perfette per il vitello tonnato anche perché dipende molto dalla carne e dalla resa che ha in cottura: scegli sempre carne controllata e di qualità che non perda eccessivamente peso. Per ogni chilo di carne considera 400 grammi circa di tonno, 10 filetti di acciughe, 2 tuorli d'uovo e un paio di cucchiai di capperi. Cerca di limitare al minimo l'uso del sale nella carne e nella maionese poiché nella salsa ci sono già tante parti salate.

Perché abbiamo chiesto allo chef Matteo Baronetto

Matteo Baronetto, rinomato chef originario del Piemonte, ha lasciato un'impronta indelebile nella cucina contemporanea italiana e ne ha “scritto” pagine importanti. Diversi piatti ideati da lui, oggi sono di uso comune nelle cucine italiane e molti giovani chef sono stati ispirati dal suo stile. Al ristorante Del Cambio di Torino, celebre anche per la sua antica storia risalente al 1757, Baronetto si distingue per una cucina tecnica e contemporanea che valorizza le radici gastronomiche piemontesi. Il locale, frequentato nel corso dei secoli da illustri personaggi, ha contribuito a creare un'atmosfera unica di storia e cultura. Tra i visitatori celebri figurano nomi come Camillo Benso di Cavour, Giacomo Casanova, Wolfgang Amadeus Mozart, Maria Callas e Audrey Hepburn, che hanno contribuito a rendere Del Cambio un punto di riferimento per la città e di prestigio sociale.

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Baronetto, ha iniziato la sua carriera culinaria presso La Betulla di San Bernardino di Trana. Successivamente, ha lavorato presso Gualtiero Marchesi all'Albereta di Erbusco, dove ha incontrato Carlo Cracco. Ha seguito Cracco al ristorante Le Clivie di Piobesi d'Alba e poi a Milano al Cracco-Peck, contribuendo alla creazione di menu premiati con due stelle Michelin. Il rispetto di Matteo per la tradizione e innovazione culinaria, unito alla sua abilità nel bilanciare intuito e riflessione, si traduce in piatti che riflettono il patrimonio gastronomico del Piemonte, arricchiti da intuizioni creative e una solida tecnica. Analizzando la sua storia professionale, risulta evidente che la sua ambizione sia creare piatti che resistano al passare del tempo, mantenendo viva la memoria e l'identità culinaria Del Cambio, e contribuendo così a consolidare il suo status di luogo iconico nella scena gastronomica italiana.

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