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19 Febbraio 2025 11:00

Come leggere le etichette del caffè: cosa si trova e cosa manca

Rispetto ad altri alimenti presenti nella grande distribuzione, le informazioni che si possono reperire sulle confezioni del caffè non bastano a tracciare una carta d'identità completa del prodotto, lasciando molti dubbi al consumatore.

A cura di Federica Palladini
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La sempre maggiore attenzione del consumatore riguardo a ciò che mangia (e beve) ha coinvolto anche l’universo del caffè: negli ultimi anni, complice pure la diffusione degli specialty coffee, ovvero prodotti di alta qualità su tutta la filiera che pongono al centro proprietà organolettiche, sostenibilità ambientale e rispetto dei lavoratori – ci si è domandato – e si continua a farlo – cosa sia un buon caffè, se quello che beviamo effettivamente lo è (la risposta sembra essere negativa) e se il costo di una tazzina al bar sia giusto. Senza dimenticare ciò che si trova sugli scaffali del supermercato, tra le molteplici varianti per moka, espresso, in polvere o in grani: l’etichetta può aiutare? In realtà no, dato che le informazioni obbligatorie presenti non sono sufficienti per realizzare una carta d’identità completa del caffè che si sta per acquistare: per esempio, per legge bisogna indicare l’azienda dove avviene la torrefazione, ma non il paese da cui proviene la materia prima, facendo sì che non si sappia l’origine della miscela e, di conseguenza, molte delle sue caratteristiche principali.

Etichetta del caffè: cosa si trova comunemente

Se per alcuni cibi reperibili nella grande distribuzione l’etichetta è diventata un punto di forza, per il caffè i dati che contiene sono ancora minimi: rispettano ovviamente la normativa europea n.1169/2011 che regola le indicazioni obbligatorie da fornire sugli alimenti preconfezionati, concedendo però poco su dettagli opzionali che potrebbero essere di grande aiuto per orientare il consumatore. Di certo, quindi, troverai la denominazione esatta del prodotto (tipo caffè macinato e tostato per moka), il peso netto, il nome e i recapiti dell’azienda produttrice così da poterla rintracciare in caso di necessità, la data di scadenza e il metodo di conservazione. Inoltre sono di frequente riportate anche le modalità di smaltimento del contenitore.

Invece, non c’è nessun vincolo per cui la torrefazione deve specificare la varietà botanica e la composizione della miscela, ma è comune leggere sulla confezione se si tratta di 100% Arabica: la specifica nei caffè destinati al grande pubblico avviene perlopiù per una questione di marketing, dato che l’Arabica è generalmente considerata di maggiore qualità rispetto alla Robusta. Ti capiterà di imbatterti nella parola inglese “blend”: sei di fronte a un mix che può essere di una sola varietà, con la materia prima selezionata in diverse parti del mondo (che restano ignote), oppure nato dall’unione in quantità diverse di Arabica e Robusta, dove le percentuali non sono esplicitate.

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Che cosa manca nelle etichette del caffè

Si potrebbe dire che manca tutto il resto. Il paese di origine, come già accennato, nei brand di largo consumo non viene quasi mai indicato: non sapere se il caffè proviene dal Brasile o dal Vietnam, oppure dall'Etiopia o dal Guatemala, limita la conoscenza di diversi elementi chiave. Qualche esempio? Non si può intuire quale sia il profilo aromatico del chicco, dato che il terroir non compare e neppure il metodo di lavorazione della drupa (lavato, naturale o semi-lavato) visto che in certi luoghi è più diffuso un processo rispetto a un altro, dipende dal clima, dai costi, dalla piantagione. Ancora, anche il livello di tostatura non è obbligatorio: alcuni marchi offrono dei range che possono essere d’aiuto, tipo “tostato classico, intenso, forte”, fornendo delle descrizioni – seppur sommarie – sull’esperienza sensoriale, suggerendo note di caramello o cioccolato, retrogusto dolce, corposo etc. Infine, l’origine del caffè può rivelarsi fondamentale come guida a livello di etica della filiera: nel dubbio, punta su prodotti certificati – segnati dal bollino Fair Trade o Rainforest Alliance – che garantiscono standard maggiori nei confronti dell’ambiente e dei lavoratori, tutelando anche la vita delle comunità locali.

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