La parola d'ordine della caffettiera casalinga non è ebollizione, ma pressione. Alla scoperta del metodo scientifico di estrazione del caffè rispondendo alle domande più diffuse.
La moka messa a punto nel 1933 da Alfonso Bialetti ha rivoluzionato il modo di preparare il caffè in casa. Se prima, infatti, si conoscevano metodi come quello della cuccumella napoletana, dell’ibrik di derivazione araba (per il caffè turco e greco), della caffettiera milanese e le tecniche più utilizzate erano l’infusione e la bollitura, ecco che con l’invenzione di questo apparecchio in alluminio, dal design accattivante, la bevanda più amata dagli italiani diventa veloce e pratica da realizzare. Proprio come lo è l’espresso del bar, nato alla fine dell’800, da gustare in tazzina durante la giornata. Come funziona la moka? In che modo ottimizza i tempi di estrazione del caffè? Per entrare nei dettagli bisogna rivolgersi alla scienza: lo fa sempre bene Dario Bressanini, chimico e popolare divulgatore, che ha risposto alle domande principali nel suo blog. Noi ci avvaliamo delle sue spiegazioni e dei suoi consigli, oltre alle informazioni che si trovano sul sito di Bialetti: fare un caffè perfetto sarà ancora più semplice.
Per capire il funzionamento di un oggetto bisogna prima di tutto sapere com’è fatto. Non fa eccezione la moka, che si può suddividere in tre parti ben distinte.
Non è un caso che vi sia il detto “fare l’espresso a casa come quello del bar”. Tralasciando i giudizi di valore sulla qualità (che abbiamo dato in altra sede), i due caffè si possono equiparare nel momento in cui entrambi sfruttano lo stesso processo di estrazione, ovvero il filtro a pressione. La pressione delle macchine per espresso è di 9 bar, mentre quella della moka molto minore, 1,5 bar: il principio è lo stesso, ma le tempistiche sono più lunghe (al primo bastano 20-25 secondi). Una volta che la caffettiera viene posizionata sul fuoco e l’acqua arriva a una temperatura di pre-ebollizione il vapore fa aumentare la pressione all’interno della camera inferiore: l’acqua passa attraverso il filtro nel caffè, proseguendo la corsa lungo la colonnina e raccogliendosi infine nella camera superiore. Quando è rimasta pochissima acqua alla base, allora anche il vapore risale, provocando così il tipico borbottio e sprigionando profumo, segnale che il caffè è pronto. Per la riuscita di questa operazione, chiudere o meno il coperchio non fa differenza. Entrando maggiormente nello specifico, Bressanini divide questo procedimento in due fasi, prendendo come riferimento le quantità di una moka classica da 3.
L’acqua è uno dei due ingredienti che combinati tra loro permettono la realizzazione della bevanda. Per questo è importante che abbia determinate caratteristiche: come riportato dal sito di Bialetti, infatti, usare quella giusta può fare la differenza. Premessa: si parte dall’acqua fredda, ma non da frigo. Sarebbe utile evitare acque “dure” sia da rubinetto sia da bottiglia, ovvero quelle con una elevata quantità di sali minerali come calcio e magnesio (Bressanini ci dà i valori degli ioni disciolti: calcio < 60 mg/l, bicarbonato < 200 mg/l, magnesio < 15 mg/l.). Il motivo? Con il calore è più probabile la formazione di calcare, che depositandosi nel tempo potrebbe causare un malfunzionamento della moka o alterare il gusto del caffè. Per la quantità, quella adatta a una moka da 3 abbiamo visto essere 150 grammi. La regola generale, però, è non far toccare l’acqua con il caffè presente nel filtro, visto che c’è bisogno di lasciare uno spazio d’aria: il limite è all'altezza della valvola di sicurezza.
Sulla tipologia di caffè ognuno ha le proprie preferenze, alla base conta sempre sceglierlo di buona qualità. L’ideale sarebbe utilizzare i chicchi e avvalersi di un macinacaffè, così da esaltare aromi e sapori. Per il caffè della caffettiera è necessario prestare attenzione alla texture del macinato: rispetto a quello per le macchine da espresso, quello per moka ha una grana più grossa. Si riempie il filtro fino all’orlo, senza compattare il caffè con il cucchiaino o formare la montagnetta, per farne stare di più: 15 grammi è il quantitativo corretto per una moka da 3.
Come visto in precedenza, la temperatura deve salire gradualmente, quindi è corretto impostare il fornello a fiamma bassa, cosicché il procedimento di estrazione avvenga dolcemente e si attesti attorno ai 90-93 °C. Questo serve a evitare un mutamento delle proprietà organolettiche del caffè: se le temperature sono troppo alte vengono tirate fuori componenti aromatiche con note astringenti o amarognole come sottolinea Bressanini, dando così quel sentore sgradevole di bruciato. Al contrario, però, anche temperature troppo basse possono dar luogo a modificazioni, amplificando l’acidità del prodotto.
Tra le regole del caffè perfetto compare un’operazione finale che spesso si salta, ovvero mescolare il caffè nella moka prima di versarlo nella tazzina. Anche qui la spiegazione è scientifica: il primo caffè affiora a una temperatura di 70 °C, è più freddo e meno intenso rispetto alle stratificazioni successive, che sono più calde, ma anche più amare ed è quindi vantaggioso rendere il tutto omogeneo.
Sappiamo che non è una leggenda il fatto che la moka possa esplodere. Ci sono diversi errori che si possono commettere per arrivare al fattaccio, compresa una cattiva manutenzione. Alcuni di questi, però, si legano proprio al suo sistema di funzionamento. A “reggere” eventuali sbagli o disattenzioni, c’è la valvola di sicurezza, che si attiva, aprendosi, quando la pressione nella caldaia aumenta più rapidamente del previsto. Quando può succedere? Quando si usa un caffè macinato troppo finemente o troppo schiacciato nel filtro, così da non permettere all’acqua di passare oltre oppure quando la fonte di calore è esageratamente alta, fornello o piastra che sia.