Filetto, lonza, braciola, ma anche orecchie, piedini e cotenna, con una menzione speciale per la vescica: del suino in cucina non si butta via nulla. Ecco come valorizzare i tagli, dai più pregiati alle frattaglie.
Il famoso detto, che vuole questo animale un campione dell'anti spreco, è vero: del maiale, infatti, non si butta via niente e si può cucinare praticamente tutto, dal muso alla coda, passando per quello che c’è nel mezzo. Si tratta di tagli reperibili senza difficoltà, più economici di quelli del bovino, e saporiti, in quanto molto spesso grassi. In questa rassegna abbiamo messo insieme le parti del maiale da impiegare in cucina, indicando quali sono le loro caratteristiche principali e come valorizzarle al meglio in preparazioni e ricette, tradizionali e creative. Un consiglio? Quando cucini la carne, munisciti di un termometro per alimenti o segui i nostri trucchi per capire quando è pronta, per avere sempre piatti soddisfacenti, senza delusioni al momento dell'assaggio.
Magra, delicata e morbida: la carne del filetto del maiale ha tutte le caratteristiche per essere protagonista di piatti raffinati senza però spendere cifre da capogiro, in quanto si tratta di un taglio economico rispetto al più pregiato filetto di manzo. Si tratta di un pezzo che varia dai 500 agli 800 grammi di peso, dalla forma allungata e si cucina solitamente intero, togliendo il grasso in eccesso presente nella parte esterna.
Il filetto soffre le cotture prolungate, perché tende a seccarsi e diventare quindi stopposo. Un grande classico è il filetto di maiale al forno: un ottimo modo per far restare le carni umide è quello di avvolgerle in fette di pancetta e poi in carta forno, realizzando una cottura al cartoccio. Il gusto della carne di maiale si esalta negli abbinamenti agrodolci: abbina il filetto a mele e cipolle, dopo averlo fatto rosolare in padella in un po’ di burro e finito di cuocere in forno, oppure, presentalo in chiave gourmet tagliato a medaglioni e ricoperto di una saporita salsa di miele e senape.
Il carrè di maiale, o arista, è uno dei tagli della parte superiore dell’animale e grazie alla presenza delle ossa risulta particolarmente tenero e gustoso, per via di una buona percentuale di grasso. Si cucina intero, per le occasioni di festa o il pranzo della domenica: da fare arrosto, assicurando la giusta umidità con del brodo e profumando con salvia, timo e rosmarino oppure al barbecue, spennellando la carne con del burro.
Dal carré si ricavano anche le braciole o bistecche di maiale: una ricetta semplicissima è farle marinare per 30 minuti in olio extravergine d’oliva, sale, aglio ed erbe aromatiche, per poi cuocere in una padella ben calda sfumando con del vino bianco. In alternativa, sono ottime per una cotoletta alla milanese “sbagliata”, in sostituzione al vitello, impanate e fritte nell’olio vegetale al posto che nel burro.
La lonza è uno dei tagli più conosciuti e utilizzati del maiale: detta anche lombo o lombata, si ricava dalla parte posteriore del suino, proprio sopra al filetto, e corrisponde all’arista priva di osso. Si tratta di carni con infiltrazioni di grasso non eccessive: si può cucinare intera o a fette e bisogna avere cura di farla restare morbida per godere appieno delle sue qualità.
Le tecniche migliori sono: una cottura breve, come quella delle scaloppine, battendole con un batticarne per intenerirle e bagnarle con un liquido, come del vino o del brodo; oppure più prolungata, come nella tradizionale lonza al latte, dove quest’ultimo ricoprirà interamente la carne insaporendola e mantenendo la delicatezza.
Costolette, costine o ribs: tanti nomi per una parte del maiale molto apprezzata per la sua golosità e versatilità. Sono un taglio povero, ricco di tessuto connettivo, che si può impiegare in diversi modi: importante anche in questo caso è mantenere la succosità della carne.
Prima di cuocerle al forno o in umido è meglio sbollentarle in una pentola per 2-3 minuti, così da sgrassarle, mentre se vengono preparate alla brace è consigliato marinarle in olio e aromi, oppure trattarle in stile ribs all’americana, spennellando con senape, spezie e salsa barbecue.
Dal grasso della guancia del maiale arriva uno dei salumi made in Italy più pregiati, ovvero il guanciale: un’icona gastronomica che si usa soprattutto in veste di insaporitore. Lo ritroviamo in piatti simbolo della cucina laziale come la carbonara e l’amatriciana, ma può servire anche per dare uno sprint di gusto a zuppe o minestre di legumi e verdure, aggiungendolo al soffritto.
La guancia si può consumare anche fresca: reggendo bene le cotture lunghe, si cucina soprattutto in chiave brasato, stracotto e a spezzatino, con il grasso che sciogliendosi al calore mantiene morbide le carni.
Dal collo del maiale si ricavano tagli con un buon equilibrio tra parte grassa e parte magra, come la coppa e il capocollo, solitamente usati per produrre i famosi salumi. Entrambi, però, si possono utilizzare in cucina anche freschi. La coppa, come gusto e consistenza, somiglia alla lonza: si può sostituire a questa quindi realizzando degli arrosti con il pezzo intero, irrorandoli di vino o di brodo per mantenere la morbidezza, visto che la cottura richiede spesso dalle 3-4 ore a seconda della grandezza, oppure a fettine, per preparare per esempio i katsu sando giapponesi.
Condisci le fette di carne con sale e pepe, impanale nel panko e poi friggile in olio caldo. Il risultato sono delle mini cotolette fragranti fuori e molto morbide internamente. Il capocollo si presta molto bene a essere tagliato sottile per realizzare un grande classico della cucina pugliese, le bombette, i tipici involtini ripieni di formaggio: se la carne dovesse essere particolarmente grassa, basta asportare con coltello l’eccedenza della parte esterna.
La pancia del maiale è il taglio più grasso, da cui si ricava la famosa pancetta, salume che compare spesso in diverse ricette perché capace di insaporire molti piatti, in versione dolce e affumicata. Quando la pancetta viene cotta in padella non serve aggiungere ulteriori grassi (tipo olio o burro), in quanto ne è già abbondantemente provvista. Da provare per arricchire piatti di pasta, come i regionali spaghetti alla molisana che prevedono un condimento con pancetta e pecorino, e contorni, tra i più facili piselli stufati con pancetta, dove il salume dà una marcia in più al soffritto di cipolla.
La pancia, però, si utilizza anche fresca, cotta al forno. Per essere succulenta dovrà avere una crosticina croccante in superficie e un interno scioglievole: pratica delle incisioni a rombo sulla cotenna e poi rosola in padella con la parte della cotenna sul fondo, bagna con vino bianco e acqua, copri e lascia andare per un’ora a fuoco basso. Completa la cottura infornando a 180° per altri 90 minuti
Uniamo queste parti del maiale perché ad accomunarle ci sono due utilizzi che se ne possono fare: da entrambe, infatti, si ricavano dei salumi che vengono comunemente chiamati prosciutti e confusi, anche se il prosciutto cotto arriva dalla coscia, mentre la spalla cotta dà origine a un altro tipo di affettato sempre di colore rosato e gusto dolce. Dalla parte più nobile della coscia, la posteriore interna, arriva un salume pregiatissimo, il culatello, che vede la sua eccellenza in quello di Zibello.
Si tratta di prodotti ideali da servire in taglieri o, nel caso del prosciutto cotto, anche come ripieno di torte salate e condimento di primi piatti veloci e gustosi, vedere alla voce penne al baffo. Altro impiego è quello di essere la scelta più indicata per diventare il classico macinato di carne, per preparare polpette, salsicce e sughi con trito di suino. Ricorda che la carne di maiale è meglio consumarla ben cotta e non al sangue, per la possibile presenza di trichinella, un parassita che può causare danni alla salute.
Lo stinco è una parte che si trova nella zampa del maiale, tra il piedino e la spalla (negli arti anteriori) e tra il piedino e la coscia (in quelli posteriori). Si tratta di un taglio molto economico che generalmente si preparare intero e cotto in forno. Una ricetta semplice è quella dello stinco di maiale al forno, che prevede una prima marinatura in olio, sale, pepe, erbe aromatiche, aglio e sale e pepe al fine di stemperare il sentore più pungente della carne di suino e regalare maggiore tenerezza.
Oppure una specialità che si gusta principalmente durante l'Oktoberfest è quella dello stinco alla birra, dove lo stinco viene prima marinato nella birra con i profumi e poi cotto in una casseruola lentamente in un mix di birra e brodo.
La cotenna è una parte molto calorica del maiale: chiamata anche cotica, è la pelle del suino, che una volta pulita e lessata, viene impiegata in diverse ricette della tradizione da Nord a Sud: si passa dalla cassoeula lombarda con verze, costine e salsicce di prosciutto, alla minestra maritata napoletana, molto simile alla precedente che vede tra gli ingredienti le stesse parti del maiale con l’aggiunta di pezzi di gallina, verze, bietole e cicoria.
Sono entrambe zuppe saporite e sostanziose che hanno alla base un mix di carne e verdure. Un’altra ricetta di retaggio contadino molto famosa è quella dei fagioli con le cotiche, cotte in un tegame con borlotti e passata di pomodoro.
Il lardo è un salume molto aromatico che si produce con l’omonimo strato di adipe presente sul dorso dell’animale, appena sotto la cotenna: particolarmente pregiato è quello di Colonnata Igp. Si può usare come insaporitore o per arricchire taglieri, e si trova come guarnizione di bruschette e crostini, soprattutto in Toscana e Italia centrale. Un abbinamento creativo e raffinato è quello con i crostacei, specialmente scampi o gamberoni che vengono privati del carapace e del budello e la coda avvolta in fettine di lardo. Si mettono a scottare in padella per qualche minuto su entrambi i lati e poi si sfuma con il brandy. Una volta evaporato l’alcool sono pronti per essere serviti con un po’ di sale, pepe e scorza d’arancia.
Del maiale nulla è considerato scarto, neppure queste parti che a prima vista sembrerebbero più difficili da inserire all’interno di preparazioni. Con il muso del suino, per esempio, in Veneto, nel Trevigiano, si prepara una variante del cotechino, che prende il nome di musetto, in dialetto muset.
A Napoli, le versioni più strong della minestra maritata prevedono l’uso del muso, così come il pere e muss', una sorta di insalata fredda, ha come protagonisti il piede del maiale e il muso del bovino. Solitamente prima di essere consumati sia il muso che i piedini vengono lessati, così da sbianchirli e sgrassarli. Entrambi possono essere serviti in umido, come la cotenna, mentre i piedini hanno anche una variante fritta: un piatto della cucina piemontese è il batsoà, che prevede la panatura in uovo e farina degli zampetti prima di tuffarli nell’olio bollente.
Le orecchie sono ricche di cartilagine e si possono preparare fritte e in umido, assicurandosi di averle pulite bene prima di usarle, raschiando e bruciando la peluria in eccesso. Per le versioni al sugo, si fanno lessare per circa un’ora da sole o con aromi tipo l'alloro, così da ammorbidirle e ingentilire il sapore.
Si possono quindi cucinare in una salsa di pomodoro, arricchendola con fagioli, oppure con le verze, aggiungendo brodo, un po’ come si fa nelle cotiche e fagioli o nella cassoeula, calcolando un’altra ora e mezza circa di cottura. Mentre per la versione crunchy è meglio aumentare il tempo di lessatura, in quanto la frittura è molto veloce e si rischia che le orecchie restino dure e con un sapore sgradevole.
La coda del maiale è meno diffusa in cucina: anch'essa cartilaginosa, regge le lunghe cotture ed è quindi ottima in umido oppure in veste di ragù, per condire risotto tipici del mantovano e del piacentino, dove i codini vengono prima fatti lessare per intenerirsi insieme a carote, cipolle, pepe e aromi, spolpati e poi cotti in padella con il soffritto e sfumati con vino bianco. A questo punto si possono aggiungere o meno i pomodori pelati, e si continua a cuocere con il brodo fino a quando la carne diventerà morbida, per una versione rossa o bianca, che sarà il condimento del risotto.
Lo strutto è un prodotto molto diffuso nella cucina contadina, in quanto economico e calorico: si ricava dalla fusione del grasso sottocutaneo della parte dorsale del suino, filtrato e raffreddato in barattoli. Veniva usato come sostituto del burro e dell’olio: non è un caso che lo ritroviamo sia come elemento per friggere sia in impasti e lievitati, per esempio nel casatiello napoletano. La parte del grasso della cotenna che restava solida si conservata e si metteva a seccare, diventando i ciccioli.
Da non confondere strutto e sugna: entrambi sono grassi del maiale, ma provengono da due parti diverse. Lo strutto è ottenuto dalla fusione del grasso sottocutaneo prelevato dalla zona dorsale del maiale, mentre la sugna viene dal grasso viscerale della zona surrenale: rispetto allo strutto la sugna ha un sapore leggermente più delicato. Da provare per la preparazione dei taralli sugna e pepe, tipici napoletani.
Del maiale, così come per gli altri tipi di carne, anche le frattaglie sono utilizzate in cucina, dal fegato alla coratella. Del suino, inoltre, si usa anche il sangue, che lavorato con le interiora dà luogo al sanguinaccio, una tipologia di insaccato che possiamo trovare sia nella gastronomia italiana sia in quella straniera, a seconda delle materie prime scelte.
Eppure quando si parla di sanguinaccio è impossibile non citare il sanguinaccio dolce, la crema al cioccolato che veniva realizzata con il sangue di maiale residuo della macellazione attorno al 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio Abate, mescolando cacao amaro, cioccolato fondente, zucchero, vino cotto, frutta candita (cedro o arancia), strutto, cannella e chiodi di garofano.
Menzione necessaria per la vescica del maiale, solitamente utilizzata per la preparazione di salsicce e insaccati, in funzione di budello naturale. Eppure, da tradizione millenaria, gli alimenti potevano essere sia conservati che cotti al suo interno, in quanto ampia e resistente. Una delle ricette contemporanee più celebri che contempla la cottura in vescica è quella dello chef stellato Riccardo Camanini del ristorante Lido 84, che propone una cacio e pepe interamente cucinata nella vescica, ispirato da uno scritto del gastronomo dell’antica Roma Marco Gavio Apicio.
Come si fa? Gli ingredienti (pasta corta, pecorino romano, pepe nero, sale e pochissima acqua) vengono inseriti a crudo nella vescica che, una volta sigillata, si posiziona in una pentola di acqua a 90° dove cuoce per circa 27-30 minuti (circa il doppio del normale). Prima di romperla tagliandola si scuote, così da mantecare tutti gli elementi presenti, per avere come risultato una pasta cremosa e leggermente più tenace di quella al dente.