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14 Novembre 2024 16:00

Cefalo: cos’è e come usarlo al meglio in cucina

Il cefalo è stato per molto tempo un pesce dimenticato: la sua popolarità è dovuta essenzialmente alle uova, da cui si ricava la pregiata bottarga. Ora che in cucina si parla di sostenibilità, è giunto il momento di riscoprirne anche le carni, saporite e versatili.

A cura di Federica Palladini
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Il cefalo appartiene alla famiglia dei Mugilidi, che ne annovera diverse specie. È un pesce dal corpo allungato – tra i 30 e i 70 cm, può raggiungere anche il metro – con squame di colore argenteo ed è diffuso in tutto il mondo, adattandosi ad acque salate, salmastre e dolci. In Italia è molto comune da Nord a Sud nelle lagune, nelle foci dei fiumi, nei laghi costieri e se ne riconoscono le cinque varietà che popolano il Mediterraneo:

  • Cefalo volpina, comune o muggine (Mugil cephalus): è quella più nota, pescata in inverno e in estate, ma più frequentemente allevata: ha una testa larga e massiccia e una membrana trasparente che copre l’occhio, normalmente segno di un pesce non più fresco, mentre in questo caso è esattamente il contrario. Gli esemplari hanno pezzature medio-grandi e una carne molto apprezzata, paragonabile a quella del branzino.
  • Cefalo dorato o lotregano (Liza aurata): si differenzia dagli altri per avere una macchia dorata dietro gli occhi molto spiccata, il corpo è affusolato e il muso appuntito. La taglia minima è di 15-20 cm e nonostante prediliga i fondali bassi lo si può pescare anche in mare aperto: la polpa è gustosa.
  • Cefalo bosega (Chelon labrosus): conosciuto anche come muggine labbrone, è proprio la sua bocca prominente  e spessa a renderlo riconoscibile, dandogli un aspetto un po' più tozzo. Lo si trova soprattutto nelle acque costiere dell’Italia Settentrionale e nel Nord Europa, in quanto non teme il freddo: è una specie robusta che arriva anche a 60 cm di lunghezza, molto popolare in cucina.
  • Cefalo calamita o botolo (Liza ramada): in pescheria può essere confuso con il dorato per le dimensioni ridotte e le fattezze simili, ma ci sono diversi dettagli fisici che li separano: la forma è più snella, la macchia dorata è meno definita e presenta squame dure fino alle narici. Saperli differenziare è utile in quanto possono venire commercializzati con il solo termine “cefalo”, ma il calamita ha una polpa meno saporita: in Italia è particolarmente presente nel Lago di Fondi, in provincia di Latina.
  • Cefalo verzelata (Liza saliens): è la specie più piccola e con il corpo più affusolato e agile. Come la precedente, ha un valore minore in cucina rispetto al volpina, il dorato e il bosega.

Storicamente, le carni del cefalo sono state considerate di bassa qualità, soprattutto a causa del suo habitat naturale che ne influenza il pregio. Questo pesce tende a vivere in acque stagnanti, come appunto le lagune e le foci di fiumi, in zone portuali e con una forte antropizzazione, dove l’acqua può essere ricca di detriti e sostanze organiche che influiscono sul sapore delle carni, conferendo un un gusto talvolta "fangoso" o “terroso”. Proprio per questo, più che per la sua polpa è noto per le sue uova – in particolare quelle del volpina – da cui si ricava la famosa bottarga di muggine. I cefali, quindi, rientrano nella categoria dei pesci poveri, molto economici, ma dimenticati: la recente valorizzazione della sostenibilità e della biodiversità ittica ha portato a una loro riscoperta, non solo nelle ricette casalinghe, ma anche in contesti gastronomici più raffinati, togliendo lo stigma di “pesce sporco”.

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Proprietà del cefalo e valori nutrizionali

Il cefalo è nutriente e poco calorico: pur non essendo un pesce azzurro, le sue carni sono una fonte preziosa di proteine ad alto valore biologico, forniscono un buon apporto di acidi grassi omega-3, che favoriscono la salute cardiovascolare e diminuiscono il rischio di infiammazioni, e di vitamina D. Tra i minerali è ricco in particolare di fosforo, alleato delle ossa, dei denti e del metabolismo, e di selenio, importante per le sue proprietà antiossidanti. Non può essere considerato né un pesce magro (come il merluzzo) né grasso (tipo salmone), ma una via di mezzo, semigrasso, così da poterlo comunque includere nelle diete ipocaloriche.

Come si pulisce il cefalo

La pulizia del cefalo è essenziale per esaltare il sapore delle sue carni, eliminando eventuali impurità che potrebbero alterarne il gusto. Il primo passo consiste nella rimozione delle squame, che sono piuttosto coriacee e devono essere grattate con cura con un coltellino o con l’apposito strumento. Taglia con una forbice la pinna dorsale e lava sotto il getto di acqua corrente. Successivamente è necessario eviscerare: pratica un’incisione lungo l’addome partendo dalla pinna ventrale posteriore fino alla testa e allarga delicatamente la pancia: togli le interiora – meglio se con un guanto – avendo cura di rimuoverle tutte. Dopo aver eliminato le parti interne, risciacqua e verifica che non ci siano altri residui. Tampona con carta da cucina: il cefalo è pronto per essere sfilettato – con il vantaggio che ha anche pochissime lische – o impiegato intero.

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Come usare il cefalo in cucina

Il cefalo è un pesce versatile che si presta a molteplici preparazioni: gli esemplari più grandi sono perfetti per la cottura al forno proprio come si fa con l’orata o con la spigola. Si accompagna con ingredienti semplici e profumati, come olio extravergine d’oliva, erbe aromatiche (rosmarino, timo, alloro) e limone. Con il cefalo si fa la bottarga tipica sarda, da usare sulla pasta o sulle bruschette.

Il cartoccio è una delle cotture migliori per preservare la morbidezza delle carni, evitando che si asciughino, così come è ottima la classica versione con le patate. Sempre intero, il cefalo si presta anche a essere grigliato: in questo caso lascia le squame, serviranno da protezione per la polpa rispetto alla cottura direttamente sulle braci e ad alta temperatura del barbecue o della piastra.

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Se preferisci ricavare i filetti, allora prova questo pesce fritto: puoi fare una semplice panatura a base di farina, oppure quella completa con l’uovo e il pangrattato. La sua polpa, infine, è anche impiegata in umido: puoi realizzare dei sughi con pomodoro fresco, tagliandola a tocchetti per un ragù di pesce passepartout, o da far insaporire in zuppe e brodetti, come da tradizione lungo le coste dell'Adriatico o in Sardegna.

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