René Redzepi, chef del Noma, più volte miglior ristorante al mondo, chiude le porte del proprio locale. Troppi debiti per una cucina insostenibile economicamente.
Una chiusura che ha fatto scalpore: il Noma, il ristorante di Copenaghen che ha contribuito a definire la cucina contemporanea, ha annunciato la chiusura nel 2024. Non è la prima volta che succede: durante la pandemia lo chef René Redzepi ha chiuso per trasformare il locale in un'hamburgeria (di grande successo tra l'altro) e ha portato il Noma in Messico, Australia e Giappone tramite dei pop-up. Questa volta però la scelta sembrerebbe definitiva: "Per continuare a essere Noma, dobbiamo cambiare — si legge sul sito del ristorante — L'inverno 2024 sarà l'ultima stagione di Noma così come la conosciamo". Nel 2025 il Noma si trasformerà in un laboratorio alimentare a tempo pieno in cui gli chef della brigata si diletteranno a inventare nuovi prodotti da vendere sull'e-commerce. Cerchiamo di capire però i perché di questa scelta: come fa a fallire il miglior ristorante della propria epoca, considerano un menu da oltre 500 euro a persona?
Il ristorante danese è nato nel 2003 grazie a Claus Meyer e René Redzepi. Sono stati loro i fautori di un movimento, di un nuovo stile di cucina chiamato "New Nordic", basato tutto su ingredienti locali, raccolti nel vicinato e preparati nel modo più puro possibile. Purtroppo però questo lavoro, l'intensità emotiva ed economica, "non sono sostenibili finanziariamente e moralmente. Come datore di lavoro e come essere umano questa cosa non può più funzionare" dice Redzepi al New York Times.
Purtroppo ha ragione Redzepi: l'alta cucina non è sostenibile economicamente e noi abbiamo provato a spiegarlo con una serie di interviste. Le persone pensano che gli chef stellati siano delle superstar piene di soldi ma non è così: parafrasando una frase che Albano Bizzarri ha usato nel calcio possiamo dire che per "uno chef che va in Ferrari ce ne sono cento che vanno in autobus". L'annuncio della chiusura è arrivato, non a caso probabilmente, dopo solo un anno in cui il ristorante ha cominciato a pagare i propri stagisti. Una cosa onorevole visto che nella cucina gourmet gli stagisti ricevono una paga regolare molto raramente e, quasi sempre, sostengono orari di lavoro estenuanti per completare la propria gavetta. Purtroppo, però, il mondo degli stagisti al Noma è stato proprio il primo a crollare a causa di numerose interviste a ex cuochi passati da Copenaghen, con una serie di dichiarazioni molto dure, che hanno fatto molto rumore negli Stati Uniti:
A tutte queste accuse il Noma ha risposto dicendo che i lavoratori della ristorazione devono svolgere compiti ripetitivi ovunque nel mondo, e questo è vero, ma ha rigettato totalmente le accuse sulle esperienze traumatiche. La fama di Redzepi come chef incollerito in realtà è sempre stata nota a tutti: il cuoco di origini montenegrine è andato anche in terapia cercando di moderare la propria rabbia con risultati alterni.
Il New York Times ha però fatto due calcoli: lo stipendio degli stagisti al Noma costa al ristorante circa 50.000 euro al mese e se non è stato sostenibile per un locale che fa pagare 500 euro a persona il proprio menu allora tutta l'industria dovrà farsi moltissime domande e pensare a una profonda ristrutturazione. Redzepi ha tirato i remi in barca: "Il mondo della ristorazione deve essere reinventato da zero e con qualcun altro al comando, se vuole continuare a vivere. Dobbiamo ripensare completamente il settore. Al momento è troppo difficile, dobbiamo lavorare in un modo diverso".
Il problema degli stagisti è solo l'ultimo di una lunga serie. La verità è che il Noma ha chiuso per lo stesso motivo per cui chiudono tutti: troppi debiti. Anche la prima chiusura è stata dettata dai debiti con circa mezzo milione di euro coperto dal Governo danese e dagli aiuti per la pandemia che gli hanno permesso di riaprire nel 2020. Nel 2024 finirà tutto, per l'ultima volta però. Questo perché l'alta cucina non è sostenibile dal punto di vista finanziario e Redzepi ha ragione a parlare di "rifondazione" di un sistema.
Questa storia non può non far riflettere e riportare alla mente la storia di El Bulli, storico locale di Ferran Adrià che ha fatto un percorso molto simile: guru della ristorazione, fondatore di un movimento, fallito per debiti. Pochi giorni fa un altro grande chef ha fatto la stessa scelta: David Kinch, 3 Stelle Michelin a Los Gatos in California, ha chiuso il proprio ristorante dicendo che devono esserci enormi cambiamenti "ma l'intero settore non se ne rende conto e non sa come uscirne. Il fine dining, come i diamanti, parte dagli abusi. Tutto ciò che è lusso è costruito sulla schiena di qualcuno".
Tutta l'epopea della New Nordic si è sorretta sulla sostenibilità ambientale e sul rispetto per tutte le forme di vita: concetti altissimi che però, spesso, sono solo di facciata.
Quanto è sostenibile un locale che scarta le verdure che non ritiene perfette? Che si regge su una clientela che lo raggiunge con inquinantissimi voli privati e che, quando chiude, fa pop-up di pochi giorno in tre punti lontanissimi del mondo? Ma, cosa più importante, se si contempla il rispetto per tutte le forme di vita, perché dimentichiamo il rispetto per la vita dei lavoratori? Queste domande purtroppo bisogna cominciare a farsele partendo da un assoluto fondamentale: l'alta cucina, così com'è concepita oggi, non è più sostenibile.