In un continuo perfezionamento dei packaging, ce n'è uno che resiste nel tempo: si tratta di quello per le uova, che già nel 1911 aveva assolto la sua funzione principale, non farle rompere.
Quando ci guardiamo attorno, più o meno coscientemente, sappiamo che tanti oggetti di uso comune, dalla lavastoviglie al dispenser per la salsa di soia, sono frutto di un'invenzione. Del genio di una persona che, prima di tutti, ha trovato la soluzione a un problema. Ed è proprio questo che ha fatto , editore canadese – ma anche giornalista, geometra, pittore e uomo d’affari – che nel 1918 brevettò il suo cartone per le uova sia in Canada sia negli Stati Uniti. Una storia che comincia qualche anno prima nella sala da caffè di un hotel in una piccola cittadina della British Columbia e che arriva fino ai giorni nostri.
Siamo nel 1911 e Joseph Coyle sta consumando la sua colazione quando, insieme ad altri clienti, assiste a un diverbio che coinvolge il titolare dell’albergo e il contadino che gli fornisce le uova. L’albergatore incolpa l’uomo di inviargli apposta uova rotte per guadagnarci; viceversa, l’allevatore accusa l’altro di romperle volontariamente per evitare di pagare l’intera spedizione. Litigi che, a quanto pare, erano all’ordine del giorno e a cui il signor Coyle volle mettere fine ideando una confezione di cartone per le uova dove queste avevano ognuna uno spazio dedicato, così da non entrare in contatto tra loro ed essere facilmente trasportabili. Il packaging ricavato dalla cellulosa era leggero e assorbiva gli urti alla perfezione. L’invenzione dette in poco tempo ottimi risultati, tanto che l’editore decise di mettere a punto una macchina per automatizzare la produzione di queste scatole: visto il grande successo, Joseph Coyle lasciò il mondo dell’editoria e aprì diverse aziende dedicate alla fabbricazione dei contenitori sotto il nome di Egg Safety Carton Company.
Sarà poi nel 1931 l’americano Francis H. Sherman a brevettare il cartone delle uova nella confezione da 12 pezzi, proprio come si vende ancora adesso nei negozi. L’evoluzione continua negli anni '50, grazie al designer britannico H.G. Bennett che perfeziona il packaging: da quel momento, resterà praticamente invariato. La carta come base per la produzione delle confezioni di uova subisce un rallentamento a partire dagli anni ‘60, quando la plastica diventa la “regina” degli imballaggi usa e getta. A introdurla è uno dei pionieri dell’industria chimica americana Jon Huntsman nel 1967, nome diventato celebre però per un’altra invenzione: quella nel 1974 del contenitore a conchiglia del panino Big Mac, un’icona del fast food.
Secondo un recente rapporto della FAO, le uova giocheranno un ruolo fondamentale nell’alimentazione futura. La sfida adesso è quella di renderle sempre più sostenibili, non solo sul fronte degli allevamenti, ma anche su quello della distribuzione e quindi dell'imballaggio. Nell’ultimo quindicennio è iniziata una riconversione, che vede protagonisti materiali riciclabili, biodegradabili e compostabili, come la carta riciclata, la polpa di cellulosa e discapito del polistirene espanso. Non mancano, oltretutto, esperimenti in chiave super green: uno dei più conosciuti è quello del Biopack, ideato nel 2019 dal designer greco George Bosnas. La confezione si presenta simile a quelle classiche, ma è realizzata con polpa di carta, farina, amido e semi biologici di leguminose: una volta consumate le uova, l’involucro non si butta, ma si mette nella terra, per farlo germogliare e dare vita a una nuova pianta.