Due animali simili, spesso confusi soprattutto nei Paesi anglosassoni dove si usa la stessa parola, "lobster", per entrambi i crostacei. In realtà vengono da due famiglie diverse e sono solo "cugini", ma si nota una differenza estetica molto evidente: gli astici hanno le chele, le aragoste invece no.
Stagione 10, episodio 7: siamo nel 1999 e Homer Simpson, scoraggiato dal costo delle "aragoste", ne compra una cucciola: Pizzicottina. Il protagonista della gialla famiglia creata da Matt Groening si affeziona all’animale che accudisce con amore fin quando, per errore, la cucina e la mangia piangendo. Duole scriverlo, ma da 20 anni viviamo nell’inganno perché Pizzicottina non è un’aragosta, bensì un’astice. L’errore nella traduzione italiana è dovuto ad un inganno lessicale: in inglese “Lobster” si usa sia per aragosta che per astice. Ma c’è una differenza?
Facciamo appello alla biologia: l’aragosta è un crostaceo decapode, come l’astice, ma una appartiene alla famiglia dei palinuridi, in cui ci sono solo crostacei “simili” all’aragosta, mentre l’astice appartiene alla famiglia dei nephropidae, come i gamberi. Essendo entrambi decapodi, il grado di parentela tra astici ed aragoste è lo stesso che c’è con un granchio o un paguro. Senza fare appello alla biologia, c’è una differenza facilissima da notare: gli astici hanno le chele, le aragoste no.
Un mito da sfatare su astici e aragoste che mangiamo è la provenienza perché, con ogni probabilità, sulle tavole delle nostre cucine arrivano animali americani. Il sapore è simile ma l’astice del Mediterraneo è così raro da essere messo tra le specie a rischio ed è catturato solo casualmente con reti da posta o nasse: raggiunge un prezzo molto elevato, anche di 100€ al kg, a differenza dei circa 25 degli astici americani. Ovviamente pur avendo un sapore simile, le proprietà sono molto diverse, così come le pezzature del prodotto. Stesso discorso per l’aragosta, che proviene dai Paesi tropicali pur avendo una “cugina” nel Mediterraneo, estremamente costosa e quindi meno vendibile.
Un altro mito da sfatare è sulla cottura: siamo soliti immergere le bestioline vive nell’acqua bollente, pratica crudele figlia di una malriposta idea che i crostacei non sentano dolore. Uno studio norvegese del 2013 smentisce tutto ciò: i salti e i rumori che provengono dalla pentola sono dovuti alla reale percezione del dolore dell’animale. Questo studio è stato preso molto a cuore in Svizzera, che ha vietato la cottura di astici ed aragoste da vivi. In molti Paesi dell’Unione Europea sono in corso proposte per delle normative simili, anche perché non c’è prova scientifica che attesti un cambiamento nel sapore nei crostacei cotti da morti.