Il franfellicco è un dolce che ha avuto tante evoluzioni e che oggi è in comune con le fanfullicchie leccesi. Quello originale napoletano era però uno stick di zucchero e miele, spezzettato, da mangiare caldo.
Una caramella zuccherosa quasi dimenticata: questo è il franfellicco, un dolce quasi scomparso dalle bancarelle napoletane che era immancabile a ogni sagra fino alla passata generazione. Negli ultimi anni sta tornando timidamente nelle varie esposizioni e si riconosce immediatamente perché è uno zuccherino rosa molto lungo e tendenzialmente schiacciato ai due lati. In Puglia ci sono le fanfullicchie leccesi che sono molto simili. Il nome deriva dal francese fanfreluche che identifica lo stesso genere merceologico; per voler essere precisi il termine ha origine, a sua volta, dal latino famfeluca ottenuto dalla modifica del greco pompholyx (bolle d’aria). Con il passare del tempo il franfellicco è diventato anche un modo di dire, pure questo ormai desueto, entrando nel linguaggio comune dei napoletani.
Il franfellicco è un impasto di zucchero e miele che originariamente veniva venduto caldo e a pezzetti piccoli nelle sagre e durante le feste patronali. Si faceva con l'ausilio di uno stampo nel quale si versava uno sciroppo colorato di zucchero e il miele. Lo stampo veniva poi piegato a uncino grazie all'ausilio di un supporto metallico e, una volta solidificatosi grazie al calore, lo si tagliava a pezzettini lunghi qualche centimetro. Le persone lo mangiavano ancora caldo mentre passeggiavano per strada. Qualche venditore ambulante li metteva su una stecca e li ricopriva di sciroppo alla frutta.
Con l'avvento dell'industrializzazione questa tradizionale caramella è cambiata enormemente, oggi in comune con quella originale ha quasi solo il nome e l'altissima componente zuccherina. Il franfellicco attuale che sta tornando pian pianino sulle bancarelle è lungo, molto colorato, dalla consistenza quasi gommosa ed è freddo essendo un dolciume pre-confezionato.
La prima volta che leggiamo questa parola è nel 1500 grazie a Giordano Bruno, il filosofo eretico che parla di panferlich indicando qualcosa di difficile da masticare, forse perché a quel tempo le tecniche di cottura non erano ancora così sofisticate. C'era anche un problema con la ricetta: non sappiamo né da dove venga né come si faccia nei minimi dettagli perché alcuni passaggi sono andati persi ma sappiamo con certezza che l'aggiunta dello zucchero per ammorbidire il tutto avviene solo nel corso del 1800. Questo significa che ai tempi di Giordano Bruno era presumibilmente una stecca di miele solidificata, quindi difficile da masticare. Questo lo sappiamo grazie alla a "Cucina teorico-pratica" di Cavalcanti, in cui viene illustrata la realizzazione dello "zucchero torto", una caramella "molto simile ai franfellicchi" come scrive Ippolito Cavalcanti.
I napoletani hanno comunque sfruttato questa strana caramella per creare un'allegoria: "Zùcate ‘o franfellicco è l’ambiguo invito a succhiare il dolciume" scrive Erri De Luca sul Corriere della Sera. "Nel mio vocabolario ha preso il senso di persona inconsistente, con aggiunta di variante vanitosa — prosegue il celebre autore partenopeo — Diffuso in società, ognuno può esserlo, ma ce ne sono in forte concentrazione nella categoria del politico. È una professione che seleziona al contrario: avanza il mediocre che si barcamena servizievole. L’indipendente, il brillante viene scoraggiato e messo da parte. Naturalmente il franfellicco politico è al corrente delle sue insufficienze, perciò si ammanta di arroganza e di superiorità. La sua presenza nei dibattiti televisivi è obbligatoria, opportunamente in coppia litigiosa con l’equivalente. Entrambi contano di venire menzionati nelle cronache del giorno seguente".
Un altro autore napoletano, Amedeo Colella, dà una versione più letterale e meno personale del significato della frase: a seconda del contesto può riferirsi a qualcuno molto fortunato che quindi non deve far altro che gustarsi il dolce in tutta serenità o a qualcuno a cui è andata male una sfida e che quindi non può far altro che succhiarsi la caramella per addolcire il proprio rammarico.